di Luca Mazzucato

NEW YORK. I tempi sono cambiati. “Un anno fa, da questo podio avevo chiesto la creazione di una Palestina independente, ricorda Barack Obama all'Assemblea Generale dell'ONU, credevo allora come ora che il popolo palestinese meriti il proprio Stato”. Ma ora evidentemente ha cambiato idea. Il suo discorso alle Nazioni Unite è stato un tale capolavoro di voltafaccia che forse il comitato del Nobel starà pensando come riprendersi indietro il premio. Chi è stato a far cambiare idea a Obama, un anno fa favorevole e ora contrario all'indipendenza palestinese?

La settimana scorsa, ci sono state le elezioni suppletive per il Congresso a Brooklyn e Queens. Si votava per il seggio abbandonato dal democratico Anthony Weiner, dimessosi dopo l'ennesimo scandalo sessuale. In questo distretto, i democratici superano i repubblicani tre a uno. Sorpresa: ha vinto il repubblicano, facendo una campagna elettorale concentrata su Israele. E saccheggiando tutti i voti della grande comunità ebraico-ordossa, tradizionalmente democratica. Chi ha orecchie per intendere...

A meno di improbabili ripensamenti dell'ultimora, Abbas lancerà la bomba a mano venerdì: la richiesta al Consiglio di Sicurezza di riconoscimento dello Stato Palestinese. Il toto big è presto fatto: Cina e Russia a favore, gli Stati Uniti metteranno il veto, Francia e Inghilterra indecisi fino all'ultimo minuto. Abbas deve raccogliere almeno nove sì tra i quindici Paesi nel Consiglio di Sicurezza, una maggioranza che costringerebbe gli Stati Uniti a porre il veto creando un enorme imbarazzo diplomatico per Obama.

Tra gli altri Paesi favorevoli ci sono i Sudamericani (ad eccezione della Colombia) i Paesi Arabi, la Turchia e la Spagna, con il resto dell'Europa indeciso (che sorpresa...). La cosa interessante è che in tutti i Paesi, inclusi quelli contrari e indecisi, i sondaggi danno un costante settanta per cento della popolazione a favore del riconoscimento dello Stato Palestinese. In questa nuova partita di risiko il solco tra Vecchio e Nuovo Mondo è lampante.

I Paesi un tempo detti emergenti, superata la crisi finanziaria che sta deragliando l'Occidente, stanno iniziando a far sentire il proprio peso. Abbas, per una volta, sta preparando quello che sembra un gioiello diplomatico. A far sembrare Abbas un gigante tra gli statisti però, è tutto merito del premier israeliano Netanyahu, la cui sanità mentale sembra ormai andata, dopo la serie di fallimenti clamorosi collezionati negli ultimi anni.

Lo stato ebraico non si è mai trovato così isolato dai tempi della guerra dei sei giorni, ora che Turchia, Egitto e Giordania hanno sospeso le loro relazioni diplomatiche. Essendo gli ultimi due gli unici Paesi confinanti con cui Israele aveva relazioni diplomatiche, ed il primo l'unico Paese musulmano nella NATO, l'isolamento è letteralmente su tutte le frontiere di terra e di mare. Un bel colpo.

I diplomatici israeliani, non avendo idea di come uscire dal cul de sac da loro stessi preparato, ne hanno pensata una bella. Martedì sera giravano per il Palazzo di Vetro, al di fuori delle aule dove si stavano svolgendo i negoziati, minacciando a gran voce che se Abbas presenterà una mozione per lo Stato Palestinese, allora Israele chiederà al Consiglio di Sicurezza l'annessione di tutta la West Bank. Non resta che far loro i più sinceri auguri!

Il convitato di pietra, ovviamente, è la popolazione araba in rivolta, che in pochi mesi ha stravolto tutti gli equilibri post guerra fredda che ancora congelavano l'area. Laddove UE e Stati Uniti, alle prese con l'austerity, stringono i cordoni degli aiuti all'ANP, Russia - e soprattutto Cina - macinano incontri con i Palestinesi e si propongono come campioni della causa. Hanno capito che aria tira in Medioriente e vogliono essere sicuri al cento per cento che, una volta che la rivoluzione araba decollerà anche nel Golfo, la popolazione saudita liberata si ricorderà dei veri amici.

La parte del leone ovviamente la fa la Turchia. Erdogan, fresco di riconferma elettorale, ha deciso di trasformare il proprio paese in una potenza regionale. I tempi in cui la Turchia doveva mendicare un posto a Bruxelles per vedersi però sbattere la porta in faccia sono quanto mai lontani. Ora è la Turchia a dettare legge in Medioriente, dalla Siria a Israele alla Libia, passando per il nuovo Egitto. L'Occidente impotente non può far altro che alzare la voce, ma i Paesi emergenti cominciano a sospettare che ormai il cane, che pure che abbaia, non morde più: ha perso i denti e non ha più neanche un soldo per comprarsi una dentiera.

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