di Emanuele Vandac 

Sanguisughe che campano con il denaro dei contribuenti e distruggono l’economia: così definirebbero le banche d’affari molte delle settecento persone arrestate ieri a New York nel corso delle manifestazioni contro l’“ingordigia di Wall Street”. Segno che, mentre gli USA si apprestano ad affondare nella seconda crisi sistemica in quattro anni, la rabbia popolare tenta di prendere forma e di organizzarsi. Sfortunatamente, almeno all’inizio della mobilitazione “Occupiamo Wall Street”, i numeri non sono stati molto incoraggianti: il week end del 17 settembre, che ha dato la stura all’occupazione pacifica di Wall Street, non si sono viste a New York più di cinquemila persone, contro le 20.000 sulle quali si contava.

Non erano più di un migliaio secondo Bloomberg, ma questa è una fonte che tutto è fuorché indipendente, dato il suo doppio conflitto di interesse, essendo una delle principali agenzie di stampa finanziarie al mondo ed in più controllata dall’attuale Sindaco di New York (a proposito della finanza americana).

Il fine settimana successivo i manifestanti sono aumentati e si è registrato il primo incidente: un alto funzionario della Polizia, Antony Bologna, viene immortalato da una videocamera amatoriale mentre si diverte a spruzzare spray al peperoncino sulla faccia di alcuni manifestanti stretti su un marciapiedi da un cordone di poliziotti (in massima parte si trattava di “pericolosissime” ragazze in canottiera). Bologna è attualmente inquisito dagli Affari Interni, mentre il trattamento inutilmente violento della polizia non fa che aiutare il movimento e rafforzare la consapevolezza.

Sabato 1 ottobre, in prossimità del ponte di Brooklyn, migliaia di manifestanti si sono staccati dal gruppo con l’intenzione di occupare con la forza (a piedi) le corsie normalmente utilizzate dagli autoveicoli. La polizia sostiene di aver intimato ai manifestanti di desistere, incontrando la resistenza attiva degli oppositori delle banche, che avrebbero proseguito la loro marcia. I manifestanti, invece, sostengono che la polizia li abbia caricati con l’obiettivo di chiuderli in una sacca dove li attendevano migliaia di agenti. In ogni caso, sul ponte di Brooklyn vengono arrestate oltre 700 persone, tra cui una reporter del New York Times, la maggior parte delle quali rilasciate dopo qualche  ora previa denuncia per interruzione di pubblico servizio.

Grazie all’escalation, la protesta ha finalmente ottenuto l’attenzione dei media: spiega infatti il sociologo Richard Meyer, esperto di movimenti sociali americani, che gli atti eclatanti come quelli che hanno animato la giornata di sabato rispondono alla domanda dei membri del movimento più esperti di tecniche mediatiche: “Come fare notizia senza passare dalla parte del torto?”. L’atteggiamento della polizia, così ben esemplificato dalla condotta di Antony Bologna e dagli arresti di massa, da questo punto di vista è stata una benedizione. Come spiega Shannon Deegan, informatica ventottenne in trasferta dalla mitica Seattle, il movimento ha compreso che, aldilà della frustrazione causata dall’(inevitabile) repressione, “gli arresti ci hanno dato visibilità: la gente ci sta guardando, comprende le nostre ragioni”.

In effetti duole constatare come l’occupazione più o meno simbolica di Wall Street non abbia scaldato particolarmente i cuori delle star (attori, musicisti, artisti), anche di quelle più liberal. A parte l’inevitabile Michael Moore e Susan Sarandon, che si sono fermati a farsi fare qualche foto ricordo con i ragazzi dello Zuccotti Park, non sono molti gli artisti che hanno prestato il loro corpo e la loro arte alla causa.

Sembra che le superstar si tengano nascoste in trincea proprio perché temono la reazione dell’establishment ad una possibile loro presa di posizione netta contro gli eccessi della “corporate & finance America”. Il che, per inciso, non fa che dimostrare quanto giusto e soprattutto necessario sia oggi falciare l’erba malvagia della speculazione finanziaria, che pretende di dettare legge su tutti gli aspetti della vita della gente, compresi quelli che attengono alla sfera culturale.

Tuttavia alcuni studiosi e sociologi rimangono scettici sul futuro di questo embrione di movimento: non v’è dubbio che, se si rafforzasse e assumesse una forma strutturata, potrebbe aiutare Obama alle elezioni dell’anno venturo. Anche se c’è chi come Terry Madonna, sondaggista e insegnante di scienze politiche al Franklin & Marshall College in Lancaster (Pennsylvania), ritiene che il cuore del dibattito politico continuerà ad essere l’economia: solo se la disoccupazione comincerà a calare, e salirà ad esempio la propensione al consumo, il tema della riforma del sistema finanziario americano potrà guadagnare importanza: prima di allora rischia di essere confinato sullo sfondo.

Se quanto sostiene il prof. Madonna fosse confermato, si avrebbe solo una prova in più di quanto siano abili gli spin doctor della finanza a far credere che le vere cause del (secondo) disastro dell’economia siano lontano dagli uffici degli sconsiderati e arroganti manager-parassiti di Wall Street.

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