di Carlo Musilli

I socialisti di Zapatero sono crollati. Alle elezioni amministrative di domenica il Partito Popolare li ha staccati di 10 punti. Il Governo forse non resterà in carica fino alla fine del mandato, nel marzo 2012, ma la vera notizia è che il bipolarismo spagnolo sembra resistere. Non c'è stata un'esplosione di astensionismo (che addirittura è diminuito di due punti), né un grosso recupero dei partiti minori. E questo nonostante il "Movimento degli Indignati", che la settimana scorsa ha tenuto banco in tutto il Paese.

Migliaia di studenti, precari e disoccupati si sono accampati per giorni nei luoghi più rappresentativi di varie città. Su tutti, Puerta del Sol a Madrid e Plaza de Catalunya a Barcellona. Altre manifestazioni si sono svolte a Valencia, Saragozza, Palma de Mallorca, Siviglia e Bilbao, giusto per citare i centri maggiori. Sembra che in tutto i comuni coinvolti siano stati 166. "I politici non ci rappresentano", "siamo stufi", si leggeva un po' ovunque su cartelli e striscioni.

In realtà, gli Indignados non hanno dato indicazioni di voto. Non hanno nemmeno chiesto l'astensione. Hanno protestato in modo pacifico, seduti per terra a parlare. Al contrario di quello che spesso avviene in Italia, non hanno offerto alla Polizia la soluzione facile di una bella carica vecchio stile. Per queste ragioni la loro è stata una protesta efficace.

A questo punto, sgomberare i giovani con la forza sarebbe stato il suicidio politico definitivo. Così dal primo ministro sono arrivate solo delle frasi un po' ruffiane e un po' goffe, vaghe al punto giusto da non voler dire niente. Di fronte alle manifestazioni, il governo si è comportato "in maniera corretta e intelligente", dando prova "di comprensione e sensibilità". D'altra parte, la protesta si è espressa in maniera pacifica "e questo è stato importante".

Anche se la Commissione elettorale aveva dichiarato illegali le concentrazioni di protesta alla vigilia del voto, il governo non ha potuto fare nulla contro questi ragazzi. Aveva in mano una pistola scarica. "Non stiamo facendo politica", dicevano dalle piazze. Eppure i giovani hanno messo nero su bianco un manifesto chiaro e conciso. Con richieste secche e pragmatiche, mica campate in aria. Su alcuni punti forse sono andati un po' fuori tema, ma non li si può comunque tacciare di ingenuità.

Gli Indignados combattono la loro battaglia principalmente sul piano del lavoro, esasperati da un tasso di disoccupazione giovanile siderale (addirittura il 45%). A Bruxelles come a Madrid, i potenti devono rendersi conto che gambizzare una generazione non è un modo efficace di uscire dalla crisi. Purtroppo il Governo è troppo impegnato a inventarsi misure rocambolesche per rianimare un Pil moribondo. Non vuole capire che per far risorgere il Paese è indispensabile investire in formazione e occupazione. Anche se i piani di ripresa economica funzionassero davvero, finché non ci sarà un'adeguata tutela del diritto al lavoro, il Paese continuerà a non avere futuro.

Ma non basta. Gli Indignados parlano anche di una metamorfosi completa del sistema. Vogliono una riforma elettorale e una fiscale, una tassa sulle speculazioni finanziarie e la nazionalizzazione delle banche salvate dallo Stato. Vogliono che la monarchia sia abolita, che in politica si combatta la corruzione e che agli indagati non sia permesso di ricandidarsi. Chiedono poi una nuova legge sul finanziamento ai partiti, la soppressione dei fondi alla Chiesa, il decentramento amministrativo. E che siano chiuse tutte le centrali nucleari.

La posizione del governo socialista nei confronti degli Indignados è stata ambigua. Non poteva essere diversamente. Il partito di Zapatero, lo stesso che fino a qualche anno fa era esaltato come l'araldo del rinnovamento europeo, non è mai arrivato così in basso nella classifica di chi promette e non mantiene. Dopo gli ultimi, duri interventi per mettere un freno al deficit galoppante, gli elettori sono scappati. Il rischio però è che, qualora la destra dovesse tornare al governo, nessuna delle richieste degli Indinados troverebbe ascolto; anzi, le politiche economiche, sociali e il rapporto con la chiesa e la monarchia andrebbero proprio nella direzione opposta da quella auspicata dai manifestanti.

Nemmeno tanto tempo fa, Zapatero avrebbe avuto buon gioco a cavalcare l'onda di un movimento giovanile che riscuote tante simpatie in tutto il Paese. Oggi che quel movimento si rivolta contro di lui, il suo imbarazzo è evidente. Forse ha perfino paura. Vorrebbe riavvicinarsi alle piazze, ma è come un elefante che cerca di destreggiarsi in una cristalleria. Quanto all'opposizione, sarebbe troppo chiedere al Partito Popolare di Mariano Rajoy di ricavare qualcosa dagli avvenimenti della settimana scorsa. L'unico tentativo che hanno fatto è stato quello di sfruttare la protesta per attaccare i socialisti. Nemmeno a dirlo, con risultati patetici di questo livello: "Quando governava il Pp nessuno era indignato!". Davvero poco per tirarsi fuori da quella che ormai sembra una plaza de toros nazionale. Gli indignados ce l'hanno anche con loro.

Nel frattempo il movimento si è espanso anche fuori dalla Spagna: Buenos Aires, Bogotà, Città del Messico, Bruxelles, Edimburgo, Berlino, Parigi. E perfino Roma. Solo che da noi, come sempre, arrivano in piazza anche i politici di professione. Magari in sordina, con passo felpato, ma alla fine arrivano. In Spagna li avrebbero cacciati.

 

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