di Michele Paris

Uno dei principali obiettivi di Barack Obama nella difficile operazione di rilancio della sua amministrazione in politica estera è la ratifica definitiva del trattato New START, siglato ufficialmente a Praga con il presidente russo Medvedev lo scorso mese di aprile. La versione più recente del trattato tra USA e Russia per la riduzione delle testate nucleari dei due paesi si trova tuttavia di fronte ad un percorso accidentato a Washington, dove un rinvigorito Partito Repubblicano non perde occasione per ostacolare i progetti della Casa Bianca.

Per incassare l’approvazione conclusiva, il successore dei trattati START 1 (1991) e START 2 (1993) necessita dell’appoggio di almeno i due terzi del Senato americano, cioè 67 voti. Nella camera alta del Congresso i democratici controllano però solo 59 seggi, che si ridurranno oltretutto a 53 dal prossimo gennaio, quando i nuovi senatori usciti vincitori dalle recenti elezioni di medio termine prenderanno possesso dei loro scranni. Fino a pochi giorni fa, il partito di maggioranza sembrava poter contare su circa 14 repubblicani per il passaggio a breve del New START, ma gli ultimi sviluppi hanno lasciato Obama e i suoi praticamente con un solo esponente dell’opposizione disposto a dare il via libera immediato all’accordo bilaterale, il senatore dell’Indiana Richard Lugar.

L’opposizione più dura ai piani di Obama è giunta dal veterano senatore dell’Arizona, John Kyl, il quale ha escluso la possibilità di prendere in considerazione il trattato nel corso della cosiddetta “lame-duck session” del Congresso uscente. Secondo il numero due dei repubblicani al Senato l’agenda già fin troppo folta del ramo del Congresso di cui fa parte non consentirebbe l’analisi del nuovo START nelle prossime settimane. Dunque, il voto ritenuto cruciale da Obama andrebbe rinviato al 2011, con lo spettro di ulteriori ritardi in seguito al prossimo allargamento dei ranghi del Partito Repubblicano.

La ferma resistenza di John Kyl ha finito così per convincere anche quei compagni di partito che avevano inizialmente assicurato il loro sostegno al trattato con Mosca. Dietro alla riluttanza del senatore dell’Arizona c’è il desiderio di ottenere dal presidente Obama svariate decine di miliardi di dollari per rimodernare le testate nucleari risparmiate dalla riduzione prevista dal New START. A tal scopo, la Casa Bianca aveva già stanziato circa 70 miliardi di dollari da spendere entro il prossimo decennio, ai quali ne sono stati aggiunti altri 14 nell’ambito di un vero e proprio corteggiamento nei confronti del senatore Kyl che ha visto impegnati tutti i pezzi grossi dell’amministrazione Obama.

Anche se il New START dovesse essere approvato a breve, il presidente americano si troverebbe così in una situazione quanto meno singolare, essendo costretto ad investire ingenti somme nel rinnovamento e nella produzione di nuovi ordigni letali proprio mentre cerca di presentarsi come il paladino di un mondo senza armi nucleari. Le concessioni a John Kyl significherebbero in definitiva una resa sostanziale alla posizione dei falchi del Partito Repubblicano. Nostalgici della Guerra Fredda, questi ultimi continuano a vedere con sospetto qualsiasi limitazione degli strumenti di promozione dell’imperialismo statunitense su scala planetaria, come lo è appunto l’arsenale nucleare di cui tuttora dispone Washington.

In ogni caso, Obama sembra deciso a forzare un voto al Senato entro la fine dell’anno e, per convincere l’opposizione ad appoggiarlo, la scorsa settimana è stato protagonista di un evento pubblico a sostegno del New START in cui è apparso al fianco di esponenti di spicco delle passate amministrazioni, come Henry Kissinger e gli ex segretari di Stato Madeleine Albright e James Baker. Nell’operazione propagandistica non si è mancato poi di ricordare che precedenti trattati con la Russia - come il Trattato di Mosca del 2003 tra Bush e Putin e lo stesso START 1 - erano stati approvati dal Senato dopo pochi giorni di dibattito e con un appoggio bipartisan.

L’accordo sul nuovo START tra Stati Uniti e Russia era giunto dopo lunghe negoziazioni tra le delegazioni delle due superpotenze e nel suo aspetto finale prevede il taglio di circa il trenta per cento delle armi nucleari possedute da entrambi i paesi. Ciò significherebbe la diminuzione dei rispettivi arsenali fino a quota 1.550 per le testate nucleari e 700 per i vettori nucleari, una quantità di armi comunque in grado abbondantemente di cancellare ogni forma di vita sulla faccia della terra. Inoltre, vengono fissate nuove norme per la riattivazione delle ispezioni reciproche che erano state interrotte l’anno scorso per la prima volta dal crollo dell’Unione Sovietica.

Definito un punto cruciale per la sicurezza nazionale USA, il New START rientra nella strategia di Obama per “resettare” le relazioni con la Russia dopo le frizioni che hanno segnato il rapporto tra George W. Bush e Vladimir Putin. Il tentativo di riavvicinamento a Mosca, ribadito anche durante il recente summit della NATO a Lisbona, ha come obiettivo in realtà il coinvolgimento del governo russo su varie questioni importanti per gli interessi americani. In primo luogo, per aumentare le pressioni sull’Iran intorno all’annoso problema del nucleare. Poi, per evitare un pericoloso avvicinamento della Russia alla Cina in una situazione di crescente attrito tra Washington e Pechino e, da ultimo, per assicurarsi le linee di rifornimento privilegiate verso l’Afghanistan che passano per la stessa Russia in Asia centrale.

Mentre in Russia sono in molti a nutrire dubbi sulle effettive possibilità di approvazione del nuovo START in tempi ragionevoli dopo il successo elettorale repubblicano dei primi di novembre, il presidente Medvedev ha ottenuto nelle ultime settimane la promessa di Obama per un suo impegno a tutto campo a Washington, così da convincere i senatori recalcitranti. Con un’atmosfera politica sempre più avvelenata nella capitale americana, le prospettive per la Casa Bianca non sembrano però delle migliori e ulteriori ritardi rischiano di trasformare un successo annunciato nell’ennesimo flop dell’amministrazione Obama in politica estera.

A rompere gli indugi dei repubblicani potrebbe essere allora proprio la carta iraniana, già agitata dagli Stati Uniti a Lisbona per promuovere il nuovo sistema di difesa missilistico della NATO in Europa. Il giro di vite su Teheran, caldamente sostenuto dai repubblicani e messo in atto insistentemente per giungere al cambiamento di regime, risulterebbe infatti ben poco efficace senza la collaborazione dell’alleato russo.

Mosca da parte sua ha già dimostrato la propria disponibilità ad assecondare i desideri di Washington, dapprima votando a favore delle sanzioni licenziate qualche mese fa dal Consiglio di Sicurezza ONU e più recentemente cancellando un contratto di vendita all’Iran per il sistema di difesa missilistico S-300. Quest’ultimo avrebbe permesso alla Repubblica Islamica di scoraggiare un eventuale aggressione israeliana contro le proprie installazioni nucleari.

Un favore fatto alla Casa Bianca, credono in molti, proprio in cambio di una rapida approvazione del New START, ma che potrebbe rientrare in fretta se a Washington non saranno in grado di mettere assieme i voti necessari al passaggio del trattato.

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