di Michele Paris

Lo scorso 24 febbraio, poco dopo mezzogiorno, nella città di San Pedro Sula, bussano alla porta di Claudia Larissa Brizuela, che stava festeggiando i suoi 36 anni. Aperta la porta di casa, riceve tre pallottole alla testa, morendo sul colpo. Claudia era militante nel sindacato del Comune dove lavorava e figlia di Pedro Brizuela, noto dirigente locale del Fronte Nazionale di Resistenza Popolare (FNRP). Questo nuovo omicidio terroristico è accaduto alla vigilia di una grande mobilitazione organizzata dal FNRP nella capitale, Tegucigalpa, in rifiuto alla Commissione della Verità, considerata come la via d’uscita verso l'impunità per tutti i criminali coinvolti nel colpo di Stato e nella selvaggia repressione che è seguita. Claudia è la terza vittima mortale in questo primo mese di governo di Porfirio Lobo. Sono già stati assassinati in circostanze abbastanza simili Vanessa Zepeda e Julio Funes.

Come si vede, la repressione non é cessata con la chiusura delle urne e l'elezione del nuovo "presidente": a otto mesi di distanza dal colpo di stato in Honduras che spodestò il presidente legittimo, Manuel Zelaya, gli effetti della crisi istituzionale nel paese continuano a farsi sentire. Mentre la recente amnistia approvata dal parlamento ha garantito l’impunità ai responsabili del golpe e ha messo al riparo lo stesso Zelaya da futuri processi politici, due pubblici ministeri honduregni hanno annunciato altrettante azioni legali distinte. La prima per cercare di incriminare lo stesso ex presidente per aver distratto fondi pubblici e l’altra i vertici militari autori del colpo di stato della scorsa estate. Il tutto mentre nel paese proseguono le proteste e la repressione del nuovo governo.

Insieme ad Andrés Thomas Conteris, giornalista e attivista per i diritti civili in America Latina, nonché fondatore del network radio-televisivo indipendente Democracy Now! in lingua spagnola, abbiamo ripercorso i fatti legati al colpo di stato nel poverissimo stato centroamericano dello scorso 29 giungo. Conteris, da tempo impegnato in vari progetti di sviluppo sociale n Honduras, è rimasto nell’ambasciata brasiliana di Tegucigalpa con il presidente deposto Manuel Zelaya, dopo che quest’ultimo era riuscito a rientrare di nascosto nel paese alla fine di settembre. Dalla sua testimonianza emerge chiaramente come la repressione contro il movimento di resistenza, messa in atto dal regime golpista, continui indisturbata anche dopo l’elezione del nuovo presidente, il conservatore Porfirio Lobo, nonostante gli Stati Uniti abbiano più volte proclamato che la crisi nel paese sia ormai in fase di pacifico superamento.

Innanzitutto, per quanto tempo sei rimasto confinato nell’ambasciata brasiliana di Tegucigalpa con il presidente Zelaya e i suoi più stretti collaboratori?

Ho vissuto all’interno dell’ambasciata brasiliana per tutto il periodo in cui è rimasto Manuel Zelaya, cioè per 129 giorni: dal 21 settembre 2009 al 27 gennaio 2010.

Torniamo ai giorni del golpe. Quali sono stati i veri motivi che il 28 giugno 2009 hanno portato alla rimozione di Zelaya dopo che si era rifiutato di cancellare una consultazione popolare non vincolante su possibili riforme costituzionali ?

Credo che una delle ragioni principali che hanno causato il colpo di stato in Honduras sia stata la precedente decisione di Zelaya di aumentare del 60% il livello del salario minimo nel paese. Questo provvedimento ha spinto i grandi interessi economici, che si sono sentiti penalizzati, a coalizzarsi con le élites politiche e militari per organizzare il golpe.

Alla luce degli stretti rapporti tra gli Stati Uniti e l’esercito honduregno, è possibile che Washington fosse all’oscuro delle manovre golpiste a Tegucigalpa? A tuo parere, gli USA hanno avuto o no un ruolo concreto nell’organizzazione del golpe stesso?

