di Michele Paris

Per la seconda volta in altrettanti anni di permanenza alla Casa Bianca, Barack Obama è chiamato a sostituire un membro della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America. Come lo scorso anno, il giudice uscente fa parte della minoranza liberal del tribunale costituzionale americano, il 90enne John Paul Stevens, rendendo l’avvicendamento relativamente ininfluente ai fini degli equilibri ideologici della Corte. La scelta di Elena Kagan, tuttavia, può essere considerata un’occasione mancata per installare un membro dalle credenziali più spiccatamente progressiste e rappresenta, perciò, una mossa fin troppo cauta da parte del presidente di fronte all’agguerrita minoranza repubblicana, che giocherà un ruolo decisivo nel processo di conferma della nomina che inizierà la prossima estate al Senato.

La 50enne Elena Kagan, se confermata, sarà il 112esimo giudice della Corte Suprema e si unirà alle altre due donne che ne fanno parte: Sonia Sotomayor (nominata nel 2009 da Obama) e Ruth Bader Ginsburg. Scelta l’anno scorso per rappresentare il governo americano proprio di fronte alla Corte Suprema (“solicitor general”), la Kagan sarebbe anche il primo membro a non avere alcuna esperienza come giudice da quasi quarant’anni a questa parte. Cresciuta a Manhattan in un ambiente familiare di chiare tendenze democratiche, vanta studi a Princeton, Oxford e Harvard. La sua conferma comporterebbe per la prima volta l’assenza di un giudice protestante nella Corte Suprema. Elena Kagan è infatti ebrea, come altri due giudici, mentre ben sei sono cattolici.

La provenienza dall’ambito accademico e governativo costituisce per lei una sorta di arma a doppio taglio. Se da un lato la mancata esperienza di giudice potrebbe mettere in discussione le sue competenze nel supremo tribunale americano, dall’altro l’assenza di opinioni legali scritte in qualità di magistrato giudicante toglie, a quanti potrebbero opporsi alla sua nomina, gli strumenti principali per attaccare la sua visione della legge costituzionale. Quest’ultima carenza rende anche complicata una previsione delle posizioni che sarà chiamata a prendere sui casi più delicati che finiranno di fronte alla Corte Suprema nel prossimo futuro.

La scelta di Elena Kagan riflette chiaramente la volontà di Obama di evitare di inviare al Senato per la conferma un candidato considerato troppo liberal, come avevano ammonito gli ambienti conservatori nelle ultime settimane. Dopo le consuete pratiche di selezione, la rosa dei candidati a succedere il giudice Stevens si era ristretta a tre nomi. Oltre alla Kagan, erano stati considerati due giudici delle Corti d’Appello di Washington e Chicago, rispettivamente il moderato Merrick Garland e la più chiaramente progressista Diane Wood. Tra i tre, la scelta alla fine è ricaduta sulla centrista Kagan, identificata dalla Casa Bianca come la più adatta a influenzare il giudice - Anthony Kennedy - il cui voto determina spesso gli equilibri di una corte sbilanciata a destra sotto la guida del “Chief Justice” John G. Roberts.

Qualche possibile indicazione circa il pensiero giuridico di Elena Kagan si può ricavare allora dal suo curriculum. In passato, la candidata ha lavorato nello staff di uno dei giudici-icona della sinistra alla Corte Suprema, Thurgood Marshall, per poi trasferirsi alla scuola di legge dell’Università di Chicago nei primi anni Novanta, dove incrociò il percorso accademico di un giovane Barack Obama. Più tardi sarebbe entrata a far parte dell’amministrazione Clinton, ricoprendo la carica di vice-consigliere per gli affari interni alle dipendenze del democratico centrista Bruce Reed. In questa posizione, la Kagan contribuì alla stesura della riforma clintoniana del welfare che condusse alla soppressione di svariati programmi sociali.

