di Alberto Novelli

Poco meno di 80 giorni. Sono quelli che separano il continente africano dalla nascita del suo 55esimo stato, che dovrebbe chiamarsi, a meno di sconvolgimenti dell’ ultim’ora,  Repubblica del Sud Sudan. Il 9 Luglio si dovrebbe infatti porre fine ai 6 anni del Comprehensive Peace Agreement (CPA), siglati nel 2005 a Naivasha, in Kenya, tra  il National Congress Party ( NCP), partito al governo del Sudan dal 1989 e il Sudan People Liberation Movement/Army (SPLM/A), guidato dal defunto John Garang de Mabior e assunto come unico rappresentante delle istanze delle popolazioni sud sudanesi, dopo decenni di guerra civile tra il Nord prevalentemente arabo e musulmano e il Sud popolato di tribù africane cristiano-animiste.

Da allora molte cose sono cambiate, a cominciare dalla morte del grande leader John  Garang, che era riuscito, talvolta con la forza talvolta con il suo carisma, spesso con una combinazione di entrambi, a  canalizzare le istanze indipendentiste del sud in un unico movimento. Inoltre, nonostante il momentum iniziale, molti punti chiave del CPA non sono stati implementati. Per citarne alcuni, Nord e Sud non hanno ancora trovato accordi definitivi sulla divisione delle risorse economiche (principalmente petrolio e acqua), sulla futura cittadinanza dei cittadini sud-sudanesi residenti al Nord e viceversa e sulla demarcazione del confine tra Nord e Sud. A tutto questo si aggiunge uno sviluppo economico che tarda ad arrivare e investitori stranieri che latitano a causa - in parte - del clima di instabilità e delle tensioni ancora troppo forti.

Per questo ed altri motivi le paure e i timori della comunità internazionale e di alcuni Sud Sudanesi stessi sono riposti sulla capacità del nuovo stato di far fronte a queste enormi sfide ed evitare di implodere su se stesso, trascinando così ancora una volta il Sudan e l’ intera regione nel caos. A Gennaio di quest’anno la comunità internazionale nella sua totalità si era congratulata per il successo del referendum per la secessione, in cui più del 95% dei Sud Sudanesi, si é espresso a favore dell’ indipendenza dal Nord, a seguito di una settimana di votazioni che hanno richiesto uno sforzo enorme da parte della Missione delle Nazioni Unite (UNMIS) e del Governo del Sud Sudan, in termini di sicurezza e organizzazione logistica.

Il referendum seguiva di qualche mese le elezioni politiche, tenutesi ad Aprile 2010. Nonostante un giudizio tutto sommato positivo sul processo elettorale, non si possono dimenticare, per gli effetti che stiamo vedendo in questi giorni, le accuse reciproche di frodi e intimidazioni e il consolidamento al potere del Sudan People Liberation Movement (SPLM) a discapito delle forze di opposizione e dei candidati indipendenti.

Le elezioni hanno riportato alla superficie - e in alcuni casi creato dal nulla -  antagonismi e rivalità che in questi mesi successivi al referendum stanno creando enormi problemi di stabilità interna e ponendo una minaccia seria al governo embrionico Sud Sudanese  prima ancora del suo consolidamento e del riconoscimento da parte dalla comunità internazionale. Il caso più eclatante é quello della ribellione del Generale George Athor nello stato di Jonglei.

Jonglei é storicamente una delle regioni più complicate del Sud Sudan, a causa delle divisione etniche (Dinka, Nuer e Murle) e della sua estensione geografica, che rende il dispiegamento di forze di sicurezza (Polizia e SPLA), così come di altre autorità statali, molto difficile, se non impossibile durante la stagione delle pioggie. Athor ha militato tra gli alti ranghi del SPLA per parecchi anni prima di dimettersi per concorrere come candidato indipendente per la posizione di Governatore di Jonglei State.

