di Mario Braconi

Una nuova generazione di “oligarchi” sta razziando le risorse del Sud Africa? A questo sembra alludere la storia che Martin Plaut della BBC racconta nel suo programma radiofonico Crossing Continents. Le miniere di Orkney e di Grootvlei, che davano lavoro ad oltre 5.000 persone, appartenevano alla società Pamodzi Gold Ltd. Ad ottobre 2009, a circa sei mesi dal fallimento della Pamodzi Gold, si è fatto avanti un possibile acquirente, Aurora, con un’offerta di 605 milioni di rand (oltre 60 milioni di euro ai cambi attuali). Un curatore fallimentare, nominato dall’Alta Corte, attribuì ufficialmente ad Aurora il controllo dei due siti a dispetto del fatto che nessuno dei suoi dirigenti potesse vantare un’esperienza, sia pur minima, nell’industria estrattiva. Come vedremo, le credenziali degli alti papaveri della Aurora erano di tipo diverso.

Nonostante le solenni promesse del management ai sindacati, nei primi cinque mesi del 2010 i lavoratori non hanno ricevuto lo stipendio; ad agosto del 2010 un dirigente della Aurora convocò addirittura una conferenza stampa per spiegare che ormai si era al termine del tunnel, e che il giorno successivo le competenze dovute sarebbero state liquidate (una somma che a novembre 2010 si aggirava attorno ai 16 milioni di rand, 1,6 milioni di euro al cambio attuale). Ma non è stato liquidato niente.

Dopo lo sciopero indetto per protesta, Aurora ha cessato le sue operazioni estrattive, lasciando negli stabilimenti solo un centinaio di lavoratori, a svolgere operazioni di manutenzione. Gli oltre 5.000 lavoratori non sono stati propriamente licenziati: semplicemente, non è richiesto il loro lavoro, per cui vivono in un limbo. Non hanno più alcuna fonte di reddito e sono costretti a sopravvivere negli ostelli per minatori, costruzioni-ghetto semi-fatiscenti realizzate a distanza di chilometri dalle miniere. Significativamente, le sole attività che dimostrano una qualche vivacità all’interno di questi villaggi sono i mercatini in cui la gente si scambia cose usate: vestiti, apparecchi elettrici, mobilia.

Non sono mancati episodi drammatici: ad agosto, a Grootvlei, sono stati trovati quattro cadaveri con segni di ferite da arma da fuoco. Secondo il presidente di Aurora, i quattro erano minatori illegali (come se questo bastasse a giustificare il loro assassinio); il sindacato sostiene invece che si trattava di lavoratori messi a riposo forzato, introdottisi illegalmente nella miniera per procurarsi con il proprio lavoro (illegale?) qualcosa da vendere per campare.

Plaut intervista due minatrici rimaste senza salario da più di un anno: il bel volto della signora Primrose Javu è pieno di rabbia e dignità: “E’ dura, sa, vivere della carità degli altri”, confessa al giornalista. Già, perché, per sopravvivere, Primrose e i suoi compagni di sventura possono contare solo sui pacchi-dono di alimentari, gentilmente messi a disposizione da qualche “filantropo” tutt’altro che disinteressato. In tempi migliori, a regalare cibarie era il sindacato, il NUM (National Union of Mineworkers).

Ma oggi quell’istituzione tanto vicina al potere (ovvero all’African National Congress), rimasta con le mani in mano di fronte allo scempio, è comprensibilmente non molto popolare. In compenso, sono molto attivi quelli dell’ANC, subentrati al sindacato, guarda caso in tempo di elezioni. Ma Primrose, e le persone come lei l’hanno capito e lo dichiarano alla stampa senza tanti giri di parole: quelli dell’African National Congress, mirano solo ai voti degli ex-minatori disperati.

Il rappresentante di un’altra sigla sindacale, più rappresentativa dei lavoratori specializzati, fa notare anche che, da quando le mani di Aurora si sono piazzate sulla facility di Grootvlei, la miniera è stata saccheggiata di tutta l’attrezzatura di valore, presumibilmente rivenduta come materiale di scarto: un vero e proprio furto, dato che ad oggi Aurora non ha ancora tirato fuori nemmeno uno degli oltre 600 milioni di rand che si era impegnata a pagare in sede di selezione. E dire che un dirigente di alto livello parlò di fatturati potenziali compresi tra i cinque e i dieci miliardi di dollari, da sviluppare in pochi anni.

Com’è possibile che le istituzioni sudafricane ignorino questo dramma, restando indifferenti agli abusi e alle violenze di Aurora? Forse la risposta è nella composizione dei primi livelli della dirigenza di Aurora: amministratore delegato di Aurora è infatti Zondwa Gadaffi Mandela, nipote di Nelson, mentre il presidente è Khulubuse Zuma, nipote dell’attuale presidente. Né si può dire che quanto sta accadendo a Orkney e a Grootvlei sia un caso isolato; molto scalpore ha suscitato nel Paese anche la vendita del 26% della ArcelorMittal South Africa all’Ayigobi Consortium, di cui è membro anche il figlio di Zuma, Duduzane.

Per usare le parole di Steven Friedman, direttore del "Johannesburg’s Centre for The Study of Democracy", queste sono dimostrazioni di come “taluni, facendo leva sui contatti politici più che sulle competenze, riescano a mettere le mani sulle risorse del paese a danno dei lavoratori”. Segno dunque che la giovane democrazia sudafricana, nata dalle ceneri dell’abominio razzista, deve oggi lottare anche contro nemici meno ovvi di quelli di un tempo: corruzione e nepotismo prima di tutto. Senza dimenticare ovviamente gli interessi esteri: secondo Bloomberg, infatti, la filiale tedesca della nostra Unicredit è tra i creditori più esposti verso Aurora, che rischia di passare alla storia come l’azienda sudafricana che affama i sudafricani.

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