di Eugenio Roscini Vitali

Aprendo il fuoco contro un aereo che sorvolava i cieli della città yemenita di Sa’ada, i ribelli sciiti Houthi hanno rotto la tregua sottoscritta con il governo centrale lo scorso 12 febbraio. L’episodio è certamente una delle più gravi violazioni fino ad oggi registrate e mina un cessate il fuoco che avrebbe dovuto porre definitivamente fine alla guerra civile nel nord. Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa Reuters, il velivolo su cui viaggiavano alcuni funzionari governativi e militari non sarebbe stato colpito.

Questo episodio rappresenta comunque un segnale evidente di come la pace concordata a febbraio non accontenti nessuno: non soddisfa i ribelli sciiti che, appoggiati da Teheran, puntano a ristabilire nel nord l’imamato zaydita rovesciato il 27 settembre 1962 dal golpe organizzato da un gruppo di nazionalisti legati al presidente della RAU, Gamal Abdel Nasser. E non soddisfa il governo, già alle prese con un’immagine minata dall’instabilità del aree controllate dalle cellule terroristiche legate ad al-Qaeda.

Tanto meno soddisfa l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, preoccupati per l’unità stessa del Paese e per l’esistenza di un movimento secessionista che nel sud controlla l’antica città portuale di Aden, la capitale commerciale dello Yemen che si affaccia su un tratto di mare dove passa gran parte del greggio diretto verso occidente. Ma soprattutto non soddisfa le vittime di questo conflitto, centinaia di migliaia di profughi che da anni fuggono alla ricerca un posto sicuro nei pochi ed affollati campi profughi messi a disposizione dalle organizzazioni umanitarie internazionali.

Aderendo alla tregua del 12 febbraio scorso, il governo del presidente Ali Abdullah Salehe e i ribelli Houthi guidati da Abdel-Malek al-Houthi avevano messo fine alla sesta fase di una guerra iniziata nel giugno 2004 con l’insurrezione del Sa’ada, la regione nord occidentale al confine con le province arabe di Asir, Jazan e Najran. In sei anni, il conflitto, che in questa occasione ha visto il coinvolgimento diretto delle truppe e dell’aviazione Saudita, ha causato la morte di circa 8.000 persone tra civili e soldati  ed ha costretto alla fuga più di 250.000 civili; una guerra interrotta da sei tregue più o meno traballanti e caratterizzata dalla cronica assenza di volontà nel voler rendere giustizia alla vittime e far luce sulle numerose violazioni contro le leggi di guerra perpetrate da entrambe le parti.

L’ultima fase di questa guerra a “puntate” (la precedente si era conclusa nel luglio 2008) è iniziata l’11 agosto 2009 con l’operazione “Terra bruciata”, un massiccio attacco portato contro le postazione della guerriglia Houthi dalle truppe del Generale Ahmed al-Ashwal, Capo di Stato maggiore dell’esercito yemenita. Con un centinaio di morti ed un numero imprecisato di feriti, i colpi dell’artiglieria e le bombe sganciate dai Mig-29 Fulcrum hanno messo subito a dura prova la popolazione shiita: decine di villaggi distrutti e migliaia di persone costrette a fuggire verso i campi profughi di Mandaba, nel distretto di Baqim, o verso quelli più a sud di Al-Muzruq, Al-Matama, Khaiwan, Hajja Haradh, Al-Mandhaba, o verso le tendopoli sorte ad Al-Boqe’e, alle porte di Sa’ada.

Una situazione allarmante che si è aggravata a novembre, quando l’Arabia Saudita ha annunciato il blocco di parte della costa yemenita ed è poi entrata in guerra dando aperto sostegno all’operazione intrapresa dal governo yemenita: con l’intento di creare una “buffer zone” di 10 chilometri, i Tornado IDS della Royal Saudi Air Force hanno attaccato le zona di confine ed hanno colpito i  distretti di Saqayn, Majz, Haydan, Sahar, Razih, Shada, Ghamr, Al-Dhahir e Harf Sufyan.

Nel dicembre scorso l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), precisava che pur non essendo possibile verificare il numero esatto delle vittime degli ultimi mesi, dal 2004 i civili che avevano perso la vita a causa del conflitto erano circa 1.750, gli sfollati 175.000 e almeno 800.000 le persone coinvolte negli scontri. Due mesi dopo le agenzie internazionali dichiaravano di poter assistere solo una parte dei 265 mila yemeniti che erano riusciti a sfuggire ai bombardamenti e alle angherie della guerriglia, sfollati che per la seconda o terza volta erano partiti alla disperata ricerca della protezione dell’Onu.

A differenza delle altre fasi, questa volta il conflitto ha catalizzato però l’attenzione dei media, soprattutto per l’intervento saudita a sostegno degli interessi Usa nella Penisola Araba e per l’appoggio iraniano ai ribelli Houthi. E’ stato così possibile amplificare le numerose denuncie delle organizzazioni umanitarie e delle stesse Nazioni Unite e venire a conoscenza della difficoltà in cui si trovava un popolo già provato dalle difficoltà di una vita estremamente dura. Numerosi i casi di violazione delle leggi di guerra, atti denunciati in un report pubblicato da Human Rigth Watch, dove si parla dei gravissimi danni causati dai bombardamenti compiuti in aree densamente abitate e dalle operazioni militari eseguite senza che la popolazione civile avesse avuto modo di evacuare le zone interessate.

Nel rapporto vengono anche elencate le numerose violenze consumate dai ribelli che, oltre ad aver impedito il ricovero dei feriti, avrebbero compiuto esecuzioni sommarie ed arruolato ragazzi non ancora diciottenni. Tutte azioni per le quali i guerriglieri Houthi erano già stati accusati e che lo stesso Abdel-Malek al-Houthi aveva negato con una lettera inviata il 22 giugno 2009 a Human Rights Watch.

Dalla metà di febbraio le Nazioni Unite riescono ad aiutare il 17% dei profughi, 45.000 civili ospitati in sette grandi tendopoli e nove insediamenti minori. I rimanenti 218.000 esuli sarebbero invece abbandonati a se stessi, ammassati all’aperto o in sistemazioni di fortuna costruite nei pressi dei centri d’accoglienza dove, a causa dell’ostruzionismo delle autorità e della limitata rete messa in piedi dall’organizzazione internazionale, non riceverebbero un’assistenza adeguata. Ci sono poi i civili che, a causa dei bombardamenti e delle recenti operazioni militari, sono stati costretti ad attraversare il confine settentrionale e che ora vengono scortati dalle forze di sicurezza saudite  fino alla frontiera ed “invitati”, in violazione alle leggi internazionali,  a rientrare nel loro Paese. Uno scenario drammatico, aggravato dalla presenza di migliaia di somali ed eritrei fuggiti dal Corno d’Africa e da un costante stato di tensione che potrebbe alimentare nuovi focolai di violenza e portare far crescere il numero di vittime indirette a diverse decine di migliaia. 

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy