di Nicola Lillo

“Finalmente”. È questa l’espressione con cui Barroso, presidente della Commissione europea, ha celebrato l’effettiva entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Dal primo dicembre siamo dunque entrati nell’era del Reform Treaty (“trattato modificativo”). Sottoscritto a Lisbona il 13 dicembre 2007, il Trattato era destinato ad entrare in vigore il primo gennaio 2009. La non approvazione da parte dell’Irlanda, tramite referendum, ha però rallentato i tempi. Ma adesso, l’Europa di Lisbona, inizia “finalmente” la sua marcia.

Il Trattato è frutto dell’abbandono del progetto di costituzionalizzazione dell’Unione con la Conferenza intergovernativa di Laeken del dicembre 2001. L’idea era quella di redigere una vera e propria Costituzione europea. Nel 2003 la bozza fu presentata a Salonicco. Ma con i referendum svoltisi in Francia e in Olanda, nel maggio e giugno 2005, hanno prevalso i voti contrari. Anche se nella maggioranza degli Stati membri, fra cui l’Italia, prevalse la ratifica tramite voti di parlamentari, lo sconquasso fu tale che il vertice europeo optò per una “pausa di riflessione” nel processo di ratifica.

Nei successivi Consigli Europei si approdò, dunque, ad un ben più modesto Reform Treaty. Ma quali sono le novità? Innanzitutto la UE ha acquisito una personalità giuridica, e ciò comporta che potrà firmare trattati internazionali e agire sulla scena mondiale come un vero e proprio Stato. Inoltre sul piano istituzionale è previsto il voto a doppia maggioranza per le delibere del Consiglio, sia degli stati che delle popolazioni. L’Unione avrà poi la possibilità di lanciare politiche di cooperazione rafforzata anche in materie di politica estera, sicurezza e difesa.

Punto centrale del cambiamento è senz’altro l’elezione del Presidente del Consiglio, a maggioranza qualificata, che resta in carica per due anni e mezzo. Non ci sarà più, dunque, la durata in carica di sei mesi, a rotazione per ciascuno Stato membro. Altro elemento di novità è l”Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza”, Mister Pesc, chiamato a guidare la politica estera e di sicurezza dell’Unione. Il primo presidente stabile del Consiglio sarà il premier belga Herman Van Rompuy, mentre la britannica Catherine Ashton (“ma chi è?” ha detto un esterrefatto Romano Prodi) sarà “ministro degli esteri”.

Entrambi graditi dai leader nazionali, su tutti Francia e Germania, per non rischiare di essere messi in ombra da chi sale sul palcoscenico d’Europa, hanno risposto alle numerose critiche chiedendo di essere giudicati su quello che faranno. In realtà per diversi giorni si è parlato di D’Alema come Mister Pesc, poi cassato da un accordo tra i leader socialisti del Pse, i quali lo hanno sostituito con la laburista Ashton, nominata anche vicepresidente della Commissione Europea. D’Alema aveva suscitato forti resistenze nei nuovi paesi membri, che si erano preoccupati per il suo passato da leader comunista. Ma, secondo indiscrezioni, anche i suoi trascorsi di politica italiana, come uomo che aveva abbandonato Prodi, potrebbero aver pesato. Nomina del “leader Massimo” che avrebbe, comunque, imposto il ritiro di Antonio Tafani del Pdl, responsabile UE dei trasporti, ora confermato.

Catherine Ashton, baronessa cinquantatreenne, mai votata da alcun elettore, avendo ricevuto solo una sfilza di nomine, è apprezzata da Blair e ritenuta vicina a Gordon Brown. Le poltrone da lei occupate centrano però poco con il suo incarico attuale (era Commissario al Commercio). Non cimentatasi mai in politica estera, ha riempito due caselle nello stesso tempo, avendo inoltre femminilizzato i vertici europei. La baronessa, avrebbe affermato di essere stata scelta “perché sono la migliore”.

Van Rompuy, settantaduenne, fiammingo democristiano, appoggiato sia dalla cancelliera tedesca Angela Merkel che da Nicolas Sarkozy, ha un profilo certamente più elevato della collega, essendo riuscito a far uscire il Belgio da una lunga e pericolosa lotta interna tra fiamminghi e valloni.
Il ruolo di Von Rompuy si profila, comunque, secondario, come ha fatto capire anche Silvio Berlusconi, il quale si è permesso di riprenderlo per essere arrivato in ritardo al pranzo di prefettura. “Il presidente non ha iniziato bene perché è arrivato con un‘ora di ritardo ma adesso gli insegno io”. Assumerà le funzioni dal primo gennaio 2010, in modo da consentire la fine del mandato di presidenza affidato in questi sei mesi alla Svezia. Proposte, e ormai cariche, di basso profilo. Non delle grandi personalità per l’Unione Europea.

Hanno, dunque, vinto le tre grandi capitali. Due cariche che non faranno certo ombra al binomio franco-tedesco, quello che Sarkozy e Merkel volevano: stabilizzare l’asse Parigi Berlino.

 

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