di Carlo Musilli

Lo chiamano Saif Al-Adeli, "Spada della Giustizia", ma il suo vero nome è Muhammad Ibrahim Makkawi. Secondo la Cnn, che ha ripreso alcune indiscrezioni apparse sulla stampa pakistana, sarebbe il successore di Bin Laden. Makkawi è un cinquantenne egiziano, ex ufficiale delle Forze speciali poi diventato comandante del ramo di Al Qaeda attivo nel suo Paese. Ci dobbiamo credere? Sembra tanto un'investitura di comodo, arrivata perché proprio non se ne poteva fare a meno.

Pare che negli ultimi giorni la comunità jihadista abbia espresso su internet un certo nervosismo. Dopo la morte dello sceicco, la latitanza del successore non giovava alla loro causa. D'altra parte, Al-Adeli non è stato eletto secondo copione. E' un tantino pericoloso riunire il Consiglio della Shura proprio adesso, quindi alla nomina ci hanno pensato una manciata di leader sparsi tra Afghanistan e Pakistan. Qualcuno dice che tra i fondamentalisti siano nate tensioni perché la scelta è ricaduta su un egiziano: avrebbero preferito un islamico puro, originario della penisola arabica.

Nemmeno questa posizione è tanto credibile. Se non altro perché è egiziano anche Al Zawahiri, ex braccio destro di Osama, da molti considerato suo naturale successore. Era la sua investitura che il mondo aspettava. Secondo Noman Benotman, ex militante di un gruppo libico affiliato al network terroristico e oggi analista a Londra, "il ruolo assunto da Al-Adeli non è di leadership complessiva, ma solo di natura operativa e militare".

Anzi, sempre secondo Benotman, la sua nomina "ad interim" aprirebbe addirittura la strada "all'ascesa di Al Zawahiri", che avrà più tempo per convincere la base dell'organizzazione della propria fedeltà. Pur essendo lui il più vecchio fra i pretendenti al trono (ha 59 anni), i vertici di Al Qaeda in Iraq e nello Yemen hanno già dato l'ok alla sua elezione.

Fin qui tutto chiaro, ma il punto è un altro. Ammettiamo che Bin Laden, prima di beccarsi una pallottola in faccia, avesse avuto ancora un ruolo concreto nel coordinamento dell'intera organizzazione. Ammettiamo che fosse stato ancora un vero capo e non più che altro un simbolo. Che speranze avrebbe avuto un suo eventuale successore di svolgere la stessa funzione? Poche.

Ormai da anni Al Qaeda continua a spezzettarsi come una tavoletta di cioccolata. La nuova frammentazione non è la ragione principale per cui l'organizzazione appare meno pericolosa di un tempo, ma certo rende meno credibile l'immagine del grande burattinaio che regge i fili dal suo misterioso bunker pakistano.

Nella rete dei terroristi, le lotte tra fazioni sono all'ordine del giorno. Le primavere del mondo arabo non hanno sicuramente giovato ai rapporti fra il ramo egiziano e quello libico di Al Qaeda, che già da qualche tempo erano piuttosto conflittuali. Per non parlare delle dispute generazionali all'interno dei singoli schieramenti. O delle visioni contrastanti sulle tattiche e le strategie da seguire.

La maggior parte delle azioni ormai viene progettata e realizzata in completa autonomia dalle diverse cellule. Qua e là nascono ancora gruppi di jihadisti che si autodefiniscono "membri di Al Qaeda", ma che in realtà difficilmente hanno contatti con i vertici dell'organizzazione. In uno scenario del genere, la figura di Bin Laden svolgeva quantomeno una funzione di collante ideologico. Il suo carisma era tale da suscitare una sorta di ammirazione spirituale nei seguaci della guerra santa. Per molti non era più un comandante da seguire direttamente sul campo di battaglia, ma poteva ancora rappresentare un punto di riferimento simbolico per adepti vecchi e nuovi.

Bin Laden poteva. Al Zawahiri, semplicemente, non può. Quel carisma a lui manca. Forse anche per questo l'organizzazione ha scelto di mettere in prima linea, almeno per il momento, uno come Al-Adel. Di natura più pragmatica, la nuova guida potrebbe ispirare un ritorno alle azioni in grande stile.

Il curriculum non gli manca. E' stato lui a ideare gli attacchi del 1998 contro le ambasciate Usa in Kenya e Tanzania che provocarono 86 morti e oltre mille feriti. Fuggito in Iran dopo l'invasione americana dell'Afghanistan, fu messo agli arresti domiciliari. Secondo la stampa araba é stato rilasciato un anno fa e da allora si muove nell'area di confine tra il nord del Pakistan e l'Afghanistan. Sulla sua testa l'Fbi ha messo una taglia da 5 milioni di dollari

Resta da capire quali siano le attuali capacità operative dei terroristi. In Afghanistan non possono più contare sull'appoggio diretto dei talebani, che già da qualche tempo si sono defilati per tentare di riconquistare il potere battendo altre strade. Il Pakistan invece deve recuperare in termini d’immagine dopo l'operazione di Abbottabad, che ha rivelato la sfiducia di Washington nell'intelligence di Islamabad, troppo compromessa con il terrorismo. Ora più che mai ad Al Qaeda servirebbe qualcosa di più che un leader di facciata. La tenaglia tra le esigenze di Washington e quelle di Islamabad é letale.

 

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