di Michele Paris

Con un ennesimo voltafaccia, qualche giorno fa l’amministrazione Obama ha annunciato la rinuncia a qualsiasi tentativo di garantire un processo equo a cinque detenuti nel carcere di Guantánamo accusati di aver progettato gli attacchi dell’11 settembre 2001. Il cambiamento di rotta della Casa Bianca nega ai presunti terroristi la garanzia di un giudizio di fronte ad un tribunale civile e, invece, rimette in moto il discutibile sistema fondato sui tribunali militari istituito da George W. Bush, i cui sistemi di “lotta al terrore” il presidente democratico ha ormai finito per abbracciare completamente.

La decisione, che ha di fatto smentito quanto da lui stesso stabilito poco più di un anno fa, è stata resa nota dal Ministro della Giustizia americano (Attorney General), Eric H. Holder, in una conferenza stampa. Dietro sua indicazione, i pubblici ministeri militari di Guantánamo potranno ora presentare le loro accuse di crimini di guerra contro gli imputati.

L’accusato di spicco è Khalid Sheikh Mohammed, pakistano membro di Al-Qaeda, ritenuto una delle menti degli attentati alle Torri Gemelli. Con lui saranno alla sbarra anche gli yemeniti Waleed bin Attash, accusato di essere a capo di un campo di addestramento in Afghanistan, e Ramzi bin al-Shibh, sospettato di aver selezionato le scuole negli USA dove i dirottatori presero lezioni di volo.

Insieme a lui anche il pakistano Ali Abd al-Aziz Ali (ovvero Ammar al-Baluchi), accusato di aver facilitato l’ingresso degli attentatori negli Stati Uniti e di aver trasferito loro circa 120 mila dollari per far fronte alle spese, e il saudita Mustafa al-Hawsawi, anch’egli sospettato di aver aiutato economicamente e materialmente gli autori degli attacchi.

Nel novembre 2009 era stato appunto lo stesso Holder a deliberare che il processo a questi cinque imputati doveva essere celebrato in una corte civile di New York, sollevando immediate polemiche da più parti. Nei mesi successivi, il Congresso, con l’appoggio di parlamentari repubblicani e democratici, aveva allora approvato una serie di provvedimenti per impedire lo stanziamento di fondi per trasferire i detenuti di Guantánamo sul suolo americano.

Di fronte alla dura opposizione bipartisan, l’amministrazione Obama aveva così fissato una serie di procedure per dare una parvenza di legalità al sistema dei tribunali militari. Ai primi di marzo, poi, era giunta la decisione del presidente di annullare l’ordine da lui emanato due anni prima e che fermava gli stessi procedimenti militari contro i presunti terroristi.

Il più recente annuncio di Holder, infine, ha suggellato la definitiva rinuncia da parte del governo americano di smantellare l’edificio pseudo-legale costruito da Bush per combattere il terrorismo dopo l’11 settembre e che Obama aveva fortemente criticato durante la campagna elettorale per la Casa Bianca.

Lo stesso proposito iniziale dell’attuale amministrazione prevedeva in realtà un doppio approccio alle sorti dei detenuti di Guantánamo. Il dirottamento verso i tribunali civili doveva riguardare infatti soltanto alcuni casi, mentre per i prigionieri più problematici - cioè quelli troppo pericolosi per essere eventualmente rilasciati e allo stesso tempo difficilmente perseguibili in sede civile - rimaneva l’opzione della detenzione indefinita senza alcun processo.

Il tentativo, ora definitivamente abortito, di istituire alcuni procedimenti civili non era insomma nient’altro che una manovra esteriore, adottata per dimostrare la volontà di prendere le distanze dagli eccessi della precedente amministrazione. Nonostante l’ordine firmato da Obama all’indomani del suo insediamento nel gennaio 2009, infatti, non si è mai andati nemmeno vicini alla chiusura del carcere di Guantánamo e, in ogni caso, le detenzioni senza fondamento legale sono proseguite.

Mentre i repubblicani e buona parte dei democratici al Congresso hanno applaudito al voltafaccia di Obama, le associazioni a difesa dei diritti umani hanno mostrato tutto il loro sdegno. Il direttore dell’ACLU (American Civil Liberties Union), Anthony Romero, ha definito “il cambio di rotta del Ministro della Giustizia devastante per il sistema legale” americano.

Nel dicembre 2008, Khalid Sheikh Mohammed e gli altri quattro co-imputati avevano espresso l’intenzione di dichiararsi colpevoli anche di fronte ad un tribunale militare. L’arrivo di Obama alla Casa Bianca poco più tardi aveva però bloccato il lavoro delle commissioni di Guantánamo, ordinando la revisione dell’intera politica del suo predecessore.

Per gli oppositori dei processi civili nei confronti dei presunti ideatori dell’11 settembre i timori principali sembrano essere legati a motivi di sicurezza. Soprattutto, però, a destare preoccupazioni tra i falchi dell’antiterrorismo negli USA è la possibilità che gli stessi imputati possano anche non essere condannati in sede civile, come accadde in parte ad Ahmed Khalfan Ghailani, accusato degli attentati alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania del 1998 e prosciolto da ben 280 capi d’accusa da un tribunale civile di New York.

Il ricorso esclusivo alle commissioni militari, in definitiva, rappresenta un sistema di dubbia legalità per avere la certezza che gli imputati non potranno sfuggire ad una condanna. Un obiettivo quest’ultimo troppo incerto con un procedimento civile che fornisca pieni diritti alla difesa.

In un tribunale civile, inoltre, esiste il rischio concreto di mettere in piazza ancora una volta i sistemi brutali impiegati in questi anni nei confronti dei detenuti con l’accusa di terrorismo, per non parlare degli oscuri legami tra l’intelligence d’oltreoceano e gruppi terroristici come Al-Qaeda.

Le cosiddette prove di colpevolezza sono state infatti frequentemente estorte tramite tortura o grazie a testimonianze tutt’altro che affidabili. Metodi insomma non ammissibili per la giustizia civile. Lo stesso Khalid Sheikh Mohammed, come ammesso dal governo americano, è stato sottoposto a “waterboarding” in ben 183 occasioni.

Con la ratifica dei tribunali militari per i detenuti definiti “nemici combattenti illegittimi” dal Military Commissions Act firmato da Bush nel 2006, l’amministrazione Obama continua così a negare ai sospettati di terrorismo i diritti costituzionali previsti dal sistema legale statunitense e assicura tristemente la permanenza in vigore di quei sistemi aberranti che hanno segnato una delle pagine più nere della storia americana.

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