di Michele Paris

Con l’approvazione di un pacchetto di sanzioni unilaterali nei confronti dell’Iran, l’Unione Europea qualche giorno fa ha scelto, come previsto, di assecondare la strategia intimidatoria degli Stati Uniti verso Teheran. Se le nuove misure restrittive in nessun modo favoriranno un esito pacifico della questione del nucleare iraniano, è probabile piuttosto che potranno finire per danneggiare la politica energetica di quegli stessi paesi europei che ne sono stati i promotori.

Le sanzioni decise da Bruxelles hanno fatto seguito a quelle imposte dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU lo scorso dieci giugno e, soprattutto, a quelle decisamente più pesanti licenziate subito dopo dal Congresso americano su richiesta della Casa Bianca. Come queste ultime, le risoluzioni UE intendono colpire le compagnie aeree commerciali e navali iraniane, il settore bancario e quelli assicurativo e finanziario. Inoltre, saranno congelati i visti d’ingresso dei leader dei Guardiani della Rivoluzione nei paesi dell’Unione e i loro beni.

Ancora più importante è poi il giro di vite al settore energetico. Ogni tipo di investimento europeo in questo ambito viene messo fuori legge, così come qualsiasi progetto di assistenza tecnica. Restrizioni molto pesanti per un blocco di paesi che rappresenta il principale partner commerciale della Repubblica Islamica, la quale esporta verso l’Europa poco meno di un terzo del proprio greggio e una buona fetta delle sue imponenti risorse di gas naturale.

L’esaurirsi degli investimenti esteri - quanto meno europei ed americani - potrebbe creare grossi problemi all’Iran, che continua ad avere gravi carenze per quanto riguarda la capacità di raffinare il petrolio che estrae. Per far fronte a tale ritardo, tuttavia, il vice-ministro del petrolio, Alireza Zeighami, ha rivelato recentemente alla televisione di stato Press TV che il suo governo intende stanziare 46 miliardi di dollari per costruire una serie di nuove raffinerie e garantire all’Iran l’autosufficienza nel prossimo futuro. Il problema dell’eventuale mancanza d’investimenti esteri, secondo il vice-ministro, verrebbe risolto tramite il finanziamento dei progetti da parte di consorzi di banche indipendenti.

A sentire ancor di più le ripercussioni delle sanzioni potrebbe essere il settore del gas naturale, del quale l’Iran possiede le quantità più ingenti su scala planetaria, dopo la Russia. Lo sfruttamento dei giacimenti di gas iraniani risulta però al di sotto delle reali potenzialità, tanto da necessitare di qualcosa come 8 miliardi di dollari di investimenti in nuovi progetti estrattivi. A detta degli stessi esponenti del governo di Teheran, i due terzi delle riserve del paese rimangono tuttora da esplorare, soprattutto nel gigantesco giacimento di South Pars nel Golfo Persico che l’Iran condivide con il finora più intraprendente emirato del Qatar.

Gli ostacoli causati dalle sanzioni di Bruxelles al comparto energetico iraniano difficilmente mancheranno di scatenare ritorsioni nei confronti dei paesi europei, andando a minare in primo luogo la loro sicurezza energetica. Il rischio concreto è che le forniture di petrolio e, soprattutto, gas naturale, possano subire una battuta d’arresto proprio mentre in Europa ci s’interroga sui rischi della dipendenza dal gas russo e si cerca disperatamente di diversificare le fonti di approvvigionamento.

Per l’UE, insomma, si tratta di dover pagare anche le conseguenze della battaglia combattuta al fianco di Washington; ufficialmente per tentare di fermare un programma nucleare che, pur senza prove concrete, si continua a definire finalizzato alla costruzione di armi atomiche, ma in realtà per far cadere l’attuale regime iraniano e installare un governo più accomodante verso l’Occidente. Effetti indesiderati che gli Stati Uniti, almeno in quest’ambito, non sentiranno, in quanto non importano direttamente gas o petrolio dall’Iran, né con questo paese intrattengono relazioni commerciali significative.

Come ha spiegato chiaramente un anonimo docente di scienze politiche della Teheran University alla testata Asia Times, “l’UE ha seguito ciecamente le orme degli Stati Uniti, i quali non hanno particolari interessi economici in Iran. Ciò avrà implicazioni geo-economiche negative per l’Unione Europea”. In sostanza, appare assurdo che da Bruxelles si possa dire all’Iran: “Vogliamo continuare a mettere le mani sul vostro petrolio o sul vostro gas, ma allo stesso tempo faremo di tutto per soffocare il vostro settore energetico”.

A conferma di possibili rappresaglie, per le transazioni di petrolio e gas, Teheran ha già minacciato di passare dall’Euro ad altre valute, tra le quali la moneta degli Emirati Arabi, il dirham. Una mossa che potrebbe provocare un nuovo sensibile indebolimento dell’euro.

In risposta alle sanzioni, è facilmente ipotizzabile che l’Iran finirà anche per intensificare i legami sul fronte energetico con le potenze asiatiche. Cina, India e Giappone, che rappresentano già un mercato importante per le esportazioni iraniane di greggio e gas naturale, non sembrano infatti disposte a mettere a repentaglio la propria sicurezza energetica per assecondare Washington.

In pericolo, dunque, ci sono molti progetti in fase di studio o già avviati tra l’Europa (e le sue compagnie energetiche) e l’Iran, a cominciare dal cosiddetto “Gasdotto Persiano” che dovrebbe collegare il già citato giacimento di South Pars con il mercato europeo, passando per la Turchia. Una Turchia che ha duramente criticato le sanzioni europee, giunte tra l’altro a pochi giorni dall’accordo tra Ankara e Teheran per la costruzione di un altro gasdotto da 1,3 miliardi di dollari che collegherà i due paesi diplomaticamente sempre più vicini.

Un’impasse, quella tra Iran e UE, che coinvolge anche l’ENI, costretto a disimpegnarsi dai progetti in corso da tempo nella Repubblica Islamica. Già lo scorso mese di aprile, l’ad Paolo Scaroni, in una conferenza stampa seguita all’assemblea degli azionisti, aveva annunciato che l’ENI “non perseguirà altri progetti in Iran finché la situazione internazionale e geopolitica non lo consentirà”. Attivo principalmente nel giacimento di South Pars e, da ultimo, solo in quello on-shore di Darquain, l’ENI ha recentemente proceduto alla “consegna degli impianti” relativi proprio a quest’ultimo, ma non prenderà parte per il momento a nessun nuovo progetto nel paese.

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