di Michele Paris

Le attività dell’ENI costituiscono da tempo un motivo di apprensione per gli Stati Uniti. L’indipendenza del gigante energetico italiano sembra suscitare profonde preoccupazioni per Washington soprattutto a causa delle relazioni stabilite con la compagnia (semi) pubblica russa Gazprom e del coinvolgimento in progetti estrattivi in Iran. A rivelare le manovre messe in atto da Washington per convincere l’ENI e il suo amministratore delegato, Paolo Scaroni, a conformarsi ad una politica più consona agli obiettivi strategici americani ed europei, sono alcuni cablo recentemente divulgati da Wikileaks, che lasciano intravedere anche i veri motivi che stanno dietro all’aggressione in corso contro il regime di Gheddafi in Libia.

Si deve premettere che gli oltre 250 mila cablo della diplomazia americana su cui ha messo le mani Wikileaks continuano a vedere la luce su svariati giornali di tutto il mondo. Negli USA, la testata McClatchy ha raggiunto un accordo con il sito fondato da Julian Assange per la pubblicazione di quasi 24 mila documenti. Tra questi ve ne sono molti che descrivono con perizia come a guidare la politica estera americana sia principalmente la necessità di controllare le fonti energetiche del pianeta.

Proprio McClatchy ha pubblicato qualche giorno fa due cablogrammi che riguardano l’ENI, redatti dall’ambasciatore americano a Roma tra il 2005 e il 2009, Ronald P. Spogli. Il primo documento è datato 12 gennaio 2007 e indirizzato al Dipartimento di Stato sotto la classificazione di “segreto”. In esso si racconta di un incontro del precedente 9 gennaio tra Spogli e Scaroni, nel quale quest’ultimo riferisce di un’offerta fatta all’ENI da parte del Ministero dell’Energia iraniano a margine di una conferenza OPEC. I funzionari del governo di Teheran in quell’occasione proposero alla multinazionale italiana la possibilità di investire nei giacimenti petroliferi di Azadegan e South Pars.

Nel diligente resoconto fatto agli americani, Scaroni afferma di aver risposto agli iraniani che l’ENI era interessato all’investimento, ma ad alcune condizioni. I ricavi dell’ENI dovevano essere cioè basati sul prezzo internazionale di petrolio e gas naturale piuttosto che su importi predefiniti in relazione al prodotto estratto, mentre i nuovi investimenti sarebbero dovuti rientrare nell’ambito dei contratti già in essere con l’Iran. In questo modo sarebbe stata soddisfatta la terza condizione posta dal manager italiano, quella di non incorrere nelle sanzioni applicate contro la Repubblica Islamica a causa del suo presunto programma nucleare.

Della proposta iraniana Scaroni aveva discusso con l’allora premier Prodi e con il Ministro degli Esteri D’Alema, e all’ambasciatore USA aveva confermato il desiderio dell’ENI di avere un rapporto trasparente con Washington riguardo i propri rapporti d’affari con l’Iran. Per alleviare i timori statunitensi, Scaroni aveva sottolineato come l’Iran fosse l’unica valida alternativa alla Russia per l’approvvigionamento di gas naturale destinato al mercato Europeo.

Le rassicurazioni di Scaroni non fecero tuttavia nulla per dissipare le perplessità americane. Spogli, infatti, fece intendere chiaramente come il suo governo fosse contrario a qualsiasi investimento che andava a favorire il regime di Teheran. L’ambasciatore americano a Roma sollecitava poi l’Amministrazione Bush a premere allo stesso modo su Scaroni nel corso del suo imminente viaggio a Washington (4 e 5 febbraio 2007) per il forum dell’Aspen Institute su energia e sicurezza.

Per Spogli gli incontri di Scaroni con i funzionari USA sarebbero stati un’eccellente opportunità per far comprendere all’ENI le conseguenze di eventuali nuovi investimenti nel settore energetico dell’Iran, dove la compagnia ha peraltro già investito 2,5 miliardi di dollari a partire dagli anni Cinquanta.

