di Roberta Pasini

E' giunta da pochi giorni la tanto attesa notizia dell'abolizione dello stato di emergenza in Siria in vigore senza interruzione da quasi 50 anni. L'eliminazione della legge d'emergenza appare a prima vista una vittoria significativa del movimento riformista siriano, che si è destato il 18 marzo scorso travolto, o forse sarebbe meglio dire ispirato, dal contestuale risveglio della società civile negli altri paesi arabi.

Lo stato di emergenza venne promulgato nel 1963, dopo che il partito Ba'ath salì al potere l'8 marzo dello stesso anno, ed è la legge che ha sottratto i cittadini siriani alla protezione costituzionale limitandone le libertà civili e individuali. Grazie a questa legge il regime siriano ha potuto estendere il suo rigido controllo sulla popolazione attraverso l'indiscriminato arresto dei cittadini sospettati di mettere a repentaglio la sicurezza dello stato.

A diffondere la notizia è stata l'agenzia stampa governativa Sana che annunciava la fine dello stato di emergenza, l'abolizione della Corte Suprema di Sicurezza dello Stato, organo responsabile dei processi ai prigionieri politici, e una nuova regolamentazione che prevede il diritto di protestare pacificamente, previa autorizzazione del Ministero degli Interni.

Lo stesso giorno però, sempre sull'agenzia Sana, appare il messaggio del Ministro degli Interni che fa appello ai cittadini siriani affinchè ''contribuiscano alla realizzazione della stabilità e sicurezza (del paese)'' e si ''astengano da qualsiasi manifestazione, marcia, o sit-in di qualsiasi tipo''. Una sorta di appello che suona più come una minaccia per chi avesse intenzione di continuare le proteste pubbliche.

Tra le altre proposte di legge discusse si parla anche di alcune riforme economiche per la creazione di 10.000 nuovi posti di lavoro in posti pubblici e per favorire l'impiego giovanile e contrastare in questo modo la crescente crisi economica. Il Presidente Bashar al-Asad assicura infine che nelle intenzioni del governo c'è in programma anche una nuova legge di riforma che regoli l’attività dei partiti politici e dei mezzi d’informazione.

Intanto questo primo importante decreto per l'abrogazione della legge di emergenza, dopo essere stato approvato dal Consiglio dei Ministri, per entrare pienamente in vigore deve aspettare l'approvazione del Parlamento che con tutta probabilità non si riunirà prima d’inizio maggio. Ma aldilà dei tempi tecnici, questo importante e simbolico atto di riforma politica rimane offuscato da meno ecclatanti ma ugualmente preoccupanti segnali contraddittori.

A cominciare dalle definizioni che le autorità governative stanno usando per descrivere le manifestazioni di protesta e di malcontento di un numero crescente di cittadini. Inizialmente indicati come ''atti di sabotaggio'', lunedì scorso il Ministro degli Interni non ha esitato ad attribuire i disordini che stanno agitando la Siria a ''un'insurrezione armata di gruppi armati appartenti a organizzazioni salafite (gruppi islamisti radicali ndr), specialmente nelle città di Homs e Baniyas''. Il linguaggio politico usato dal regime non lascia presagire una sostanziale inversione di rotta, ma al contrario legittima la repressione.

Passando dalle parole ai fatti, ben più allarmante è stata la reazione delle forze di sicurezza durante le manifestazioni a Homs, città industriale a nord di Damasco, dove solo poche ore dopo la notizia dell'eliminazione dello stato di emergenza, le forze di polizia non hanno esitato a sparare sulla folla, provocando un numero ancora non accertato di morti. Non solo uccisioni ma anche nuove ondate di arresti. Lunedì sera, sempre dalla città di Homs, arriva la notizia della cattura del militante di opposizione, Mahmud Issa, prelevato dalla propria abitazione dalle forze di sicurezza siriane dopo un'intervista con l'emittente televisiva al-Jazeera.

Non è la prima volta che le autorità siriane incarcerano Mahmud Issa, conosciuto per il suo impegno a favore della democrazia. L'ultima volta nel 2006, quando scontò una pena di tre anni di reclusione, reo di aver firmato la Dichiarazione di Beirut-Damasco con la quale 300 attivisti e intellettuali chiedevano la normalizzazione delle relazioni tra i due paesi dopo l'assassinio di Rafiq Hariri a Beirut del 2005.

Nemmeno dopo l'approvazione della fine della legge d'emergenza sono stati bloccati gli arresti arbitrari, che stanno proseguendo anche in questi giorni. Attivisti on line denunciano l'arresto e le percosse ai danni di decine di manifestanti, soprattutto giovani e studenti, durante le agitazioni degli ultimi giorni che si stanno verificando in diverse città della Siria. Le stime arrivano a calcolare almeno un centinaio di arresti.

Manifestazioni studentesche sono state organizzate ieri presso le Università di Aleppo, Damasco, al-Hasakah e Daraa, manifestazioni che sono continuate anche oggi. Secondo al-Jazeera solo ad Aleppo sono almeno 37 gli studenti arrestati. Altre città, piccole e grandi, in cui si sono registrate manifestazioni sono Homs a nord di Damasco, Baniyas, Lattakia e Saraqib a nord-est del paese, e al-Kiswah, a sud.

Sembra difficile a questo punto che la popolazione faccia marcia indietro, dimenticando i morti e gli arresti che il governo sordo alle richieste di maggiori libertà civili ha provocato. Dalle iniziali, timide invocazioni ''il popolo siriano non deve essere umiliato'', le rivendicazioni politiche per la libertà si sono fatte via via più precise, chiedendo la liberazione dei prigionieri, la fine delle leggi d'emergenza e l'attuazione di riforme democratiche, si è arrivati ora a richiedere a voce chiara e ferma la caduta del governo, rivendicazione impensabile solo fino a qualche settimana fa.

La maggior parte dei commentatori concorda nel dire che l'abrogazione dello stato d'emergenza, oltre ad arrivare con troppo ritardo nel tentativo di sedare le rivolte, non sarà sufficiente a migliorare le condizioni dei diritti civili in Siria se non sarà accompagnata da ulteriori radicali trasformazioni del regime. Nonostante, infatti, questa sia la principale forma di limitazione delle libertà civili, che proibisce incontri pubblici tra i cittadini e consente l'arresto di chiunque sia sospettato di costituire una minaccia per la sicurezza dello stato, se questo provvedimento non sarà accompagnato da un cambio di politica reale e dall'introduzione di ulteriori leggi che limitino il potere delle forze di sicurezza e dei servizi segreti, vera fonte di terrore per i cittadini, da solo non basterà a placare il dissenso della popolazione.

Le ''vere'' riforme auspicate dagli attivisti per i diritti umani e la democrazia prevedono, oltre all'abolizione dello stato di emergenza, la liberazione di tutti i prigionieri politici incarcerati proprio in virtù di questa legge speciale e la cancellazione delle attuali procedure giudiziarie che consentono l'applicazione della legge militare anche per processi civili. Nel frattempo, invece, il governo si prepara ad elaborare una nuova legge per la cosiddetta lotta contro il terrorismo, che potrebbe rivelarsi anche peggiore dello stato d'emergenza.

 

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