di Fabrizio Casari

La data in calce è quella del 1° maggio, festa dei lavoratori. E' apposta sul "Decreto supremo 28701 - Eroi del Chaco", che a loro volta sono numero e nome del Decreto presidenziale a firma del Presidente Evo Morales, con il quale la Bolivia torna ad essere proprietaria delle sue ricchezze.
Il decreto presidenziale, infatti, firmato ai piedi del pozzo di San Alberto, nel municipio di Carapaci, regione di Tarija, nazionalizza gli idrocarburi boliviani, ponendo fine al reiterato saccheggio perpetrato dalle multinazionali straniere con la complicità dei governi liberisti succedutisi negli ultimi decenni.
Le forze armate boliviane e la polizia nazionale, in alcuni dei siti accompagnati da manifestazioni spontanee della popolazione, hanno immediatamente occupato i cinquantadue pozzi d'idrocarburi sparsi per il paese, che d'un tratto sono divenuti proprietà dello Stato e saranno sottoposti all'amministrazione della società Giacimenti Petroliferi Boliviani (YPFB), che deciderà prezzi, volume, industrializzazione e commercializzazione degli idrocarburi, cioè petrolio, gas e derivati. Accompagnato del suo intero gabinetto di governo, Evo Morales ha dunque firmato il decreto che riporta le ricchezze naturali della Bolivia nelle legittime mani dei boliviani. Abolite, di conseguenza, le leggi di capitalizzazione degli idrocarburi approvate nei decenni passati dai governi filo statunitensi, grazie alle quali le multinazionali statunitensi, francesi e spagnole, sfruttavano le risorse boliviane lasciando il Paese andino sprofondare nella povertà.

Così come espressamente precisato nel Decreto, le imprese straniere che lavorano in Bolivia hanno ora centottanta giorni di tempo per sottoscrivere i nuovi contratti petroliferi sulla base di una proprietà statale minima dell'82 per cento delle quote. Questo per quanto concerne i prodotti stoccati e commercializzati dal 2005 ad oggi, mentre per il futuro la quota minima della proprietà statale delle quote, non potrà essere inferiore al cinquanta più uno per cento. Una golden share di tutto rispetto che assegna il carattere pubblico delle ricchezze del sottosuolo boliviano.
E' l'esatto rovescio di quanto disponevano le precedenti leggi sugli idrocarburi, che invece assegnavano l'82 per cento delle quote alle multinazionali ed il restante 18 per cento allo Stato boliviano.
Evo Morales ha invitato il personale boliviano impiegato presso i giacimenti gestiti dalle multinazionali, ad appoggiare la decisione del governo, mentre ha avvertito le imprese straniere, convocate d'urgenza, che dovranno adeguarsi alle decisioni governative destinando immediatamente la produzione in corso alla YPFB e avvertendo che, nel caso non obbediscano prontamente, il governo di La Paz userà la forza per rendere effettivo il Decreto presidenziale.

A La Paz come a El Alto, migliaia di lavoratori hanno intonato l'inno nazionale per festeggiare la decisione presidenziale ed il Vice Presidente, Alvaro Garcia Linera, ha invitato alla mobilitazione popolare, affermando che "in questa misura ci giochiamo la vita dei boliviani; dobbiamo difenderla, rifiutando pressioni di qualunque genere da parte di qualunque impresa, governo o traditori. La Patria rinasce - ha aggiunto il Vice Presidente - e con questa decisione onoriamo i nostri morti e difendiamo la sovranità dei boliviani".

Fonti della Camera degli Idrocarburi, riportate dal giornale spagnolo ABC, hanno dichiarato che sono in corso riunioni dei suoi organi direttivi per esaminare il testo del provvedimento ed hanno affermato che "a partire da ora tutto può succedere, la Bolivia sta cominciando a vivere, come il Venezuela".

La società petrolifera Andina, filiale boliviana della multinazionale spagnola a partecipazione argentina Repsol YPF si è detta anch'essa impegnata nell'analizzare e valutare il Decreto presidenziale prima di emettere un giudizio definitivo.

La nazionalizzazione degli idrocarburi era del resto la parola d'ordine della popolazione che era scesa in piazza per costringere alla fuga "El gringo" Gonzalez Sanchez de Losada, l'ex presidente boliviano che aveva appunto firmato la legge che consegnava nelle mani straniere le risorse nazionali. Dopo la privatizzazione degli idrocarburi, i dirigenti della Repsol solevano ripetere che per ogni dollaro investito nel sottosuolo boliviano, ne incassavano dieci. Da domani saranno altre ed a favore di altri le proporzioni tra investimenti e resa. Se le multinazionali, così premiate dai favori di Sanchez de Losada, vorranno adeguarsi, bene; diversamente potranno seguirlo a Miami.
La Bolivia ha smesso di togliersi il cappello davanti agli stranieri.

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