di Michele Paris 

L’assegnazione dell’incarico per la formazione di un nuovo governo a Najib Mikati costituisce una svolta storica per il Libano. Nonostante il 55enne neo-primo ministro non sia esattamente un uomo di Hezbollah, come vorrebbero far credere l’ormai ex premier Saad Hariri e i suoi sponsor occidentali, il governo che si appresta a far nascere rappresenta un chiaro spostamento degli equilibri di potere nel “paese dei cedri” dall’asse USA/Arabia Saudita a quella formata da Siria e Iran. Con il rischio, come di consueto per il Libano, di far riesplodere le violenze settarie, per non parlare di un nuovo devastante intervento militare di Israele.

L’ennesima crisi politica libanese era scoppiata un paio di settimane fa in seguito al ritiro della delegazione ministeriale di Hezbollah e dei suoi alleati dal governo di unità nazionale, guidato dal leader sunnita Saad Hariri e dalla sua coalizione “14 Marzo”. La caduta del governo era stata innescata dalla prolungata contesa tra lo stesso premier ed Hezbollah intorno alla legittimità del cosiddetto Tribunale Speciale per il Libano (STL), istituito dall’ONU per indagare le responsabilità nell’assassinio avvenuto nel febbraio 2005 dell’allora primo ministro Rafik Hariri.

Da tempo Hezbollah denuncia infatti il Tribunale come uno strumento nelle mani di Stati Uniti e Israele per mettere all’angolo il “Partito di Dio” e promuovere i loro interessi in Libano. Da quando, la scorsa estate, il leader Sayyed Hassan Nasrallah ha annunciato che l’STL avrebbe messo formalmente sotto accusa membri del suo movimento per la morte di Hariri, Hezbollah ha insistentemente chiesto il ripudio di un organo le cui indagini sono state segnate da svariate scorrettezze. A cercare di risolvere lo stallo provocato dalla contesa tra le due anime del governo libanese ci avevano provato i governi di Siria e Arabia Saudita, ma la loro proposta di accordo è stata in sostanza rifiutata, sotto le pressioni di Washington, dallo stesso Saad Hariri, condannando inevitabilmente al fallimento il proprio già fragile governo.

Mentre Hariri e gli Stati Uniti auspicavano di veder sopravvivere indefinitamente il governo di unità nazionale in attesa di un accordo che sembrava piuttosto difficile da raggiungere tra le varie forze politiche, la crisi in Libano ha trovato invece una rapida soluzione. La svolta è giunta quando il candidato premier proposto da Hezbollah ha ottenuto l’appoggio di un ex alleato di Hariri, il leader druso Walid Jumblatt, il quale ha così suggellato, per la sua stessa sopravvivenza politica, un ritorno alle origini dopo un periodo di allineamento alle forze filo-occidentali del paese. Grazie al sostegno dei deputati di Jumblatt, l’imprenditore miliardario Najib Mikati avrà ora in Parlamento una maggioranza di 68 voti su 128.

Dopo che martedì scorso il presidente libanese, Michel Suleiman, gli ha affidato l’incarico, Mikati ha immediatamente avviato le sue consultazioni per la formazione del nuovo governo. La decisione ha scatenato le proteste nelle strade di Beirut e di Tripoli, roccaforte dei sostenitori sunniti di Saad Hariri. Quest’ultimo, pur condannando le violenze, ha duramente accusato alcuni suoi ex sostenitori di tradimento ed Hezbollah di aver portato a termine un colpo di stato “soft”. Da parte sua, Mikati ha invece chiesto all’ex premier di entrare nel nuovo gabinetto, ricevendo però un netto rifiuto.

Uomo d’affari nel settore delle telecomunicazioni e di religione sunnita, Najib Mikati aveva già assunto un incarico ministeriale nel 1998, mentre nel 2005 aveva occupato brevemente la carica di primo ministro durante i tumultuosi giorni seguiti all’assassinio di Rafik Hariri. In quell’occasione, anche allora accusato di essere un fantoccio di Damasco (con cui intrattiene buoni rapporti) Mikati traghettò il Libano verso le elezioni, per essere poi sostituito dall’alleato di Hariri, Fouad Siniora.