Nel 1999 lo stesso Bill Clinton la nominò per la Corte d’Appello di Washington, uno dei tribunali più importanti del paese. La sua candidatura, però, finì per naufragare nel caos dell’impeachment del presidente, così che il Senato a maggioranza repubblicana non votò nemmeno la sua nomina. Lasciato l’incarico governativo, ottenne la leadership della facoltà di Legge a Harvard. A questo periodo risalgono almeno due episodi ai quali hanno fatto riferimento i suoi oppositori da destra e da sinistra. I primi le rimproverano di aver ostacolato le attività di reclutamento dell’esercito tra gli studenti di Harvard a causa della sua opposizione alla pratica discriminatoria che impedisce a chi si dichiara apertamente gay di servire nelle forze armate. Da sinistra, invece, si sottolinea come abbia chiamato numerosi docenti conservatori ad insegnare nella prestigiosa università americana.

La presa di posizione di Elena Kagan sulle discriminazioni nei confronti degli omosessuali evidenzia come il suo progressismo faccia riferimento più a politiche identitarie (diritti gay, femminismo) che alla giustizia sociale o agli stessi diritti civili legati all’espansione delle prerogative del potere esecutivo nell’ultimo decennio. Se la Kagan, infatti, definì una “mostruosa ingiustizia” la politica dell’esercito di negare l’arruolamento a gay e lesbiche, gli stessi scrupoli non ha manifestato, ad esempio, riguardo le detenzioni indefinite di presunti terroristi senza processo, gli assassini extra-giudiziali autorizzati dal presidente o le intercettazioni illegali ai danni dei cittadini.

Un pressoché incondizionato assenso agli eccessi della “guerra al terrore” la Kagan l’aveva dimostrato nel marzo del 2009, nel corso delle audizioni al Senato per la sua conferma a “solicitor general”. Sui temi economici, poi, è piuttosto evidente la sua tendenza a favorire gli interessi delle corporation, come dimostra anche il suo ruolo di consulente esterno per Goldman Sachs tra il 2005 e il 2008. Più di una riserva è stata sollevata infine anche dalle associazioni che si battono per il diritto all’aborto. Come ha rivelato la Associated Press, in un memorandum scritto nel 1997 per l’amministrazione Clinton, Elena Kagan sollecitava l’appoggio ad una legge restrittiva sull’interruzione di gravidanza.

In un clima politico notevolmente inaspritosi anche rispetto a un anno fa, Obama sembra dunque voler proporre una candidata in grado di raccogliere un consenso bipartisan. Nel 2009, inoltre, furono sette i senatori repubblicani a votare a favore di Elena Kagan per la nomina a “solicitor general”, circostanza che renderà ora complicato per loro un voto contrario alla sua candidatura alla Corte Suprema. La presenza nel tribunale costituzionale americano di un giudice che ha lavorato a stretto contatto con l’amministrazione Obama, poi, potrebbe tornare utile nel momento in cui dovessero finire all’esame della Corte un certo numero di casi che hanno a che fare con la legislazione promossa proprio dalla Casa Bianca (riforma sanitaria, leggi anti-terrorismo, riduzione delle emissioni in atmosfera).

Quel che è certo, come dimostrano le reazioni complessivamente negative da parte della sinistra del Partito Democratico, la scelta di Elena Kagan conferma nuovamente la rinuncia da parte di un presidente democratico a cercare di installare giudici in grado di promuovere la giustizia sociale dalla Corte Suprema, com’era accaduto fino almeno agli anni Sessanta. Ciò contrasta fortemente con la scelta deliberata da parte degli ultimi presidenti repubblicani di nominare conservatori irriducibili (Antonin Scalia, Clarence Thomas, Samuel Alito, John G. Roberts). Con l’addio del giudice John Paul Stevens, paladino di liberal e progressisti statunitensi, e la nomina da parte di Obama di Elena Kagan, così, nei prossimi anni il baricentro della Corte Suprema promette di spostarsi ulteriormente e pericolosamente verso destra.

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