di Giovanni Gnazzi

Cambierà qualcosa per le teste, le mura, le strade e le notti dei libici sapere che da ora saranno bombardati dalla Nato piuttosto che dai “volenterosi”? Comanda la Nato? Comandano Parigi o Londra? Comanda chi più bombarda? Comanda chi prima si sveglia? La Risoluzione Onu sulla Libia, precisamente la numero 1973, sembra decisamente essere la risoluzione più interpretabile mai uscita dalla storia delle Nazioni Unite.

Eppure, per quanto generica nelle sue modalità applicative, essa contiene un obiettivo decisamente chiaro: far cessare i bombardamenti aerei sulle popolazioni. Perfetto, no? Beh mica tanto. Per salvare la popolazione libica, si spara sulla popolazione libica. Per impedire che gli aerei libici si alzino in volo a bombardare, si bombarda tutto ciò che cammina e tutto ciò che sta in piedi. Per impedire che il governo abbia la meglio sugli insorti, si sostengono gli insorti contro il governo. E ieri sera i bombardieri occidentali hanno attaccato le truppe di terra, tanto per impedirgli di volare, si suppone.

La mossa del governo italiano, di tentare di limitare lo strabordare di Parigi e Londra chiedendo il comando Nato sulle operazioni, è parzialmente fallita. Gli Stati Uniti, che della Nato ne sono a tutti gli effetti proprietari e che la usano come bodyguard dei loro interessi planetari, hanno comunque assegnato a un comando congiunto franco-britannico la direzione della guerra. Quindi certo, niente più un assembramento di volenterosi: il comando sarà Nato, ma francesi e inglesi ne saranno gli interopreti operativi.

Che la Norvegia si sia ritirata, che la Turchia, la Russia e la stessa Lega Araba abbiano duramente condannato l’andamento delle operazioni sul campo e che la Germania abbia ribadito la volontà di non partecipare all’avventura, non altera la discussione sul pur traballante tavolo su cui si disegna lo scenario di guerra. Cambia dunque la veste formale della catena di comando, ma non quella sostanziale. In questo senso, per l’Italia, cambia molto poco: cavalier servente e maggiordomo era, e tale resterà.

Presterà basi, strutture, aerei e uomini e riceverà in cambio zero peso politico e militare, per incassare invece tutte le problematiche inerenti ai flussi migratori che dalla guerra di Libia deriveranno. Per non parlare poi del bottino di guerra, che vedrà le imprese energetiche francesi e inglesi prendere il posto dell’Eni. Dalla Libia l’Italia riceve il 26% del petrolio e il 25% del gas di cui ha bisogno e la bilancia degli scambi pende a nostro favore per 30 miliardi di euro all’anno. Tutti dati che verranno robustamente rivisti.

Per tornare all’attacco militare, il fatto che l’operazione si svolga sotto l’egida Nato otterrà come unico risultato quello di vedere la marcia indietro di alcune monarchie feudali del Golfo, che dovranno abbandonare l’unità fraterna con i monarchici libici e, ritirandosi nel nome di Allah, si limiteranno a pagare il conto degli infedeli. La mossa italiana è arrivata troppo tardi e, comunque, di tutte le mosse possibili, sembrava soprattutto quella della disperazione.

Roma poteva rifiutarsi di partecipare alla guerra, così come altri paesi, altrettanto filo atlantici, hanno fatto. Poteva proporsi come mediatore nella crisi, visti i rapporti tra il sultano di Arcore e il rais di Tripoli; poteva chiamarsi fuori visto il centenario della sua invasione della Libia, che se non altro a livello simbolico avrebbe meritato davvero maggiore senso della decenza. E comunque avrebbe potuto sbattere i pugni sul tavolo a Parigi, durante il Consiglio di guerra orchestrato allo scopo di far credere che “odissea all’alba” fosse davvero una missione umanitaria invece che una spedizione coloniale, imponendo condizioni e procedure per il rispetto integrale della Risoluzione 1973 e non per la sua interpretazione estensiva e criminale che Parigi e Londra hanno scelto a tutela dei loro interessi.

Roma, infine, avrebbe potuto proporre l’esilio a Gheddafi in cambio della cessazione dei bombardamenti. Non ha fatto nulla di tutto ciò l’Italia: stretta tra la mancanza di credibilità, causa la relazione incestuosa intrattenuta con il rais libico e quella di dignità nazionale, da tempo soppressa sull’altare della messa cantata che ci vede camerieri dell’Alleanza atlantica, balbetta ora distinguo ipocriti. Le diverse posizioni emerse all’interno del governo non hanno nemmeno ragione in vedute diverse della politica estera, hanno come unico sfondo le valutazioni elettorali per le prossime amministrative. E del resto: se non ci prendeva sul serio Tripoli, perché mai dovrebbero farlo Parigi e Londra?

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