di Michele Paris

Nella giornata di martedì, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, come previsto Russia e Cina hanno posto il loro veto sulla risoluzione di condanna del governo siriano promossa da quattro paesi europei con il beneplacito di Washington. La bocciatura del testo è giunta dopo mesi di complicate trattative al Palazzo di Vetro ed è la diretta conseguenza della manipolazione da parte dell’Occidente della risoluzione approvata lo scorso mese di marzo per rovesciare il regime di Gheddafi.

Preparato da Gran Bretagna, Francia, Germania e Portogallo - questi ultimi due paesi membri provvisori del Consiglio di Sicurezza - il tentativo di fare pressioni su Damasco era stato notevolmente ammorbidito nei contenuti rispetto alla versione originale, così da cercare di evitare il veto di Mosca e Pechino. Soprattutto la Russia, tuttavia, ha subito annunciato l’intenzione di bloccare qualsiasi mozione contenente anche solo un vago riferimento alla possibilità di adottare sanzioni contro la Siria.

La risoluzione chiedeva lo stop immediato alle violenze nel paese mediorientale e l’apertura di inchieste per accertare le responsabilità nei fatti che, secondo alcune stime, hanno fatto registrare finora circa tre mila morti. Inoltre, veniva sollecitato l’avvio di un nuovo processo politico in un clima pacifico e con il coinvolgimento dell’opposizione. Il testo condannava poi le “gravi e sistematiche” violazioni dei diritti umani, mentre invitava il regime a garantire a tutti i siriani i diritti umani fondamentali e a liberare i prigionieri politici.

Per alleviare le perplessità russe e cinesi, infine, l’esplicita minaccia di imporre sanzioni era stata rimpiazzata con un linguaggio più sfumato. Il Consiglio di Sicurezza, cioè, dopo l’eventuale approvazione, avrebbe atteso trenta giorni prima di verificare l’adeguamento del regime di Assad alle richieste della risoluzione e, in caso di esito negativo, si sarebbe proceduto a “considerare le opzioni” a disposizione, tra cui l’adozione di misure non meglio specificate.

A favore della risoluzione hanno votato nove membri del Consiglio di Sicurezza (USA, Gran Bretagna, Francia, Germania, Portogallo, Bosnia, Colombia, Gabon e Nigeria), quattro si sono astenuti (Brasile, India, Sud Africa e Libano), Cina e Russia hanno appunto esercitato il diritto di veto. Per dare il proprio via libera al testo, Mosca aveva proposto di mettere sullo stesso piano le violenze provocate dalle forze di sicurezza del regime e dai manifestanti, ma i paesi occidentali si sono opposti fermamente. Prima della risoluzione appena bocciata, le Nazioni Unite avevano emesso soltanto due deboli dichiarazioni di condanna contro le violenze in Siria.

L’ambasciatore russo all’ONU, Vitaly Churkin, con più di una ragione ha fatto notare come l’Occidente finga di non vedere che dietro ad una parte delle proteste e delle violenze in Siria ci siano gruppi di estremisti islamici finanziati da altri paesi (Arabia Saudita in primis). Nel chiedere ad Assad di implementare una serie di riforme democratiche, l’inviato del Cremlino ha bollato quelle occidentali come “manovre per rovesciare il regime” baathista. “Alcuni governi dimostrano una fretta eccessiva nel giudicare l’illegittimità dei leader siriani”, ha aggiunto Churkin.

Il fallimento delle “manovre” di Washington, Londra e, soprattutto, Parigi, è stato causato in sostanza dai timori di Russia e Cina per il ripetersi in Medio Oriente di uno scenario simile a quello libico. I governi di Mosca e Pechino, infatti, accusano giustamente gli Stati Uniti e i loro alleati di avere usato la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza per aggredire militarmente la Libia, nonostante il contenuto del testo si limitasse all’adozione di una no-fly zone per proteggere i civili. La risoluzione discussa martedì, se approvata, avrebbe potuto così rappresentare un primo pericoloso passo verso misure più incisive contro il governo siriano.

L’astensione di Russia e Cina sette mesi fa permise di fatto l’approvazione della mozione sulla Libia e ciò che è accaduto successivamente è costato parecchio in termini economici e strategici per entrambi i paesi, i quali vedono ora minacciati i propri legami con Damasco. Soprattutto da Mosca si paventa la rimozione dell’alleato Assad, uno scenario che infliggerebbe un colpo durissimo ai propri interessi in Medio Oriente, dove gli USA e l’Occidente sarebbero in grado di estendere ulteriormente la propria influenza.

L’ambasciatore siriano all’ONU, Bashar Jaafari, ha accolto positivamente il voto al Consiglio di Sicurezza, sottolineando come i governi occidentali volevano usare ancora una volta la questione umanitaria come pretesto per indebolire il proprio paese e allargare l’egemonia di Israele nella regione mediorientale. Molto dure sono state al contrario le reazioni dei paesi che avevano promosso la mozione. L’ambasciatore francese Gerard Araud ha inoltre rivelato che alcuni membri del Consiglio di Sicurezza tenteranno a breve di mettere assieme un nuovo testo con maggiori possibilità di essere approvato.

Particolarmente ipocrita è stato poi il commento dell’inviata dell’amministrazione Obama, Susan Rice, secondo la quale “nel corso di questa stagione di cambiamento, le popolazioni del Medio Oriente possono finalmente vedere quali paesi hanno scelto di ignorare le loro richieste democratiche per fornire appoggio a dittatori crudeli e disperati”. Nonostante Susan Rice si sia ovviamente ben guardata dal ricordarlo, tra i paesi che durante la primavera araba hanno scelto di schierarsi dalla parte della repressione ci sono proprio gli Stati Uniti, i quali, ad esempio, nulla hanno fatto per fermare il durissimo soffocamento delle proteste democratiche in Bahrain.

La stessa ambasciatrice americana ha anche accusato esplicitamente i paesi che si sono opposti alla risoluzione di condanna contro la Siria di voler continuare a vendere armi a Damasco. A conferma della doppiezza della politica di Washington, proprio alla vigilia del voto all’ONU sulla Siria, il Dipartimento della Difesa americano aveva dato il via libera alla fornitura di armamenti per 53 milioni di dollari al governo alleato del Bahrain, tra cui svariate decine di mezzi blindati simili a quelli impiegati per reprimere le proteste di piazza.

La risoluzione di condanna presentata martedì all’ONU fa parte di una strategia della comunità internazionale per aumentare le pressioni sul regime di Assad. In questo contesto vanno inserite anche le sanzioni unilaterali adottate dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, con conseguenze molto pesanti per l’economia e la popolazione siriana, e il recentissimo annuncio fatto dalla Turchia di aver programmato imminenti esercitazioni delle proprie forze armate al confine con il vicino meridionale.

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