di Carlo Benedetti

MOSCA. Arriva a Mosca e provoca sorrisi amari la notizia che tra l’italiana Gorizia e la slovena Nova Gorica è stata riaperta l’ex stazione doganale di via San Gabriele. Quella che, negli anni della guerra fredda, segnava il confine tra Italia e Jugoslavia. Ora per ricordare le tracce di quella “cortina di ferro” ci sono due film che sono proiettati sulla facciata del palazzone abbandonato. Sono intitolati: Ordinacija spomina (Corsia dei ricordi) e Pogledi skozi železno zaveso (Sguardi attraverso la cortina di ferro), realizzati dalla regista Anja Medved proprio nell’ex stazione doganale.

L’iniziativa è abbastanza originale. Parte dal dicembre 2007, quando la Slovenia entrò nell’area del trattato di Schengen. Nell’occasione una ex postazione della dogana fu trasformata in un “video confessionale” nel quale gli abitanti di Gorizia e Nova Gorica erano invitati a raccontare tutto ciò che per anni avevano nascosto ai doganieri. Ed ora ecco che la regista Medved mescola ai reperti filmici d’epoca, tratti da archivi privati, un filmato ripreso all’interno del confessionale. Immagini da una vita di confine, un album di memorie di questa doppia città conservate per le generazioni future.

C’è poi un altro aspetto di questo video-verità che presenta una raccolta di fotografie di famiglia dal titolo Ordinacija spomina, tutte raccolte tra gli abitanti di ambedue le città invitati a frugare tra le proprie vecchie foto e sceglierne alcune in cui è rappresentato il territorio confinario, per poi condividere i propri ricordi nell’ex stazione doganale.

Ma tornando a Mosca con i sorrisi amari provocati dalla rievocazione italo-slovena, la memoria collettiva dei russi (un tempo sovietici) impone ricordi amari ed umilianti. Lunghe, lunghissime sarebbero le storie e le documentazioni relative ai vecchi confini con l’Est. Quelli, appunto, che Churchill così caratterizzò nel marzo 1946 a Fulton, nel Missouri: “Una cortina di ferro è scesa attraverso il continente…  da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico … dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi stati dell’Europa centrale e orientale”.

Il resto è già storia. Con pagine di drammi e vicende uniche. Tutto consegnato agli archivi e alle esperienze personali. Ed è in questo contesto che, forse, vale la pena di ricordare alcune “scene” di vita vissuta che provocano, ancora oggi, sorrisi amari. Ma pur sempre sorrisi.

Già, la cortina di ferro… E per chi - come il sottoscritto - si trovava a transitarla molto e molto spesso senza aver paura, vista la sua condizione di cittadino italiano, tutto resta nel bagaglio dei ricordi di scene segnate da uno humour nero… Ed ecco che si va (siamo negli anni ’60) in auto verso l’Ungheria provenendo dall’Austria. I villaggi austriaci a poco a poco scompaiono. Restano alcuni alberi. Poi una solitaria stazione di servizio dove svetta un cartello, in tedesco, inglese e italiano: “Automobilisti, fate il pieno. Questa è l’ultima stazione. Poi la benzina la troverete solo a Budapest. Buon viaggio!”.

E subito a vista d’occhio appaiono le torrette della polizia di frontiera dell’Ungheria. Qui una bella sosta di circa due-tre ore. Esame dei passaporti e del visto, ispezione microscopica dell’auto e dei bagagli. Formulari, chi, come, dove e perché. Poi si entra e per qualche chilometro - già in terra ungherese - si scopre (visti i drappelli di polizia) che siamo sempre in fascia di confine. Perchè é proprio qui la cortina con l’Ovest…

Più complesso, drammatico, ma pur sempre oggetto di humour nero, l’impatto con la frontiera sovietica. Qui la “casa-madre” non fa sconti. I soldati, con tanto di kalashnikov, si mettono bene in mostra. L’auto è isolata in un parcheggio. Stesse pratiche burocratiche. Poi si va in un capannone e cominciano le danze. L’auto è ispezionata e la povera Fiat125special (da poco uscita dalle catene di Mirafiori) subisce l’oltraggio. I poliziotti, con una specie di forcone, forano le copertine e cercano tra le molle dei sedili… stessa sorte per le portiere e per i sedili e le foderine. Saltano così borchie e maniglie e va a farsi benedire anche quel bel tappeto interno preformato.

Brutta sorte anche per libri, giornali e riviste. Bisogna farne un elenco e attendere cosa potrà passare. Per poi ricevere un foglio da sottoscrivere assicurando che quando si uscirà dal paese il materiale stampato dovrà essere riportato via. E così si può andare. Sono passate sei-sette ore. Questo per un italiano normale. Per il russo-sovietico (in uscita) tutto era più complesso, difficile, umiliante. Mala sorte, invece, per chi tentava la via clandestina, quella della fuga…

Ed ecco che oggi sapere che a Gorizia e a Nova Gorica c’è chi, allegramente, va a confessare le vicende di un tempo, provoca solo un sorriso. A Mosca c’è chi pensa a cosa potrebbero raccontare i russi-sovietici a proposito delle cortine di un tempo. E cosa potrebbero aggiungere i berlinesi che cercavano di farla franca quando sfidavano i Vopò, quelli della “Volkspolizei”, ossia la “Polizia popolare”…

 

 

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