Nelle sue prime dichiarazioni dopo aver ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo, Mikati ha detto di voler essere un premier “di consenso” e di non essere agli ordini di Hezbollah. Malgrado nel governo che sta per nascere in Libano Hezbollah avrà un peso notevole, quest’ultima accusa non appare verosimile, tanto che la prima scelta alla carica di primo ministro del movimento sciita era per un altro ex- premier, il 77enne Omar Karameh. Mikati, inoltre, ha lasciato intendere che, in caso la coalizione di Hariri confermasse di non voler entrare nel suo Gabinetto, sarebbe pronto a valutare la formazione di un governo di tecnici.

Nonostante le inquietudini interne e a livello internazionale per un governo che avrà Hezbollah come propria forza trainante, la condotta della “Resistenza” nel corso della crisi ha rispettato pienamente le regole costituzionali libanesi. La proposta di un candidato premier sunnita ha rispecchiato poi le regole della spartizione del potere lungo linee settarie prevista in Libano. Mentre la guida del governo deve andare a un rappresentante dei sunniti, la presidenza spetta a un cristiano e la carica di speaker del Parlamento a uno sciita.

Come dimostrano gli scontri che sono avvenuti in questi giorni, il governo di Mikati dovrà in ogni caso fare i conti con il fatto che Saad Hariri rimane di gran lunga il politico sunnita più popolare del Libano. Se Hariri, com’è probabile, dovesse rimanere fermo nel suo proposito di non prendere parte al nuovo governo, il rischio per Hezbollah e la neonata maggioranza è di ritrovarsi alla guida di un paese isolato sul piano internazionale, con l’Occidente e una parte del mondo arabo pronto a voltare le spalle a Beirut e la possibilità concreta di un conflitto con Israele. A conferma di ciò, il vice-premier israeliano, Silvan Shalom, ha già affermato che con la caduta di Hariri il suo paese si ritrova praticamente con un “governo iraniano oltre il confine settentrionale”.

Ben consapevole degli ostacoli che lo attendono, Mikati si è affrettato a lanciare messaggi distensivi agli Stati Uniti, pur ribadendo che, com’è ovvio, i rapporti con la Siria rimarranno cordiali; lo stesso Hariri, d’altra parte, aveva operato un riavvicinamento al regime di Damasco. Il Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, non ha tuttavia nascosto le preoccupazioni di Washington, ammonendo che il nuovo ruolo di Hezbollah avrà delle “conseguenze sui rapporti tra gli USA e il Libano”.

Le dichiarazioni ufficiali della Clinton e di altri diplomatici del Dipartimento di Stato hanno a malapena nascosto i malumori statunitensi per l’avanzata di Hezbollah, un’organizzazione che l’America definisce “terroristica” e per combattere la quale ha contribuito con centinaia di milioni di dollari, destinati al rafforzamento delle forze di sicurezza libanesi.

La partita più importante nelle prossime settimane si giocherà comunque nuovamente attorno alla questione del Tribunale speciale, vero crocevia degli equilibri di potere interni al Libano, così come delle influenze esterne. Quando Hillary Clinton dice di voler attendere i primi atti del governo per esprimere una valutazione, avverte in realtà Mikati ed Hezbollah delle conseguenze delle decisioni che verranno prese a Beirut sul Tribunale. Il neo-premier ha per il momento fatto sapere che la grana dell’STL sarà risolta solo tramite il dialogo, ma è difficile pensare che a breve non arrivi un provvedimento che taglierà i cordoni del governo libanese con l’organo creato dalle Nazioni Unite.

Questo è ciò che da mesi chiede precisamente Hezbollah e l’iniziativa del governo potrebbe giungere con l’adesione alla proposta siriana-saudita. Come ha spiegato lo stesso Mikati, “il tribunale non può essere fermato da una decisione presa in Libano”, ma interrompere la cooperazione libanese con il tribunale è tutta un’altra cosa. Questo è il passo che si chiedeva in definitiva a Saad Hariri e che l’ex premier non ha avuto la forza politica di fare, soprattutto perché neutralizzare l’attività del Tribunale avrebbe tolto a USA e Israele lo strumento principale per avanzare i loro interessi in Libano.

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