di Eugenio Roscini Vitali

Davanti al centro congressi  Binyanei Haouma, lungo la strada che da Gerusalemme porta a Tel Aviv, alle 15:15 del 23 marzo, in un momento della giornata in cui i mezzi pubblici sono normalmente molto affollati, una bomba, sistemata in una borsa posta accanto ad un telefono pubblico, è esplosa nei pressi di un’affollata fermata di un autobus. Lo scoppio, che ha investito l’autobus che serve la linea 74 e alcune auto di passaggio, ha provocato la morte di una donna di 59 anni, deceduta dopo il trasporto all’ospedale Hadassah Ein Kerem, e il ferimento di altre 35 persone, in gran parte giovani, alcuni dei quali versano in gravi condizioni.

Erano circa tre anni che la città santa non veniva investita da un atto terroristico, dal massacro del 6 marzo 2008, costato la vita a otto studenti della scuola talmudica Mercaz Harav. L’attentato dello scorso 23 marzo esplode in un momento di stallo dei negoziati di pace israelo-palestinesi e in un periodo nel quale si registra un forte aumento della tensione con la Striscia di Gaza.

Anche se tuttora non ci sono state rivendicazioni, la polizia ha definito l’esplosione un "attacco terroristico" e, secondo il ministro della Sicurezza interna, Yitzhak Aharonovitch, sarebbe stata usata una carica di quasi due chilogrammi, collegata a un traliccio della linea telefonica. Nei quasi cinquanta attacchi dinamitardi che tra il 1990 e il 2012 hanno colpito la città santa, hanno perso la vita 260 persone; l’ultimo contro un mezzo pubblico risale al 14 febbraio 2004, 8 morti ed oltre 60 feriti causati dall’esplosione di un autobus della linea 14 saltato in aria a poca distanza dall’Hotel King David e dell’Inbad Hotel, mentre percorreva la grande via di comunicazione di Emek Refaim. Solo pochi giorni prima, il 29 gennaio, un kamikaze delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa si era fatto esplodere all’interno di un altro mezzo pubblico, un bus della linea 19 che dall’ospedale Hadassah Ein Kerem porta al Monte Scopus: 11 morti e 48 feriti.

L'esplosione di Binyanei Haouma avviene a pochi giorni dal vile massacro di Itamar e coincide con un aumento delle violenze lungo il confine con Gaza. E’ per questo che il primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, ha rinviato la visita programmata in Russia preferendo intervenire alla Knesset per promettere “ferma determinazione” contro “le organizzazioni terroristiche”.

Parlando all’Army Radio il vice primo ministro, Silvan Shalom, ha ricordato che la situazione sembra simile a quella che il 27 dicembre 2008 portò all’offensiva Piombo fuso; ai microfoni della radio dell’esercito israeliano, Shalom ha affermato che «Israele potrebbe dover considerare una nuova offensiva contro Gaza, anche se mi rendo conto che una cosa del genere di certo degraderebbe la situazione regionale, rendendola ancor più infiammabile».

Dall’inizio dell’anno dalla Striscia di Gaza sono stati lanciati 54 razzi e centinai di colpi di mortaio, ai quali Israele ha replicato con incursioni via terra, fuoco diretto e bombardamenti aerei. Tra il 20 e il 23 marzo quattro missili BM-21 (Grad) hanno colpito le città di Ashkelon, Ashdod e Beersheba, il più grande centro urbano della regione meridionale del Negev. Gli attacchi, rivendicati dalle Brigate al-Quds, braccio militare del Jihad islamico, e dalle brigate Abu Ali Mustafa, ala militare del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, hanno causato il ferimento di cinque persone; pesante l’uso dei razzi Qassam e dei mortai da 120 mm che da molti giorni stanno colpendo obbiettivi militari e civili nei nafot (sotto-distretti) di Sha’ar Hanegev, Eshkol e Sdot Hanegev.

La rappresaglia israeliana non si è fatta attendere e tra il 23 e il 25 marzo le incursioni terrestri e i raid aerei hanno messo sotto pressione l’intera Striscia di Gaza: fonti palestinesi parlano di 9 arabi uccisi in meno di 48 ore - tre dei quali bambini - e di oltre 40 feriti; i colpi di cannone e gli elicotteri Apache avrebbero centrato le abitazioni civili di Gaza City, il campo di calcio del quartiere di ash-Shuja’iyah, l’area orientale di Nahal Oz e il quartiere meridionale di az-Zaytuna.

Gli F15 avrebbero poi bombardato i tunnel al confine con l’Egitto e un’area agricola ad est di Gaza City, bersagliato la rete elettrica e causato il blocco dell’erogazione di energia; le forze speciali dell’esercito sono entrate in territorio palestinese da Beit Lahiya e si sono insediate nell’area settentrionale di Borah Abu Samrah. Nell’area di Shaiykh ‘Ajilyn, lungo la strada costiera a nord ovest di Gaza City, un velivolo da ricognizione ha colpito un grande ritratto dello Sceicco Ahmed Yassin, fondatore del Movimento di resistenza islamica palestinese, e un’immagine raffigurante il premier Isma’il Haniyah.

Con parole particolarmente severe il premier dell’Autorità Nazionale Palestinese, Salam Fayyad, ha definito l’attentato di Gerusalemme un’operazione terroristica totalmente incompatibili con le legittime istanze di libertà del popolo palestinese: «Ritengo vergognoso che si trovino ancora palestinesi disposti a giustificare tali episodi dopo tutti i torti che da azioni simili sono derivati alla causa del nostro popolo». Simile la posizione del presidente Abu Mazen, che al contempo ha però ribadito la denuncia contro le recenti rappresaglie israeliane a Gaza.

Secondo alcuni analisti la dirigenza dell’Autorità Palestinese e i vertici di Fatah starebbero cercando un riavvicinamento con Hamas; la scorsa settimana Abu Mazen aveva dichiarato di voler porre fine alla spaccatura che divide i palestinesi e di essere pronto a recarsi di persona nella striscia di Gaza. L’obiettivo sarebbe creare un governo palestinese di unità nazionale e di preparare lo Stato Palestinese a nuove elezioni presidenziali e parlamentari, aprendo alle richieste che vengono dal basso, pressioni che a Gaza e in Cisgiordania spingono affinché i due tronconi della dirigenza palestinese mettano finalmente da parte ogni divergenza.

 

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