di Carlo Musilli

La campanella che ha svegliato l'Onu dal suo sonno diplomatico, stavolta, si chiama Barack Obama. Con una presa di posizione fra le più dure del suo mandato, il presidente degli Stati Uniti ha firmato venerdì scorso una serie di sanzioni contro la Libia, aggiungendo poi che Gheddafi "se ne deve andare ora, per il bene del suo Paese", avendo "perso ogni credibilità e legittimità a governare".

Dopo l'intervento americano è finalmente arrivato l'accordo anche fra i quindici membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che, in linea con l'Unione Europea, ieri notte hanno approvato la risoluzione contro il regime libico. I 192 paesi che fanno parte delle Nazioni Unite dovranno imporre un embargo sulle forniture di armi verso Tripoli e congelare i beni del Colonnello e dei suoi familiari, a cui si impedirà anche di viaggiare nell'Unione Europea. Il documento prevede sanzioni specifiche contro Gheddafi, otto dei suoi figli, due cugini implicati nel massacro dei dissidenti e altri undici esponenti del regime. Fra questi figurano il capo delle Forze Armate, il ministro della Difesa e il capo dell'antiterrorismo.

La risoluzione contiene inoltre il deferimento del rais alla Corte penale internazionale dell'Aja, competente in tema di crimini di guerra e contro l'umanità. Proprio questo è stato il nodo più difficile da sciogliere, a quanto pare, a causa della Cina, membro permanente del Consiglio di Sicurezza Onu con potere di veto. Anche a Pechino c'è un regime che, com'è ovvio, non vede di buon occhio il Tribunale dell'Aja. Per questo pare che i cinesi, pur non discutendo nella sostanza il contenuto delle sanzioni alla Libia, abbiano chiesto di sfumare il riferimento al possibile intervento della Corte internazionale. Nel Palazzo di Vetro si è seriamente temuto che il gigante asiatico si mettesse di traverso, ma alla fine lo scoglio è stato superato e il voto è stato unanime.

Eppure, una voce contraria alla risoluzione c'è stata. Secondo il primo ministro turco Erdogan, l'Occidente si sta muovendo solo per "calcolo", in funzione del petrolio, e il provvedimento non farà altro che aggravare la situazione del popolo libico. Se si fosse limitato alla questione umanitaria, forse, avrebbe suscitato maggiore attenzione. Ma Erdogan se l'è presa con l'"Occidente" e per questo può facilmente essere liquidato come un leader incauto, che ragiona in ottica islamica.

Il premier turco ha però sicuramente ragione quando sostiene che "non si può assicurare la pace nel mondo ricorrendo sempre e solo a sanzioni". Non tanto perché queste non siano giustificate, ma perché ormai è tardi. In questi ultimi anni i governi di mezzo mondo si sono macchiati di connivenze e collaborazioni con il regime di Gheddafi. Le misure adottate oggi non possono farcelo dimenticare, risolvendo un decennio di ingloriosa diplomazia in un manicheismo da quattro soldi. Non può bastare così poco per scaricarsi la coscienza e ripulirsi l'immagine.

Anche perché, in effetti, le sanzioni non avranno alcun effetto su quello che in Libia sta accadendo. Per un inspiegabile senso del pudore, o forse per semplice pedanteria semantica, in molti si rifiutano ancora di chiamarla col suo nome: guerra civile. In ogni caso, è evidente che nessuna delle misure decise dall'Onu favorirà materialmente la risoluzione del conflitto, almeno non in tempi brevi. Per questo, come indicato dall'ambasciatrice degli Stati Uniti, Susan Rice, il documento emanato fa riferimento anche all'articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che "non esclude un intervento internazionale se necessario".

Ma che genere d'intervento? Sul fronte militare, piuttosto che ad un'operazione di sbarco vecchia maniera, si è parlato nei giorni scorsi della creazione di una "no fly zone" sulla Libia. Un provvedimento che però andrebbe prima approvato dall'Onu, poi messo in pratica dalla Nato. Ecco spiegato uno dei cambiamenti più significativi nel passaggio dalla bozza alla risoluzione vera e propria: la frase che faceva riferimento all'uso di "tutte le misure necessarie" si è addolcita, limitandosi ad affermare una generica "cooperazione per facilitare e sostenere" l'ingresso degli aiuti umanitari. Meglio non rischiare altre brutte figure.

 

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