La partecipazione di Washington al golpe è altamente probabile. L’aereo che il 28 giugno ha trasportato Zelaya in Costa Rica (dopo che era stato prelevato dal palazzo presidenziali nel corso della notte) ha fatto un atterraggio alla base di Soto Cano, che si trova a circa 50 miglia dalla capitale dell’Honduras, prima di giungere alla sua destinazione finale. La “Joint Task Force Bravo” del Comando Meridionale Americano ha il suo quartier generale proprio in questa base. La motivazione ufficiale per lo scalo è che era necessario un rifornimento; una spiegazione che però non ha alcun senso, dal momento che la distanza tra Honduras e Costa Rica è molto breve.

Dopo la rimozione di Zelaya, gli USA hanno condannato ufficialmente il golpe. Tuttavia, Washington si è rifiutata di troncare i rapporti con il governo de facto di Micheletti e di cancellare tutti gli aiuti finanziari. Qual è il motivo di questo comportamento della Casa Bianca?

Anche se gli Stati Uniti hanno ufficialmente espresso la loro condanna, da un punto di vista legale non hanno definito l’azione un “colpo di stato militare”, un provvedimento che avrebbe automaticamente tagliato tutti gli aiuti al regime golpista. In realtà, gli esperti del Dipartimento di Stato avevano raccomandato l’adozione della definizione di “colpo di stato militare”, ma il Segretario Hillary Clinton si rifiutò di seguire questa indicazione.

Subito dopo il golpe, è stata lanciata una mediazione tra Micheletti e Zelaya, patrocinata da Washington e condotta dall'allora presidente del Costa Rica Oscar Arias. Questi colloqui sono falliti, così come non è andato a buon fine, successivamente, anche un altro negoziato che la diplomazia americana aveva gestito direttamente e che aveva portato ad un accordo momentaneo alla fine di ottobre. Quali sono stati i motivi di questi fallimenti?

La mediazione promossa da Arias, in realtà, fin dall’inizio non era stata accettata dal governo golpista, perché prevedeva chiaramente un percorso che avrebbe reinsediato al potere il presidente eletto, Manuel Zelaya. L’accordo firmato il 30 ottobre, invece, crollò in seguito ad un vero e proprio sabotaggio degli Stati Uniti, quando dichiararono che avrebbero riconosciuto le elezioni presidenziali del 29 novembre anche nel caso di un mancato reinsediamento di Zelaya. Questo è stato precisamente il messaggio lanciato da Thomas Shannon (all’epoca Assistente Segretario di Stato per l’Emisfero Occidentale, ora ambasciatore in Brasile) subito dopo la firma dell’accordo. Una posizione che ha rinvigorito il regime golpista, convincendolo a portare avanti le elezioni presidenziali prima che il congresso honduregno votasse per il ritorno di Zelaya al potere.

In una situazione di continuo stallo nelle trattative, il 21 settembre Manuel Zelaya riesce a tornare in Honduras, trovando rifugio all’interno dell’ambasciata del Brasile. Molti resoconti sono stati fatti sulle condizioni in cui il presidente e il suo entourage sono stati costretti a vivere sotto assedio della polizia e dell’esercito. Secondo la tua esperienza diretta, com’era la vita quotidiana nell’ambasciata brasiliana di Tegicigalpa? È vero che ci sono state minacce di morte al presidente Zelaya e che è stata messa in atto una sorta di guerra psicologica?

La vita all’interno dell’ambasciata direi che è stata piuttosto animata, nonostante le ovvie limitazioni. All’inizio ci sono stati vari attacchi con gas lacrimogeni e con strumenti LRAD (Long Range Acoustic Device, dispositivi che emettono suoni ad altissimo volume). Inizialmente, poi, erano impediti i rifornimenti di cibo e acqua, mentre successivamente sono stati ristabiliti. L’energia elettrica veniva interrotta di quando in quando e le comunicazioni elettroniche erano costantemente disturbate. Tattiche da guerra psicologica ed altre azioni ostili sono continuate per l’intero periodo, così come le minacce dirette da parte dell’esercito e della polizia honduregna.

Le elezioni presidenziali del 29 novembre si sono svolte in maniera libera e democratica, come hanno sostenuto gli USA? E la percentuale dei votanti è risultata in linea con le consultazioni precedenti o gli elettori honduregni sono rimati a casa, ascoltando l’invito al boicottaggio lanciato da Zelaya?

Assolutamente no. L’elezione del 29 novembre non si è svolta in un clima democratico. Il boicottaggio proclamato dalla resistenza nonviolenta al golpe è stato in larga parte ascoltato. C’è stata un’altissima percentuale di astensionismo, perciò il numero totale dei votanti alla fine è risultato molto inferiore rispetto ad altre elezioni in Honduras.

