di Michele Paris

Da qualche settimana a questa parte una nuova disputa diplomatica sta incrinando i già delicati rapporti tra gli Stati Uniti e il Pakistan. Ad alimentare le frizioni con lo scomodo ma fondamentale alleato di Washington in Asia centrale è la sorte di un cittadino americano accusato di aver ucciso a sangue freddo due motociclisti pakistani in un’affollata arteria della città di Lahore. La confusione attorno alla vera identità del responsabile del duplice omicidio e le pressioni statunitensi per il suo rilascio stanno creando non pochi imbarazzi ad un governo pakistano che deve fare i conti con un sentimento anti-americano già ampiamente diffuso in tutto il paese.

Il 27 gennaio scorso, il 36enne Raymond Davis stava guidando in solitudine lungo una strada della città pakistana nord-orientale a pochi chilometri dal confine con l’India. Accortosi di essere seguito da due uomini in motocicletta, Davis li ha colpiti una prima volta con una pistola automatica Glock per poi finirli dopo essere sceso dall’auto. Secondo quanto dichiarato alla polizia locale, il cittadino americano avrebbe scattato delle fotografie alle due vittime, i quali a suo dire stavano tentando di rapinarlo.

Dopo l’accaduto, Davis ha chiamato il consolato americano di Lahore da dove hanno mandato immediatamente un’auto per assisterlo. Il S.U.V. partito dal consolato, che secondo le autorità viaggiava con una targa falsa, ha poi investito e ucciso un altro pakistano in motocicletta, fuggendo a tutta velocità per le strade della metropoli.

Secondo la ricostruzione della polizia, che respinge la tesi dell’autodifesa, oltre alla sua arma Raymond Davis aveva con sé un equipaggiamento degno di una spia, tra cui alcune mappe di installazioni di importanza strategica per la sicurezza nazionale pakistana. I due motociclisti uccisi portavano a loro volta delle armi scariche e uno di loro sarebbe stato colpito alla schiena nel tentativo di fuggire dal luogo dell’incidente.

Il comportamento del misterioso americano per le strade di Lahore ha comprensibilmente scatenato la rabbia della popolazione pakistana, mentre ad accendere ancor più gli animi ci ha pensato la televisione locale che ha trasmesso le immagini prese dalla macchina fotografica di Davis, ottenute con ogni probabilità proprio dalle forze di sicurezza e che mostravano, tra l’altro, le due vittime a terra dopo lo scontro a fuoco.

Il ruolo svolto da Raymond Davis in territorio pakistano a tre settimane dai fatti che l’hanno condotto in una sovraffollata prigione di Lahore appare ancora poco chiaro. Ufficialmente, Washington sostiene che l’ex membro delle forze speciali fa parte dell’ambasciata americana a Islamabad, dove avrebbe incarichi di natura “amministrativa e tecnica”. Secondo la versione di Davis, invece, la sua funzione sarebbe quella di consulente presso il consolato di Lahore e dunque non farebbe parte del corpo diplomatico americano in Pakistan.

Qualunque sia il reale compito svolto da Davis, dagli Stati Uniti ci si è affrettati a chiederne l’immediato rilascio. Ai suoi legali in Pakistan si sono aggiunti il Dipartimento di Stato e lo stesso presidente Obama, il quale nel corso di una conferenza stampa martedì scorso ha chiesto al governo di Islamabad di rispettare la Convenzione di Vienna e garantire l’immunità diplomatica al detenuto americano.

Il Segretario di Stato, Hillary Clinton, ne avrebbe addirittura chiesto la liberazione direttamente al presidente pakistano, Asif Ali Zardari, così da non mettere a repentaglio la partnership strategica tra i due paesi. Di fronte ad un’opinione pubblica inferocita per l’arroganza mostrata dal presunto contractor o spia americana, il governo locale ha tuttavia negato il rilascio, rimettendo alla giustizia pakistana il destino di Raymond Davis, nel frattempo formalmente accusato di omicidio premeditato.

Le nuove scintille con gli Stati Uniti e l’insistenza della Casa Bianca rischiano di destabilizzare seriamente il già fragile governo pakistano. Cedere alle pressioni potrebbe, infatti, produrre una vera e propria rivolta nel Paese, dove il risentimento verso gli americani è già profondo, soprattutto per le vittime civili continuamente provocate dalle incursioni dei droni nelle province nord-occidentali al confine con l’Afghanistan. L’avversione nei confronti degli USA sta dando vita ad una miscela esplosiva nel paese, sfruttata dall’integralismo islamico, come dimostra l’assassinio di un politico di spicco appartenente al partito di governo a inizio anno.

