di Mario Braconi

Perfino quando si ha il privilegio di vivere in un paese occidentale relativamente aperto e tollerante, ci vuole coraggio a fare “coming out”; ma per essere gay in Uganda, scegliendo l’impervia strada dell’attivismo, occorre la stoffa dell’eroe. E David Kato, ammazzato a martellate lo scorso mercoledì nel suo appartamento in una zona malfamata di Kampala, ha pagato con la vita il suo grido di libertà. A dispetto della frettolosa ricostruzione della polizia locale, che ha escluso un crimine d’odio legato all’orientamento sessuale della vittima, Kato è stato ucciso per come aveva deciso di vivere e amare e per come aveva deciso di darne testimonianza.

Dopo la laurea, conseguita in una delle migliori scuole del suo paese, Kato era emigrato in Sud Africa, dove aveva fatto coming out: qualche anno fa organizzò la prima conferenza sui diritti degli omosessuali in Uganda (conclusasi con un bel pugno in faccia da parte di un poliziotto); in seguito, divenne membro di spicco della Sexual Minorities Uganda (o SM-UG), un’organizzazione che si propone di conseguire la piena eguaglianza sociale e giuridica della persone GLBT (gay, lesbiche, bisessuali e transessuali) nel paese africano.

E proprio in qualità di rappresentante di SM-UG, Kato aveva recentemente ottenuto un’importante vittoria contro un giornaletto locale con 2.000 copie di tiratura, il Rolling Stone (nulla a che vedere con l’omonima rivista americana) che, nell’ottobre dello scorso anno, aveva concepito la brillante iniziativa di pubblicare in prima pagina foto, generalità e indirizzi di omosessuali dichiarati (tra cui quello di Kato), accompagnati da un simpatico banner giallo con la frase “impicchiamoli”, o “impiccateli” (a seconda di come si voglia interpretare).

Le foto erano accompagnate da un pezzo altrettanto ripugnante, nel quale comparivano alcune delle tante favole dark divenute popolari in Uganda negli ultimi anni, tra cui quella secondo cui gli omosessuali battono le scuole al fine di corrompere i giovinetti, convincendoli ad abbandonarsi all’odioso ed innominabile peccato di Sodoma. Orbene, il 3 gennaio scorso una corte ugandese aveva dato ragione a Kato e agli altri due ricorrenti, obbligando il giornale a un risarcimento monetario e diffidandolo per il futuro a diffondere dati personali di omosessuali.

In generale, la vita degli omosessuali in Africa è particolarmente agra: come ricorda il New York Times, infatti, negli Stati del Nord della Nigeria i gay rischiano di essere condannati alla lapidazione, mentre in Kenya possono finire in carcere per anni, se scoperti. Tuttavia, l’omofobia paranoica dell’Uganda è sui generis, dato che è stata rafforzata e resa particolarmente violenta da elementi esogeni alla cultura locale.

Ne è convinta Val Kalende, lesbica e attivista di “Freedom and Roam Uganda”, che sul New York Times ha commentato così la morte dell’amico David Kato: “Il governo ugandese e i cosiddetti evangelici americani devono assumersi la responsabilità del suo assassinio”. Kalende, che ha dichiarato pubblicamente la sua omosessualità in un paese dove alle giovani lesbiche è costume somministrare uno “stupro rieducativo”, si riferisce a Scott Lively e Dan Schmierer, e Caleb Lee Brundidge, che tra il 5 e l’8 marzo del 2009 organizzarono a Kampala un seguitissimo “seminario”, il cui obiettivo era infettare l’Uganda con le loro ridicole e pericolosissime “teorie” omofobe.

Qualche flash sulla biografia dei tre “luminari” americani in terra d’Africa può aiutare a farsi un’idea delle loro idee: Scott Lively è autore (assieme a Kevin E. Abrams) di “Svastica Rosa”, un “saggio” secondo cui “gli omosessuali sono stati i veri inventori del nazismo, mentre l’omosessualità è stata la forza trainante di molte atrocità commesse dai nazisti”; Dan Schmierer è uno dei responsabili di Exodus International, un gruppo di ex-omosessuali; mentre Brundidge è un ex-gay che tiene “seminari di cura” finalizzati alla riconversione dei peccatori.

Ad organizzare l’incredibile adunata, Stephen Langa, un soggetto che nei suoi seminari sostiene che l’omosessualità è assimilabile alla pedofilia e alla bestialità; nella sua prolusione, ha citato in lungo e in largo una serie di dati statistici basati sulle ricerche di un certo Paul Cameron, psicologo anti-omosessuale, doverosamente radiato dalla Associazione degli Psicologi Americani.

Per quanto possa sembrare incredibile, il seminario è stato frequentato da migliaia di ugandesi, inclusi politici, rappresentanti delle forze dell’ordine e politici. Questi ultimi, soprattutto, sono apparsi particolarmente sensibili alle demenziali parole pronunciate da quella farsesca assemblea di falsi religiosi e veri odiatori; il reverendo Kapya Kaoma, voce critica e progressista della chiesa anglicana, che per sei mesi ha seguito in incognito i rapporti tra evangelici americani e politici ugandesi, riporta il seguente intervento: “Il Parlamento ritiene sia necessario stendere una nuova legge che affronti la questione omosessuale in modo completo, considerando anche il pericolo rappresentato dall’agenda gay internazionale”.

Detto fatto, ad Aprile del 2009 il Parlamento ugandese realizza una bozza di legge che prevede la pena di morte per gli omosessuali “recidivi”, malati di HIV o che abbiano rapporti con ragazzi minorenni. A dispetto dello sdegno europeo e degli Stati Uniti (!), che hanno ricattato il governo ugandese minacciando di chiudere il rubinetto degli aiuti se la proposta dovesse divenire legge, essa giace ancora in un limbo amministrativo, anche se potrebbe essere approvata a febbraio, a valle della presumibile rielezione di Museveni, al potere da 25 anni.

Secondo Kaoma, i rappresentanti puri e duri della destra reazionaria americana, che hanno trovato nella rurale e bigotta Uganda il loro Eldorado, stanno scherzando con il fuoco: non hanno capito, o hanno finto di non capire, che cosa “vuol dire per degli africani sentire parlare di un certo gruppo di persone che tenta di annientare i loro figli e le loro famiglie: quando si parla in questi termini, gli africani lotteranno fino alla morte”. Ora, per quanto gli odiatori a stelle e strisce si affannino a versare inutili lacrime di coccodrillo a mezzo stampa, la miccia è accesa: David Kato è stato assassinato, mentre l’Uganda si prepara a una possibile nuova pulizia etnica. In nome di Dio.

 

 

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