La vittoria di Porfirio Lobo nelle elezioni presidenziali ha segnato il ritorno al potere in Honduras delle élite più agiate del paese. Nonostante ciò, ci sono prospettive per una pacifica soluzione della crisi, come ha promesso il neo-presidente Lobo dopo aver ricevuto i poteri da Micheletti lo scorso mese di gennaio?

Fino ad ora non c’è stata alcuna soluzione pacifica, dal momento che le violazioni dei diritti umani in Honduras proseguono. Il colpo di stato del 28 giugno 2009 è stata un’azione incostituzionale e illegale; le violazioni dei diritti umani che ne sono seguite – arresti di massa, percosse, stupri, rapimenti e omicidi – rappresentano crimini contro l’umanità. Praticamente ogni articolo della Convenzione delle Americhe sui Diritti Umani è stato violato, a partire dalla rottura dell’ordine costituzionale. I crimini commessi, e la stessa azione criminale del colpo di stato, non sono stati sottoposti ad alcuna indagine e gli autori continuano a sfuggire alla giustizia. Le elezioni presidenziali del 29 novembre sono state organizzate da un regime golpista illegittimo che ha represso violentemente le proteste dei cittadini e il dissenso della società civile, rendendo impossibile un clima democratico. Le elezioni, inoltre, non sono state riconosciute dalla maggior parte degli honduregni né, almeno inizialmente, da quasi tutta la comunità internazionale.

Dopo il voto é cambiato qualcosa circa la repressione?

Dopo l’insediamento del governo de facto di Pepe Lobo le violazioni dei diritti umani sono continuate senza sosta, coinvolgendo l’esercito, la polizia e, sempre di più, organizzazioni paramilitari inquadrate in vere e proprie squadre della morte. Gli obiettivi della repressione sono sindacalisti, giornalisti, indigeni Garifuna, le comunità di “campesinos” ed altri esponenti della società civile che si è opposta al golpe. Solo nelle prime due settimane di febbraio ci sono stati almeno sei omicidi documentati, rapimenti e altre repressioni extra-giudiziarie ai danni di membri della resistenza. L’istituzione della cosiddetta Commissione per la Verità il 25 febbraio, promossa dagli stessi responsabili del golpe, non è che una farsa. Non ci potrà essere verità e riconciliazione nel paese senza la fine delle impunità e il ristabilimento della sovranità democratica che appartiene al popolo honduregno.

Con la deposizione e ora l’esilio in Repubblica Domenicana di Zelaya e il ritiro dei candidati che lo sostenevano dalle elezioni dello scorso novembre, esiste la possibilità che nel prossimo futuro la causa dell’eguaglianza e della giustizia sociale in Honduras sia portata avanti in qualche modo?

Manuel Zelaya continuerà a battersi per l’eguaglianza e la giustizia sociale assieme alla resistenza nonviolenta in Honduras. Nonostante il golpe, continuano gli sforzi per giungere ad una Assemblea Costituente che riscriva una Costituzione che finalmente risponda ai bisogni del popolo e non solo di quelli delle élites.

Oltre alla Commissione per la Verità di cui hai parlato in precedenza, cosa ne pensi dell’amnistia proposta dal presidente Lobo?

L’amnistia, in realtà, è già stata approvata e rappresenta una garanzia di impunità per i crimini commessi dal regime di Micheletti e per quelli di cui si è già reso responsabile l’attuale governo.

Il segretario generale dell’OSA [Organizzazione degli Stati Americani], José Miguel Insulza, ha detto che farà di tutto per riammettere l’Honduras nell’organizzazione. Credi che questo messaggio, assieme al voltafaccia americano riguardo al golpe, può favorire altri colpi di stato in altri paesi dell’America Latina (in particolare in Nicaragua, dove le destre erano estremamente entusiaste di Micheletti, o in Venezuela) perché gli eventuali autori potranno contare sull’impunità garantita per i loro atti ?

È evidente che le destre in tutta l’America Latina siano uscite rinforzate dal colpo di stato in Honduras e dal fatto che il presidente legittimo non è stato reinsediato. Il ruolo dell’OSA inizialmente era sembrato utile alla causa della resistenza anti-golpista, ma in seguito l’organizzazione non ha saputo tenere fede ai propri impegni, lanciando un pericoloso messaggio per il futuro delle democrazie di tutto il continente.

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