A complicare la situazione ci sono anche gli attriti tra Islamabad e l’amministrazione della provincia del Punjab, dove si trova Lahore, responsabile dell’arresto di Davis. Qui il fervore religioso risulta particolarmente radicato e, come se non bastasse, a governare è il partito all’opposizione a livello nazionale, il PML-N dell’ex premier Nawaz Sharif. Tra il governo centrale e i militari, poi, sono emerse profonde divisioni sulla risposta da dare a Washington in merito al rilascio di Davis. Il presidente Zardari e il primo ministro Gilani sembrano convinti della necessità di garantire l’immunità diplomatica al detenuto statunitense ma, oltre a dover valutare attentamente le reazioni dei propri cittadini, sono costretti a fare i conti con le resistenze dei vertici delle forze armate, che dettano di fatto la politica estera pakistana.

Tra il caos che regna nelle stanze del potere a Islamabad sono emerse infatti posizioni anche diametralmente opposte sulla vicenda. Nonostante la misurata disponibilità mostrata dal governo, il ministro degli Esteri, Shah Mehmood Qureshi, si è ad esempio pubblicamente rifiutato di riconoscere l’immunità diplomatica che pure Hillary Clinton sotto minaccia di ritorsioni gli aveva chiesto personalmente. Secondo alcuni osservatori, Qureshi, vicino ai militari pakistani, avrebbe pagato la sua ostinazione con la rimozione dall’incarico di ministro degli Esteri pochi giorni più tardi.

Senza tanti scrupoli per le sorti di un governo che dovrebbe rappresentare un punto fermo nella cosiddetta guerra al terrore in corso in Afghanistan, nelle ultime settimane Washington ha preso una serie di provvedimenti volti ad intimidire l’alleato pakistano. Il Dipartimento di Stato ha recentemente cancellato il tradizionale summit tripartito con i ministri degli Esteri di Pakistan e Afghanistan che era in programma a partire dal 23 febbraio prossimo, ufficialmente a causa della rimozione dello stesso Qureshi che ha perso il posto nell’ambito di un rimpasto di governo.

In maniera più esplicita, invece, ai pakistani è stato fatto capire che se Raymond Davis non sarà messo a breve su un aereo per gli USA, gli ingenti aiuti stanziati annualmente dal Congresso americano potrebbero essere tagliati. Tale ipotesi é stata prospettata chiaramente sia dal deputato repubblicano Howard McKeon sia dal senatore John Kerry, presidente della commissione affari esteri, entrambi inviati dalla Casa Bianca in Pakistan negli ultimi giorni. Gli Stati Uniti nel 2009 avevano siglato un accordo per 7,5 miliardi di dollari in aiuti militari e civili da erogare in cinque anni, mentre l’anno scorso il presidente Obama aveva a sua volta promesso altri due miliardi.

L’atteggiamento intimidatorio di Washington, nonostante il rischio concreto di provocare la caduta dello stesso governo pakistano e compromettere la stabilità di un alleato così importante, suggerisce implicazioni ben più profonde riguardo alla figura di Raymond Davis. Se è impossibile trovare conferme sulla sua reale attività in Pakistan, svariate ipotesi stanno affiorando sulla stampa internazionale. Per alcuni, Davis sarebbe un agente operativo ben addestrato che i due motociclisti uccisi stavano seguendo per conto dei servizi segreti locali. Nel corso dell’inseguimento, Davis avrebbe perso la testa, sparando ai due uomini che in realtà non rappresentavano una minaccia per la sua vita.

Per i media pakistani, inoltre, le autorità sapevano che Davis era in contatto con i gruppi talebani operanti nel paese. Per questo motivo, scrive il Washington Post citando fonti anonime dell’intelligence pakistana, i due motociclisti che lo seguivano intendevano metterlo in guardia poiché il suo incarico stava verosimilmente mettendo a rischio gli interessi della sicurezza nazionale del Pakistan. In questa prospettiva, appare evidente come gli Stati Uniti temano che il loro uomo in mano ai servizi di sicurezza locali possa rivelare informazioni vitali sugli obiettivi strategici americani.

Il tribunale di Lahore, intanto, ha assecondato la richiesta del ministero degli Esteri, concedendo altre tre settimane al governo di Islamabad per stabilire una posizione ufficiale sulla questione dell’immunità diplomatica richiesta da Washington per Raymond Davis. La decisione della giustizia pakistana, salvo colpi di scena, prolungherà la permanenza di quest’ultimo nelle carceri di Lahore, provocando certamente un’ulteriore escalation delle tensioni tra i due improbabili alleati.

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