di Carlo Musilli

L’Iran continua a ripetere che il suo programma nucleare è del tutto pacifico, ma evidentemente il tono non è abbastanza rassicurante. L’esercito americano ha intenzione di attivare uno scudo antimissile in Europa meridionale come difesa contro un eventuale attacco di Teheran. L’obiettivo sarebbe di proteggere l’Europa, tutelare le forze statunitensi di stanza nella zona e scoraggiare gli iraniani a proseguire con lo sviluppo del programma missilistico.

Anonimi ufficiali del Pentagono citati dal Washington Post dicono di essere vicini all’accordo per istallare una stazione radar in Turchia o in Bulgaria, che renderebbe operativa la prima fase dello scudo dal prossimo anno.

“Se l’Iran lanciasse un missile - ha ipotizzato il Segretario alla Difesa Usa Robert Graves - non sarebbe uno solo. Più probabilmente sarebbero centinaia”. Tanto per andare sul sicuro. In ogni caso l’attuale arsenale iraniano non è in grado di raggiungere l’America, al massimo il sud dell’Europa, data la gittata dei missili inferiore ai 2.000 chilometri. Sulla lunga gittata gli iraniani stanno lavorando, ma sono piuttosto lenti. Secondo gli americani non raggiungeranno quel livello di tecnologia prima del 2015. In ogni caso, meglio iniziare a prepararsi.

L’ipotesi di uno scudo antimissile è nata nel 1983 con Reagan, quando gli Usa temevano di subire il bombardamento nucleare sovietico. L’amministrazione di Bush junior ha rispolverato l’idea come deterrente nei confronti delle possibili potenze nucleari del futuro, Iran e Corea del Nord. L’intenzione era di costruire dieci basi terrestri in Polonia e un’ampia stazione radar in Repubblica Ceca. Durante la campagna elettorale del 2008, Obama si è detto scettico sulla praticabilità del progetto di Bush, cosicché nel settembre 2009 ha annunciato di voler cambiare totalmente approccio: non sarà più solo uno scudo terrestre, ma qualcosa di più duttile.

Uno scudo in movimento sull’acqua, fatto di navi nella sua ossatura fondamentale. Non navi qualsiasi, ma incrociatori e caccia torpedinieri con sistema Aegis (che tradotto vale Egida, nome dello scudo di Atena), il radar più sofisticato al mondo, talmente complesso da esser definito ‘sistema nervoso’ delle navi da guerra, il cui braccio armato sarà invece un arsenale di ‘missili-antimissile’ SM3.

I vantaggi di questa soluzione sono notevoli: scivolare sull’acqua consente di spostarsi di volta in volta nelle zone ritenute più a rischio e soprattutto le navi potranno essere utilizzate anche per altre missioni. Non si può correre il rischio di spendere miliardi di dollari per un attacco che probabilmente non arriverà mai. Comandanti della marina Usa sostengono che al momento le navi Aegis nel Mediterraneo siano al massimo due, ma ufficiali del Pentagono specificano che, secondo la gravità del pericolo, il loro numero potrebbe addirittura triplicare.

Lo scudo sarà costruito entro il 2020, in più fasi. La prima inizierà l’anno prossimo: navi Aegis armate di dozzine di SM3 pattuglieranno in lungo e in largo il Mediterraneo e il Mar Nero. Nel 2015 entrerà in scena la Romania per la seconda fase: il governo di Bucarest ha autorizzato la costruzione sul suo territorio di una base per il sistema di controllo delle navi da guerra. Un’altra base sorgerà nel 2018, stavolta in Polonia. Il mastro ferraio statunitense finirà di forgiare lo scudo nei due anni successivi, con la produzione della nuova generazione di SM3. Oggi i supermissili americani sono in tutto 147: si progetta di triplicare anche questi.

Prima di realizzare tutto questo bisognerà però risolvere una difficoltà logistica. I comandi della marina americana di stanza in Medio Oriente e nel Pacifico richiedono a loro volta navi Aegis per tutelarsi dalla minaccia iraniana e nordcoreana. Sennonché solo la metà della flotta è sempre disponibile: alla fine di ogni missione le navi passano in porto lo stesso periodo che hanno trascorso in mare, tanto sono lunghi i preparativi per la missione successiva.

Ecco perché l’amministrazione Obama ha deciso di duplicare il numero di navi Aegis  entro il 2015, portandolo a 38. Una soluzione un tantino più economica sarebbe quella suggerita dal vice ammiraglio Henry Harris, che propone di stanziare definitivamente le navi in porti europei invece di fargli fare continuamente la spola tra Mediterraneo e Stati Uniti. La flotta comandata da Harris ha base a Napoli.

Mentre lavorano per il Mediterraneo, gli americani si danno da fare anche per migliorare i sistemi di difesa antimissile di Israele - dove nel 2008 è stato istallato un radar - e dei paesi alleati del Golfo Persico, dove si progetta di istallarne un altro. L’obiettivo è accorgersi prima possibile di un eventuale missile lanciato dall’Iran, per avere il tempo di abbatterlo. I sistemi di difesa europei, israeliani e arabi sono distinti fra loro e a diversi stadi di evoluzione. Ma sono tutti progettati per essere gestiti da personale americano (come accade per il radar in Israele, che invia informazioni alle navi statunitensi nel Mediterraneo).

Chi pagherà tutto ciò? Gli europei rischiano di vedersi regalare il più raffinato sistema antimissilistico di tutti i tempi dai contribuenti americani. E’ possibile che i paesi sui cui territori si costruiranno le basi diano un aiuto economico, ma forse è solo una speranza del Pentagono. Ciò che dovrebbe seriamente preoccupare gli yankee è che nessuno sia ancora in grado di calcolare quanto “the shield” verrà a costare. L’unica certezza è che non sarà a buon mercato: un solo SM3 costa fra i 10 e 15 milioni di dollari.

Oltre al budget, esiste un altro problema, forse più grave. In virtù di un nuovo trattato fra Usa e Russia per la futura riduzione degli armamenti, Mosca si è fermamente opposta allo scudo europeo. I repubblicani hanno fatto notare al Presidente che questo potrebbe costituire un ostacolo. Lui ha dissentito. 

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy