di Michele Paris

In concomitanza con la visita in Pakistan della settimana scorsa del Segretario di Stato americano, Hillary Rodham Clinton, i militanti islamici hanno portato a termine un attentato a Peshawar che ha causato oltre cento morti. Qualche giorno più tardi, sono state almeno una cinquantina le vittime di due esplosioni a Rawalpindi e Lahore. Solo nelle ultime settimane, una drammatica escalation di violenze ha accompagnato l’attacco dei militari pakistani nella regione del Waziristan del Sud, vera e propria roccaforte delle forze ribelli al confine con l’Afghanistan. Un’iniziativa bellica complicata e voluta fortemente da Washington che, nonostante i proclami, difficilmente potrà però cancellare in maniera definitiva la presenza dei talebani e dei seguaci di Al-Qaeda che operano nelle aree tribali del nord-ovest del paese.

In concomitanza con l’avanzata dell’esercito pakistano, la guerriglia talebana ha immediatamente intensificato le proprie operazioni e modificato i destinatari delle offensive. Mentre in precedenza gli attacchi suicidi erano rivolti ad obiettivi occidentali e ad installazioni delle forze di sicurezza pakistane, le loro azioni appaiono ora sempre più indiscriminate e mirate a mietere il maggior numero di vittime nei centri più densamente abitati.

La regione montana semi-autonoma del Waziristan è da tempo il rifugio dell’organizzazione islamica Tehrik-i-Taliban, un’alleanza che raccoglie una decina di gruppi integralisti che si battono per la destabilizzazione del governo centrale pakistano. Il loro leader, Baitullah Mehsud, era stato ucciso il 5 agosto scorso da un’incursione di un drone statunitense e, da allora, la guida del movimento è stata assunta dal 28enne Hakimullah Mehsud, sul quale il governo ha ora messo una taglia di 600 mila dollari.

L’avanzata dei Talebani in Pakistan, a partire dalle zone di frontiera con l’Afghanistan, era giunta nel 2007 fino alla valle dello Swat, a poche centinaia di chilometri dalla capitale, dove il loro controllo, avallato dal governo, aveva portato all’imposizione della legge islamica su una popolazione terrorizzata. La minaccia di puntare su Islamabad aveva finalmente provocato la reazione del governo, fino ad una massiccia controffensiva dell’esercito condotta con successo qualche mese fa. Lo sgombero dei ribelli dal distretto di Swat è avvenuto tuttavia solo in seguito a gravi perdite da entrambe le parti e all’abbandono delle proprie abitazioni di centinaia di migliaia di persone.

Il piano seguito in quest’ultima regione appare ora però difficilmente replicabile in Waziristan, dove i militari avevano peraltro già sofferto gravi perdite in un’offensiva del 2004, risoltasi con una tregua e la cessione di fatto del territorio ai talebani. La strategia dell’esercito potrebbe piuttosto limitarsi al tentativo di eliminare la presenza dei membri di Al-Qaeda ritenuti più pericolosi, in particolare quel migliaio di militanti di nazionalità uzbeka che combattono in Pakistan. Negli ultimi giorni infatti l’avanzata dei militari ha portato alla conquista proprio di due roccaforti dei guerriglieri uzbeki – le città di Kaniguram e Karama, evacuate in fretta e furia.

Questo obiettivo limitato permetterebbe così al governo pakistano di evitare un massiccio impiego di forze nell’area e, allo stesso tempo, di soddisfare almeno temporaneamente le richieste degli Stati Uniti e della NATO per una zona di confine più stabile, così da facilitare le operazioni militari in Afghanistan. Anche solo limitarsi alla cacciata dei militanti uzbeki non sembra tuttavia un compito facile, dal momento che l’avanzata dell’esercito in Waziristan rischia di coinvolgere nel conflitto altri gruppi ribelli attivi nelle regioni limitrofe.

