di Michele Paris

A spuntarla nell’incertissimo ballottaggio delle elezioni presidenziali in Perù, domenica scorsa, è stato l’ex ufficiale dell’esercito Ollanta Humala. Il candidato nazionalista di sinistra dell’alleanza elettorale “Gana Peru” ha beneficiato della diffusa voglia di cambiamento tra i ceti più disagiati del paese andino, superando con un margine inferiore al 3 per cento Keiko Fujimori Higuchi, la 36enne figlia dell’ex presidente peruviano, ora in carcere, Alberto Fujimori.

Per parecchie ore dopo la chiusura dei seggi, la corsa a due per la successione al presidente Alan García è risultata troppo incerta per proclamare un vincitore. Quando alla conta finale dei voti espressi mancavano solo alcuni distretti rurali e più poveri - favorevoli a Humala - il risultato è apparso ormai acquisito. Humala ha così conquistato la presidenza, che gli era sfuggita nel 2006, con poco più del 51 per cento delle preferenze, mentre Keiko Fujimori si è fermata al di sotto del 49 per cento.

A influire in maniera decisiva sull’esito finale è stato probabilmente il risultato della capitale Lima, dove Fujimori si è imposta sul suo rivale con un margine del 15 per cento, cioè notevolmente inferiore rispetto a quanto ci si attendeva. Non solo Humala ha raccolto la maggioranza dei consensi nelle aree più povere della metropoli, ma sembra avere anche convinto almeno una parte della classe media, la quale ha correttamente interpretato la trasformazione di un candidato che cinque anni fa si era presentato agli elettori come l’incarnazione peruviana del presidente venezuelano Hugo Chávez.

Per alleviare i timori delle élites economiche e finanziarie del paese, il neo presidente aveva infatti condotto una campagna elettorale all’insegna della moderazione. La svolta socialista prospettata agli elettori per l’economia peruviana nel 2006 è stata così abbandonata e la promessa di modesti provvedimenti per aumentare la spesa sociale si è accompagnata alle rassicurazioni circa il sostanziale mantenimento del sistema ultraliberista che ha caratterizzato gli ultimi due decenni sotto la guida dei presidenti Fujimori, Toledo e García.

Per Humala la fonte d’ispirazione non è stato più Chavez, bensì l’ex presidente brasiliano Lula, modello decisamente più adattabile alla compatibilità tra progresso sociale e garanzie per i mercati finanziari nel contempo. Già all’indomani della sconfitta di misura del 2006, d’altra parte, Humala aveva cercato di presentarsi con un volto moderato, come hanno rivelato alcuni documenti pubblicati recentemente da Wikileaks. In essi vengono descritte alcune sue visite all’ambasciata USA di Lima per convincere gli americani del suo “pragmatismo” in ambito economico e per affermare il suo contributo alla stabilità del paese di fronte a frange “radicali che minacciano il sistema”.

Nel suo discorso subito dopo la diffusione dei primi risultati, Humala ha chiaramente espresso la volontà della sua amministrazione di continuare a promuovere maggiori investimenti esteri in Perù. Ciononostante, a dimostrazione che anche un sussulto della casa latifondista viene percepito come una minaccia, la risposta dei mercati alla sua elezione è stata del tutto negativa. Le contrattazioni alla borsa peruviana lunedì sono state addirittura sospese per alcune ore dopo un crollo dell’indice del 12,5 per cento. A far segnare i ribassi più significativi sono stati i titoli delle compagnie estrattive, a causa dei timori per una imminente nuova tassa sui loro enormi profitti.

Il presidente dell’associazione degli industriali del Perù si è affrettato poi a chiedere al presidente eletto un gesto che possa assicurare quei settori maggiormente in apprensione per la sua elezione. A chi gli ha fatto notare come la Borsa fosse già crollata dopo la sua affermazione nel primo turno del 10 aprile scorso, Humala tramite un suo portavoce ha tenuto ad affermare che la stabilità del paese non sarà messa a repentaglio dalla sua azione di governo.