Anche nel secondo cablo pubblicato da McClatchy si riscontrano identiche preoccupazioni per gli affari dell’ENI in Iran (“vorremmo che l’ENI abbandonasse l’Iran”, sostiene senza mezzi termini l’ambasciatore americano), ma a prevalere sono in questo caso le inquietudini per gli stretti legami con Gazprom. La data è quella del 24 aprile 2008 e la classificazione è “confidenziale”. Un’altra visita di Scaroni a Washington, in programma tra il 5 e il 6 maggio dello stesso anno, secondo l’ambasciatore Spogli avrebbe fornito l’opportunità di ricordare “in maniera molto chiara” al numero uno dell’ENI la posizione americana circa le attività della sua compagnia.

Lo scrupolo immediato per gli Stati Uniti è rappresentato dal fatto che ENI è un partner al 50 per cento di Gazprom nel progetto South Stream, il gasdotto che dovrebbe collegare la Russia con l’Europa passando per il Mar Nero. Anche se un dirigente della compagnia italiana aveva confidato all’ambasciata USA che vi erano difficoltà nell’avanzamento del South Stream a causa di contrasti con Serbia e Romania. Per Washington questo progetto continuava a rappresentare una minaccia alla costruzione del gasdotto Nabucco, sponsorizzato dagli stessi americani e dall’Unione Europea per trasportare il gas estratto dai giacimenti nel bacino del Mar Caspio e ridurre così la dipendenza dalle forniture russe.

La diversificazione degli approvvigionamenti europei viene continuamente citata nel cablo diffuso da Wikileaks e ritorna in un passaggio chiave per comprendere forse anche le origini dell’aggressione militare in corso in Libia. L’ambasciatore Spogli fa riferimento a un recente “accordo con Gazprom secondo il quale ENI faciliterebbe l’accesso dei russi ai giacimenti di gas naturale in Nord Africa” - più precisamente in Libia - in cambio della concessione alla stessa ENI di operare in quelli situati in Russia.

Per convincere Scaroni a rinunciare all’alleanza con Gazprom - che nell’ottica americana minaccia il controllo delle ingenti risorse energetiche nordafricane da parte di Washington - si propongono allora pressioni sul premier in pectore Silvio Berlusconi, fresco vincitore dalle elezioni politiche (13 e 14 aprile 2008) e autore della nomina dello stesso manager al vertice dell’ENI nel 2005. Se i rapporti di Berlusconi con Putin sono visti come una complicazione, gli americani intravedono però maggiori possibilità di intesa con altre personalità che stavano per far parte del nascente governo, a partire da Giulio Tremonti.

Al futuro Ministro dell’Economia viene attribuito un commento negativo sulle attività dell’ENI (“è andato troppo in là”) che indicava un possibile malcontento all’interno del nascente gabinetto Berlusconi circa la condotta di Scaroni. Con la consueta fermezza, l’ambasciata americana a Roma - dopo aver citato le accuse di corruzione sollevate in tempi più o meno recenti nei confronti di Scaroni - raccomanda ancora una volta di manifestare all’ENI tutto il dissenso del governo di Washington e di “sollecitare … un riallineamento dei progetti e della politica aziendale agli sforzi dell’UE nel diversificare le fonti dei rifornimenti energetici”.

Mentre dalle precedenti visite negli Stati Uniti Scaroni era tornato con l’impressione che gli affari dell’ENI non rappresentavano motivo di grave preoccupazione per Washington (sostiene il diplomatico americano) nell’imminente incontro dei primi di maggio del 2008 sarebbe stato utile, al contrario, trasmettergli una maggiore consapevolezza della profonda disapprovazione degli USA per la vicinanza a Gazprom e le operazioni condotte in Iran.

Se le iniziative diplomatiche statunitensi non riuscirono nell’obiettivo di escludere la compagnia russa dalla Libia e dal Nord Africa, maggiore successo hanno avuto le operazioni militari attualmente in corso, non a caso duramente criticate da Mosca. Puntualmente, un mese dopo l’inizio dei bombardamenti NATO contro il regime di Gheddafi, i vertici di ENI e Gazprom hanno annunciato, infatti, il congelamento “temporaneo” dell’accordo che avrebbe consentito alla compagnia russa di assicurarsi una buona fetta del petrolio e del gas libico.

Un epilogo inevitabile con l’arrivo delle bombe occidentali sulla Libia e che, come mostrano i documenti resi pubblici da Wikileaks, gli Stati Uniti auspicavano, e per il quale si erano adoperati, a partire almeno dal 2008.

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