Come successo in altri stati, la sua sconfitta a favore del candidato ufficiale del SPLM ha dato il via a una serie di tensioni/scontri che sono sfociati in una vera e propria ribellione. Dopo la sconfitta Athor ha disertato e arruolato decine di soldati tra le sue fila. Da un anno a questa parte, le forze di Athor si continuano a scontrarsi con quelle governative al confine tra gli stati di Jonglei e Upper Nile, causando morti, spostamenti interni e instabilità.

Lo scontro é culminato nel febbraio 2011, quando le forze di Athor e l’SPLA hanno rotto il cessate il fuoco che era stato raggiunto con l‘aiuto del Presidente Kiir e siglato il 5 Gennaio, pochi giorni prima del referendum, e si sono scontrate nel nord di Jonglei, lasciando più di 200 persone, tra cui molti civili, vittime.

Da allora, nessun progresso significativo é stato compiuto e le due parti sembra siano in attesa dell’ indipendenza prossima per decidere quale strategia adottare. A inizio 2011, l’SPLA è stata duramente impegnata anche nello stato di Unity, per contrastare e sedare i gruppi armati guidati dagli ex-SPLA Gatluak Gai e James Gai Yoach, presumibilmente legati, direttamente o indirettamente, a George Athor stesso. Sono di questi giorni rapporti confidenziali che indicano un reclutamento forzato di nuove reclute tra la popolazione civile di Unity da impiegare nella lotta a queste milizie.

Sebbene il gruppo di Athor rappresenti la punta dell’ iceberg, il problema é più vasto e riguarda il controllo quasi esclusivo che l’ SPLM/A, in quanto rappresentante della lotta di liberazione e firmatario del CPA, ha esercitato e continua ad esercitare sul potere legislativo ed esecutivo in Sud Sudan. Al tempo stesso, la situazione é resa instabile dalla brama di potere di coloro che hanno preso parte alla guerra civile ma non sono stati ricompensati a sufficienza, dal loro punto di vista, con cariche governative e/o di potere e che vedono nella creazione del nuovo stato opportunità di incarichi prestigiosi e/o profittevoli.

In seguito alla defezione di Athor, altri ex-generali o personalità più o meno note hanno seguito le sue tracce e organizzato rivolte in varie parti del Sud Sudan. Tra gli altri, Gabirel Tang Ginye in Jonglei, un ex leader delle milizie sudiste diventato Maggiore Generale tra le fila delle Sudan Armed Forces (SAF, l’ esercito di Khartoum), e che ha il controllo di buona parte dell’ SPLA nello Stato Upper Nile. O, ancora, Peter Gadet, Maggiore Generale dell’ SPLA, che durante la Guerra Civile é stato legato al leader delle South Sudan Defence Forces Paulino Matip.

La defezione di Gadet é particolarmente preoccupante, vista la sua influenza nella tribù Nuer a cui appartiene e la facilità con cui durante la guerra si schierò col Nord dopo la divisione nell’ SPLA del 1991. Come per George Athor, alcune fonti tra i ranghi dell’ SPLM/A ritengono che questi personaggi ricevano supporto logisitico e armi dal Governo Cebtrale a Khartoum, che beneficierebbe del clima di instabilità in Sud Sudan.

Che queste accuse trovino fondamento oppure no, per sopravvivere agli scossoni di assestamento che seguiranno inevitabilmente l’indipendenza del 9 Luglio, il Governo Sud Sudanese dovrà adottare un approccio improntato all’inclusione delle forze e dei partiti di opposizione, e gestire le aspettative della popolazione civile cominciando a fornire quei “peace dividends” da troppo tempo attesi.

Oltre a questo compito non facile, é necessario fin da ora adottare una strategia comune per sedare le ribellioni. Se alcuni esponenti del governo e analisti politici optano per un inclusione dei generali ribelli e dei loro uomini nella sfera politica tramite la distribuzione di alte cariche e assunzioni a pioggia nella pubblica amministrazione, altri sono convinti che tale apertura potrebbe lanciare un gesto sbagliato e invogliare altri leader locali a seguire le loro orme. 

 

 

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