di Cinzia Frassi

La questione iraniana è ancora sul tavolo internazionale, sotto gli occhi del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, degli Usa e degli altri paesi membri permanenti del Consiglio e dell'Iran. E' lì, pressoché inalterata, nonostante la fatidica data sia scaduta da qualche giorno. Forse si è un po' sgonfiata quella sensazione di inevitabilità del peggio creata esattamente nel momento in cui in questa vicenda e per la prima volta si è parlato di Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
Ciò che è accaduto all'indomani dell'11 settembre e la conseguente azione in Iraq, ci ha segnato tutti. Oggi però il problema nei confini americani sembra essere prima di tutto l'opinione pubblica, e senza quest'ultima nemmeno George W. Bush e il suo falco possono fare mosse azzardate, almeno per ora. A Manhattan sono scesi in piazza i pacifisti al fianco di Cindy Sheehan, la madre pacifista che da mesi sfida il Presidente a spiegare le ragioni "vere" per le quali abbia portato l'America in guerra in Iraq e per quei 2400 soldati che non ne sono usciti vivi.
"Basta con la guerra, a casa le truppe", questo grida la grande mela pacifista, una voce che risuona nelle orecchie del Presidente impedendo sicuramente opzioni altrimenti percorribili per la soluzione della questione Iran. Bush pochi giorni fa, dopo lo scadere dell'ultimatum, ha dichiarato che "il desiderio dell'Iran di avere la bomba nucleare è pericoloso", ma non sarà di certo sufficiente per conquistare la benedizione di un popolo a quanto pare disilluso sugli esiti della guerra in Iraq. L'america è reduce dal salasso che ha prosciugato il conto "esportare la democrazia" in tutti i sensi, ma che in termini economici si traduce in 320 miliardi di dollari. L'onda trascinante post 11 settembre, quel motore partito da Ground zero, si è impantanato nel deserto iracheno e proprio non riesce a gestire la questione Iran.

Ma sul quel tavolo ovale c'è prima di tutto la questione energetica e non è un mistero la nuova linea strategica della politica americana per l'Asia centrale e meridionale al riguardo. Sintomatici sono gli accordi recenti con l'India, un paese con prospettive di crescita eccezionali, che ha ottime possibilità di diventare un "punto" strategico nell'economia internazionale asiatica. Qui non si tratta di questione nucleare, di rispetto del TNP o della probabile necessità dell'Iran di mettere insieme l'ordigno nucleare. Quello che sta accadendo in questi ultimi anni e che ci porta oggi a scrivere di Trattato di non proliferazione nucleare e di Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, è anche e soprattutto il tentativo degli Stati Uniti di realizzare la propria strategia internazionale energetica ed economica.

Cina e Russia sembrano essere i partner duri da convincere per una soluzione tout court iraniana, ma anche per loro si mescolano interessi strategici, economici e politici.
Sembrerebbe ricrearsi oggi, attorno alla questione Iran, quella sottile linea che per molto tempo ha messo in fila più o meno tutti i paesi sotto il nome di "guerra fredda".
Quello schieramento su posizioni opposte viene a ricrearsi oggi in Medioriente e costringe nuovamente ad una assunzione di posizioni politiche che si riflette sull'intero scenario internazionale.

Negli ultimi giorni il prezzo del petrolio galoppa oltre i 74 dollari al barile e gli esperti del settore sono certi che le tensioni internazionali si scaricheranno proprio sulla quotazione portandola alle stelle, oltre al limite in cui l'economia mondiale sarebbe destinata ad un brusco arresto. Il trend in crescita del prezzo dell'oro nero risente oggi della crisi iraniana e i timori si fanno realtà se si ipotizza la reazione di Teheran ad eventuali sanzioni da parte della comunità internazionale al palazzo di vetro. Simon Wardell, di Global Insight spiega che "l'Iran potrebbe rispondere alle eventuali sanzioni tagliando l'export di petrolio o, peggio ancora, bloccando lo stretto di Ormuz, passaggio strategico per il traffico di greggio. E "se si verificasse lo scenario peggiore in Iran, i prezzi del petrolio potrebbero salire a prezzi eccezionalmente alti".
Al contrario, c'è chi se ne rallegra, come il Presidente Ahmadinejad, che di recente ha dichiarato che l'aumento dei prezzi del greggio, con il corrispondente incremento degli introiti, è "cosa molto positiva".

Il tentativo della Russia di tenere bassa la tensione e di impedire una risoluzione drastica all'indirizzo iraniano, minacciando il veto in sede di Consiglio di Sicurezza, è da considerare un punto fermo dovuto alla necessità di mantenere i rapporti con Teheran e con gli altri paesi dello stesso asse. Per questo Mosca ha messo sul tavolo della questione iraniana l'offerta di arricchire uranio sul suo territorio per conto dell'Iran, soluzione che a quanto pare potrebbe essere presa in considerazione da Teheran a condizione di non trattare direttamente con gli Stati Uniti e che l'Aiea torni ad essere il suo interlocutore in luogo del Consiglio di Sicurezza.
Oltre a questo spiraglio, nulla è cambiato della posizione dell'Iran sulla sua attività nucleare che ribadisce continuamente di non voler sospendere a nessun costo.

L'incontro di Parigi tra i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, con la partecipazione della Germania, per escogitare qualcosa che possa entrare in una risoluzione "nobile" finalizzata a costringere Teheran a sospendere ogni attività giudicata "pericolosa" per ora non ha sortito effetti. Per ipotizzare una soluzione shock and awe (colpisci e terrorizza) sulla falsariga irachena è ancora prematuro, ma non lo è per impostare ed indirizzare fin d'ora tale ipotesi.

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