di Emanuela Pessina

BERLINO. Il tribunale amministrativo regionale di Berlino e Brandeburgo (OVG) ha autorizzato una scuola superiore berlinese a proibire la preghiera rituale a uno studente musulmano. Secondo il giudice, la preghiera potrebbe disturbare la tranquillità del liceo e intaccare la libertà degli altri studenti: l’istituto ospita una grande concentrazione di religioni differenti e questa varietà contiene un alto potenziale conflittuale. La decisione può essere letta in differenti prospettive, ma non v’è dubbio sull’importanza della polemica che va ad aprire. Si tratta di temi di grande importanza quali la libertà di professione religiosa e la neutralità delle istruzioni scolastiche, argomenti troppo spesso - per un motivo o per l’altro - ignorati da chi di competenza.

La diatriba si è aperta nel 2008, quando otto studenti quattordicenni musulmani si sono stesi sulle loro giacche nel bel mezzo del corridoio scolastico del liceo berlinese Diesterweg per pregare, tra gli sguardi stupiti dei loro coetanei. L’Islam prevede cinque orazioni quotidiane di dieci minuti ciascuna, durante le quali il credente si inginocchia verso la Mecca, indipendentemente dal luogo in  cui si trova, per porgere la sua devozione a Allah.

La preghiera rituale dei giovani studenti, tuttavia, andava a minacciare la neutralità dell’istituzione scolastica. E la preside della scuola, Brigitte Burchardt, si è sentita in dovere si proibire ai ragazzi l’atto rituale religioso. “Devo garantire la libertà di tutti i miei 650 studenti”, ha spiegato nel 2008 Burchardt, sottolineando che il 90% dei suoi alunni appartengono a famiglie con passato migratorio. Il liceo Diesterweg, tra l’altro, raccoglie ragazzi che provengono da ben 29 Paesi differenti e vanta esponenti di tutte le principali religioni al mondo. Si trova a Wedding, nel nord di Berlino, un quartiere con una percentuale d’immigrazione del 31,4%.

Il divieto ha provocato lo sdegno di Yunus M., uno dei piccoli devoti, che ha sporto denuncia al tribunale di Berlino: in quest’occasione, i giudici hanno riconosciuto al ragazzo il diritto alla preghiera, obbligando la preside a mettere a disposizione dello studente un’aula separata, così da garantire all’istituto la sua imparzialità in materia religiosa. La preside non si è arresa ed è ricorsa in appello.

Ora, a sorpresa, il risultato finale: il tribunale amministrativo supremo di Berlino e Brandeburgo ha negato al giovane Yunus la possibilità di esercitare le sue preghiere rituali durante le ore di pausa tra una lezione e l’altra e ha sollevato la scuola dall’obbligo di predisporre una stanza per le preghiere del giovane. I motivi sono numerosi, tra cui, appunto, la garanzia della pace nel liceo stesso.

La grande concentrazione di diverse religioni nella scuola contiene, secondo il giudice, un alto potenziale di conflitto. Già in diverse occasioni si sono sviluppate discussioni e liti su questioni fondamentali religiose e la preghiera rituale di Yunus non farebbe altro che aumentare il rischio di eventuali ostilità.

Secondo il giudice, inoltre, la stanza a disposizione di Yunus presupporrebbe anche degli spazi di preghiera per ogni altro studente con il suo differente credo. Chiaramente, la cosa non è attuabile, poiché supererebbe la capacità effettiva degli edifici scolastici. Dopo la prima sentenza ci sono state decine di richieste di stanze per la preghiera in tutta Berlino, tra cui diverse anche da alcuni studenti ebrei.

Infine, il tribunale ha presentato una dichiarazione dell’islamista Tilman Nagel, secondo cui il giovane può riprendere le sue preghiere in un secondo momento senza intaccare le disposizioni del Corano: la preghiera durante le ore di lezione non è necessaria.

Ora la decisione finale spetta alla Corte Costituzionale Federale: il tribunale supremo ha lasciato aperta la possibilità di revisione, vista l’importanza e la gravità della faccenda. L’avvenimento ha già attirato comunque l’attenzione dei media e non ha mancato di provocare reazioni contrastanti; la maggior parte della politica berlinese ha accolto la sentenza con approvazione, mentre la cristianità, insieme ai liberali, ha reagito con scetticismo. E la cosa non stupisce.

Se a una prima lettura la decisione sembra controversa, la sua attuazione rappresenta in realtà un tentativo molto ampio di garantire alle istituzioni scolastiche un’assoluta imparzialità dalle religioni tutte. A questo proposito, nel 1995 la Corte Costituzionale Federale aveva deciso che il crocefisso nelle classi era “inconciliabile” con la neutralità dello Stato e delle sue istituzioni: questo non ha portato, tuttavia, all’eliminazione effettiva del simbolo cristiano.

Forse, la cristianità tedesca teme che il dibattito possa portare a galla un vecchio problema che si rimanda da troppo tempo. E anche quei partiti che fanno del crocefisso una questione d’identità non possono fare a meno di preoccuparsi. Da ammirare, in ogni caso, l’attenzione che si da’ a delle problematiche che invece, altrove, vengono rimosse e sottratte all’attenzione pubblica in ogni modo.

 

 

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