Queste paure non rappresentano in ogni caso una predisposizione univoca verso Ollanta Humala dei centri di potere economco-finanziari peruviani. Così come le divisioni al loro interno avevano già permesso la vittoria di Humala al primo turno delle presidenziali disperdendo il voto tra vari candidati di centro, allo stesso modo il successo nel ballottaggio di domenica è giunto in parte grazie all’appoggio esplicito di rappresentanti di spicco della classe dirigente. Tra di essi, hanno appoggiato Humala in maniera più o meno convinta l’ex presidente Alejandro Toledo e lo scrittore premio Nobel Mario Vargas Llosa.

Quest’ultimo, in particolare, dopo aver definito il ballottaggio tra Humala e Keiko Fujimori come una scelta tra “l’AIDS e il cancro”, è risultato decisivo nel dissipare le paure nutrite nei confronti del primo. “Una vittoria di Humala - ha sostenuto Vargas Llosa alla vigilia del voto - non metterebbe in pericolo lo sviluppo economico in Perù, dal momento che il sistema democratico, l’economia di mercato e la proprietà privata saranno rispettati”.

Tra la maggioranza della popolazione peruviana, la candidatura di Humala è stata vista comunque come un’opportunità per porre un freno alle politiche neo-liberiste e allo sfruttamento delle risorse energetiche del paese da parte delle multinazionali estere. Per gli strati più poveri la speranza è ora quella di una qualche redistribuzione della ricchezza prodotta in un paese la cui economia è cresciuta del 60 percento nell’ultimo decennio e di quasi il 9 per cento nel solo 2010. A beneficiare di questa ricchezza è stata tuttavia solo una minima parte della popolazione del Perù, mentre il resto continua a fare i conti con povertà persistente, stipendi inadeguati e aumento del prezzo dei beni di prima necessità.

A testimonianza della profonda avversione popolare per le politiche implementate in questi anni, così come delle aspettative alimentate da Ollanta Humala, nei quartieri più poveri di Lima e in molte altre città del Perù sono scese in piazza migliaia di persone per festeggiare la vittoria elettorale. A ciò va aggiunto inoltre il pericolo evitato di ritrovare il paese immerso nuovamente nell’incubo del “fujimorismo” a poco più di dieci anni dalla caduta dell’ex presidente, condannato a 25 anni di detenzione per corruzione e per i massacri commessi dagli squadroni della morte durante la sua presidenza.

Il vantaggio di cui godrà Humala è quello di avere come partner Bolivia ed Ecuador, che con programmi di riforma ben più accentuati di quello proposto dall’ex ufficiale, garantiranno un retroterra di scambi politici e commerciali regionali attraverso i quali reperire risorse per finanziare i piani di miglioramento economico del Perù. E l'ingresso del Perù nel Banco del Sur e in Unasur, costituirà, comunque, un oggettivo rafforzamento del blocco democratico latinoamericano.

Nonostante ciò, però, l’immediato futuro per il nuovo presidente sarà poi complicato anche dalle inquietudini che pervadono le comunità indigene, preoccupate per l’indifferenza del governo nei loro confronti sulla questione delle concessioni delle terre all’industria estrattiva. In definitiva, Humala sarà chiamato a fare una scelta tra le necessità delle comunità agricole e quelle delle multinazionali, con possibili nuove proteste e la prospettiva di vedere crollare in fretta il gradimento del proprio governo.

La condotta moderata dell’amministrazione Humala, infine, sarà verosimilmente dettata anche dalla realtà politica. Il movimento del presidente eletto può contare infatti su appena 47 seggi dei 130 che compongono il Parlamento di Lima, costringendolo così a cercare l’appoggio e il consenso delle formazioni politiche di centro. Ma nonostante il quadro appena descritto, la vittoria dell’ex militare apre comunque una diversa fase politica per il paese andino. E forse, più che le rassicurazioni di Humala, per la borghesia nazionale e le multinazionali, conta maggiormente un programma di riforme sociali ed economiche che, pur non radicali, sarebbero sufficienti a destabilizzare un sistema che si regge solo grazie al combinato di miseria e repressione che detta il miracolo economico per l’economia e l’asfissia dei settori popolari che lo determinano.

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