Secondo alcuni analisti pakistani, sarebbero tra i mille e i duemila gli affiliati ad Al-Qaeda del Movimento Islamico dell’Uzbekistan (IMU) nel Waziristan del Sud. Inizialmente attivi in Afghanistan, furono costretti a riparare in Pakistan nel marzo del 2002 in seguito all’Operazione Anaconda, condotta dall’esercito americano e dalla CIA. Negli ultimi mesi i militanti uzbeki sembrano essere stati notevolmente indeboliti dagli attacchi condotti dai droni americani in territorio pakistano, in uno dei quali è stato ucciso il loro leader, Tahir Yuldashev. Alla vigilia dell’offensiva delle forze armate di Islamabad, lo stesso comandante dell’esercito, generale Ashfaq Parvez Kayani, aveva lasciato intendere che le “dinamiche nel Waziristan del Sud potrebbero cambiare se riuscissimo a rimuovere i combattenti uzbeki”, definiti come i più fedeli seguaci dell’ideologia integralista e sanguinaria di Al-Qaeda.

Siano queste o meno le vere intenzioni pakistane, rimangono forti le pressioni degli USA per fare pulizia completa dei militanti islamici nelle aree tribali e riconsegnarle al controllo del governo centrale. Una tale prospettiva, allo stato attuale delle forze in campo, appare però poco più di un miraggio, come ha dimostrato un recente studio pubblicato dal think tank di Washington, New American Foundation, sulle effettive capacità dell’esercito del Pakistan di condurre operazioni di “counterinsurgency”.

Questa analisi realizzata dal ricercatore Sameer Lalwani ha evidenziato come, per conquistare in maniera definitiva le aree tribali del nord-ovest, l’esercito pakistano dovrebbe impiegare dai 370 ai 430 mila uomini. Il numero massimo di soldati che potrebbero essere mobilitati dal confine indiano in tempi ragionevoli è stimato però intorno alle 152 mila unità. Per mettere assieme invece una forza tale da garantire un controllo completo delle operazioni, a Islamabad servirebbero dai due ai cinque anni. Attualmente, nel Waziristan del Sud sono spiegati appena 28 mila soldati che devono fronteggiare circa 12 mila militanti che conoscono alla perfezione la conformazione di un territorio ostile.

La realtà sul campo appare dunque ben diversa dai proclami che si stanno sprecando nelle ultime settimane dalle capitali americana e pakistana. La sempre più profonda influenza di Washington nelle questioni interne del Pakistan promette poi di accrescere il malcontento nel paese e di mettere in crisi ulteriormente un governo già debole e impopolare come quello di Asif Ali Zardari. Come ha dimostrato peraltro anche l’accoglienza estremamente critica riservata settimana scorsa a Hillary Clinton nel corso dei suoi meeting organizzati con studenti e cittadini comuni.

Perché in Pakistan difficilmente può passare inosservata la presenza americana dietro l’offensiva dell’esercito nel Waziristan. Washington infatti sta silenziosamente fornendo armi ed equipaggiamenti militari al governo pakistano per centinaia di milioni di dollari negli ultimi mesi. I voli degli aerei di sorveglianza senza pilota hanno allo stesso modo consegnato importanti informazioni relative agli obiettivi da colpire nelle zone presidiate dai militanti islamici. Nonostante agli americani non sia consentito condurre operazioni di combattimento in territorio pakistano, il numero di paramilitari e soldati delle forze speciali di Washington giunto nel paese con compiti di addestramento si è inoltre moltiplicato.

Se il Segretario di Stato USA ha trovato interlocutori disposti ad ascoltare la lezione di Washington, sia nei membri del governo di Zardari che nel leader dell’opposizione Nawaz Sharif, le relazioni tra i due paesi rimangono complicate. Così come profondamente radicato resta il sentimento anti-americano nel paese, tanto che esponenti politici e militari locali sono difficilmente disponibili a parlare apertamente degli aiuti forniti dal potente alleato nel disperato tentativo di rafforzare il controllo del governo centrale sui molteplici movimenti ribelli che fioriscono entro i propri confini. Un’ingerenza che l’amministrazione Obama vede come inevitabile per stabilizzare la situazione del vicino Afghanistan, ma che rischia seriamente di produrre effetti opposti a quelli desiderati.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy