di Mario Braconi

A quanto sembra, indignarsi in Israele può servire a qualcosa. E’ di ieri la notizia della pubblicazione del rapporto commissionato dal governo Netanyahu a Manuel Trajtemberg, professore dell’Università di Tel Aviv, sull’onda emotiva provocata dal movimento dei cosiddetti “indignados” di Israele. In sole sette settimane, la commissione Trajtemberg ha messo assieme una serie di proposte che, nelle parole del professore, hanno l’ambizione di “creare le fondamenta di una società più equa”, come richiesto da un movimento di protesta popolare che egli definisce “genuino”.

A scorrere le cronache dei giornali israeliani, si direbbe che di carne al fuoco ve ne sia fin troppa: infatti, anche se il conto finale delle misure contenute nel pacchetto dovrebbe aggirarsi attorno all’equivalente di 6 miliardi di euro di maggior spesa, la prima buona notizia è che non vi saranno sforamenti al budget. Se fosse confermato quanto sosteneva Haaretz ieri, il programma non dovrebbe provocare nemmeno un aumento nel deficit del bilancio pubblico. Ed in effetti la copertura delle misure dovrebbe provenire da un lato da un aumento delle tasse sui redditi alti e sulle imprese e dall’altro da un taglio alle spese militari.

Le risorse così liberate, secondo il Trajtemberg, potranno essere utilizzate per sostenere istruzione, welfare ed occupazione. Nel concreto, il rapporto caldeggia la realizzazione di 200.000 nuove unità abitative, un aumento delle locazioni ed un sistema di sussidio per consentire anche alle fasce più deboli di prendere una casa in affitto. Lo stato dovrebbe garantire la scuola gratuita per i bambini a partire dai 3 anni di età (oggi si parte dai cinque), l’orario scolastico lungo ed un tetto per i prezzi degli asili nido privati: tutto questo dovrebbe rendere più facile l’accesso delle giovani coppie al mondo del lavoro.

Il rapporto, inoltre, raccomanda una sorta di coefficiente familiare per i genitori, che dovrebbe ridurre la pressione fiscale sulle famiglie, ed un sistema di negative-tax, una sorta di sussidio basato su una dichiarazione di reddito insufficiente a provvedere alle proprie necessità. La commissione, infine, richiede al governo di ridurre i dazi sui prodotti importati, una gamma molto ampia che va dai prodotti alimentari lavorati all’elettronica di consumo: da questa misura, Trajtemberg si aspetta di veder aumentare la concorrenza e conseguentemente una riduzione del costo della vita.

Nonostante si tratti di un piano tempestivo e almeno apparentemente progressista, non c’è nessuno in Israele a concedergli per lo meno il beneficio d’inventario. Scontata la protesta dell’esercito, che ha subito levato alti lai, sostenendo che i tagli alla spesa militare avrebbero come effetto immediato una diminuzione della sicurezza per i cittadini di Israele. Immediatamente rintuzzati dal ministro delle finanze che ha invitato gli ufficiali a “cominciare a non andarsene in giro con macchine di lusso [pagate dal contribuente ndr]”.

Molto contrari alle misure delle commissione Trajtemberg saranno certamente gli industriali israeliani, i sindacati e gli agricoltori. Scontenti anche gli studenti-rappresentanti della protesta sociale. “Hanno usato il gergo della nostra protesta, cosa che può ingannare la pubblica opinione, perché in realtà non hanno proposto delle misure che portano tanto lontano” ha dichiarato Daphni Leef in una conferenza stampa.

Le fa eco Regev Contes, altro leader della protesta: “Non sono particolarmente stupito, dato che sin dall’inizio i numeri di cui parla Trajtemberg non riescono nemmeno ad avvicinarsi minimamente a quello che occorre per le necessità pubbliche”. Almeno Itzik Shmueli, capo del sindacato degli studenti, concede a Trajtemberg il fatto di possedere una visione “grandiosa”; che però, secondo Shmueli, contrasta drasticamente con quelli che definisce delle raccomandazioni pratiche inconsistenti.

Al di là delle polemiche, e pur riconoscendo che, come sempre, si potrebbe fare di più e meglio, è sempre possibile che la protesta di piazza finisca per portare qualche risultato concreto per gli israeliani: tutto dipende dal vigore con cui Netanyahu saprà difendere le conclusioni del rapporto ed incardinarle in un percorso parlamentare che si preannuncia già molto complicato.

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