di Michele Paris

Invece dell’equilibrio previsto dai sondaggi alla vigilia, il voto di domenica scorsa in Portogallo ha decretato una netta vittoria del Partito Social Democratico (PSD) di centro destra. Il crollo dei Socialisti (PS) del premier uscente José Sócrates è giunto in seguito all’accordo sul prestito da 78 miliardi di euro, garantito da Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale, per “salvare” il paese dalla crisi finanziaria e alle devastanti misure di austerity già adottate e che nuovamente si prospettano nel prossimo futuro.

Se il presidente della Commissione Europea, l’ex primo ministro portoghese José Manuel Barroso, aveva definito quelle dell’altro giorno le elezioni più importanti per il suo paese dalla fine della dittatura nel 1974, le decisioni che il prossimo governo di Lisbona sarà chiamato a prendere erano in realtà già state prese altrove. Non è stata una sorpresa perciò che la questione politica più scottante all’ordine del giorno - vale a dire i termini del prestito – non sia stata praticamente mai discussa durante la campagna elettorale.

Le elezioni anticipate in Portogallo erano state indette in seguito alla crisi del governo di minoranza guidato da José Sócrates, caduto lo scorso mese di marzo. Dopo aver potuto contare sul tacito appoggio delle opposizioni, astenutesi durante il voto sulle precedenti manovre finanziarie di emergenza, il governo socialista aveva infine incassato il voto contrario del PSD sul più recente pacchetto di austerity.

Di fronte ad una crescente opposizione nel paese, i centri di potere economico-finanziari locali ed europei avevano così provocato la caduta del debole governo Sócrates, in modo da legittimare tramite il voto gli attacchi contro i ceti più deboli della popolazione di cui il nuovo esecutivo avrebbe dovuto farsi carico. Una campagna mediatica pressoché a senso unico ha poi imposto il punto di vista dei creditori internazionali, presentando come inevitabile e irreversibile l’opzione del “salvataggio” UE/FMI per risolvere la crisi del debito portoghese.

Secondo i dati ufficiali, in ogni caso, nel voto di domenica i Social Democratici del futuro premier, Pedro Passos Coelho, hanno raccolto il 39 per cento dei consensi, contro il 28 per cento andato al Partito Socialista, che ha fatto segnare il peggiore risultato da oltre due decenni a questa parte. Il PSD darà così vita ad un governo di coalizione assieme ai conservatori del Partito Popolare (CDS-PP), attestatosi attorno al 12 per cento.

L’annuncio dei risultati elettorali è stato accolto con soddisfazione da parte dei mercati, come ha confermato l’apertura in rialzo della borsa portoghese lunedì. Gli investitori internazionali hanno tirato un sospiro di sollievo dopo le preoccupazioni per una possibile incertezza sull’esito del voto. Come avevano spiegato fino alla nausea svariati analisti finanziari europei ai principali organi di stampa, il rischio maggiore era la mancanza di un chiaro vincitore. Che a prevalere fosse poi il PSD o il PS poco cambiava, dal momento che entrambi i partiti avevano già chiaramente espresso la volontà di assecondare il dettato del Fondo Monetario e dell’Unione Europea.

Il presunto robusto mandato ottenuto dal Partito Social Democratico per somministrare la medicina che già sta facendo sprofondare ancor più nella crisi Grecia e Irlanda deve fare i conti con un astensionismo del 40 per cento e con diffuse proteste di piazza che sono andate in scena nelle ultime settimane. In Portogallo come altrove è d’altra parte sempre più evidente lo scollamento tra la classe politica e la gran parte della popolazione, ostile a un percorso che porti fuori dalla crisi in atto come quello invariabilmente stabilito a Bruxelles o a Washington.

I più importanti partiti portoghesi avevano già dato tutti il loro assenso al pacchetto di salvataggio, lasciando ben poca scelta agli elettori. La stessa alleanza (CDU) tra il Partito Comunista (PCP) e i Verdi (PEV), così come il Blocco della Sinistra (BE), non ha rappresentato una reale alternativa. Per entrambi - rispettivamente fermi al 7,9 e al 5,2 per cento - l’opposizione alla cessione della sovranità economica del loro paese all’Unione Europea e al Fondo Monetario non va infatti al di là di una rinegoziazione dei termini del prestito da 78 miliardi di euro.

Per continuare a sviare la questione del prestito internazionale e delle sue ripercussioni interne, il premier in pectore Passos Coelho nel primo discorso dopo il successo elettorale ha affermato che, nonostante, la terribile situazione in cui si trova il paese, il suo governo cercherà di “andare oltre il programma UE/FMI”. Un proposito quest’ultimo del tutto inverosimile e che non può celare gli ulteriori sacrifici che saranno imposti agli strati più deboli della società portoghese per garantire i creditori internazionali.

I reali contenuti del programma del nuovo gabinetto portoghese si possono trovare piuttosto nelle 34 pagine del memorandum d’intesa firmato lo scorso 5 maggio tra la “troika” - formata da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale - e il governo Sócrates. Tanto per cominciare, il governo entrante (che assumerà i pieni poteri non prima di un mese) dovrà far approvare al Parlamento le nuove misure di austerity entro la fine di luglio, quando i rappresentanti della troika si recheranno a Lisbona per verificare i progressi del loro piano.

Sotto la supervisione di funzionari non eletti, il governo di Passos Coelho sarà inoltre chiamato a implementare tagli alla spesa pubblica pari al 3,5 per cento del PIL nel 2012 e nel 2013. Tutto questo a fronte di un’economia portoghese che dovrebbe contrarsi del due per cento sia quest’anno che il prossimo e di una disoccupazione già al 12,6 per cento e destinata a superare il 13 per cento nel 2012.

Come già accaduto in Grecia e in Irlanda, questi provvedimenti getteranno anche l’economia portoghese in una recessione ancora più grave, causando enormi sofferenze per i redditi più bassi. Come per Grecia e Irlanda, poi, identica la ricetta amara che attende lavoratori, studenti, pensionati e disoccupati portoghesi: smantellamento dei servizi pubblici, congelamento degli stipendi, licenziamenti di migliaia di dipendenti pubblici, privatizzazioni e ulteriore apertura (“riforma”) del mercato del lavoro.

Un’autentica devastazione che renderà rapidamente impopolare il nuovo governo appena uscito dalle urne, ma che servirà ad evitare perdite agli investitori esposti in Portogallo e che libererà decine di miliardi di euro per la ristrutturazione degli istituti bancari in affanno.

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