di Carlo Benedetti

Sulla rotta di Gengis Khan, ma questa volta in senso contrario. La Russia di Putin-Medvedev riparte (dopo la parentesi “sovietica” del Comecon) alla conquista della Mongolia e sempre alla ricerca di risorse tradizionali come oro, carbone e rame. Ma si sa che nel mirino del Cremlino ci sono le grandi riserve di uranio che il governo di Ulaan Baatar nasconde nei suoi armadi del potere. Mosca sta infatti facendo incetta di questo “metallo” d’importanza strategica e attualmente utilizzato, principalmente, per la produzione d’energia nei reattori e nelle armi nucleari. La “fame” di uranio è quindi notevole, pur se i russi ne hanno in abbondanza. Ma quello della Mongolia ora fa gola. Tanto più che lo stesso primo ministro mongolo, Sanjaagiin Bayar, parlando con Putin ha dichiarato che “la Russia e la Mongolia devono accelerare la procedura per realizzare una joint venture per la produzione di uranio”. Musica buona per le orecchie di Putin che così sconfigge tutti i corteggiatori internazionali (alcuni dei quali già attivi in Mongolia) dell’uranio sepolto sotto il territorio mongolo. E il boccone nucleare è molto appetitoso, visto che in Mongolia si troverebbero tra il 4 e il 6% delle riserve mondiali di uranio estraibili a basso prezzo, il 2% di quelle che richiederebbero un impegno finanziario elevato e un settimo del totale globale dell’uranio che non sarebbe estraibile agli attuali prezzi di mercato, ma che potrebbe diventarlo se il prezzo del petrolio ricominciasse a galoppare. Soprattutto perché fra non molto l’uranio comincerà a scarseggiare e le centrali nucleari ne avranno sempre più bisogno.

Le riserve di uranio mongole si trovano in 6 siti più importanti e in almeno altri 100 minori e il governo centrale le stima in circa 62.000 tonnellate, mentre secondo i geologi russi potrebbero essere molte di più: tra le 120.000 e le 150.000 tonnellate. Il che farebbe della Mongolia l’ottavo paese al mondo per riserve di uranio disponibili dopo Kasachstan, Australia, Sudafrica, Usa, Canada, Brasile e Namibia. Russia e Mongolia sembrano, quindi, essere ritornati fratelli dopo la sbandata filoamericana e liberista di Ulaan Baatar, e si apprestano a dare il via ad una joint venture per lo sfruttamento dei giacimenti di uranio mongoli da utilizzare in Russia e in altri Paesi.

Le prospettive e l’esplorazione dell’uranio sono comunque all’inizio. Ci sono accordi in merito per cooperare nella produzione di uranio mongolo e per la costruzione di medi e piccoli impianti nucleari in Mongolia, che utilizzerebbero le riserve di uranio della regione orientale del Paese asiatico. E tutto questo pur se nell’immenso territorio oltre gli Urali si trovano ingenti giacimenti tanto che si parla di riserve pari a 615mila tonnellate.

Nel frattempo, mentre Mosca fa i conti dell’export, gli analisti che svelano i segreti dell’economia russa ci dicono che le forniture strategiche provenienti dalla Russia riguardano paesi come Cina, Giappone e Iran. Pechino, infatti, riceverà uranio per 11 anni a partire dal 2010 grazie alla Techsnabexport, la società statale russa che esporta combustibili e materiali nucleari e la Nuclear Energy Industry Corporation cinese che hanno firmato un accordo lo scorso anno. Non solo, ma la società russa fornirà assistenza tecnica per la terza fase di un impianto per l’arricchimento dell’uranio in Cina.

Quanto al Giappone è noto che Mosca e Tokio hanno appena firmato un documento sull'impiego civile dell'atomo, nell'ambito della visita del premier Vladimir Putin nella capitale del Sol Levante. L'obiettivo di Mosca consiste nel raddoppiare le esportazioni di uranio. E questo tenendo conto che al momento, la Russia presiede il 15% del mercato nipponico, ma intende arrivare almeno al 25% nei prossimi anni. La nuova intesa, che subentra al vecchio accordo scaduto nel 2007, è stata siglata dal capo dell'Agenzia atomica russa (Rosatom) Sergei Kiriyenko e dal ministro degli Esteri giapponese Hirofumi Nakasone.

Il documento spiana la strada a maggiori forniture di combustibile per le centrali atomiche, ma prevede anche la cooperazione nel settore della ricerca, per lo smaltimento delle armi nucleari destinate alla distruzione in Russia e per la costruzione di un impianto di stoccaggio per i reattori dismessi dei sottomarini nucleari. C’è poi l’Iran e qui entrano in campo delicate questioni di geopolitica e di geoeconomia. C’è già stata, infatti, una prima consegna di uranio arricchito prodotto in Russia. La fornitura di combustibile per il reattore, ancora in costruzione a Bushehr, fa parte dell’accordo firmato tra il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e quello russo Putin ed è il modo che ha scelto la Russia per cercare di disinnescare la crisi internazionale scatenata dall’atteggiamento di Stati Uniti e Gran Bretagna, che non credono alle ripetute assicurazioni iraniane circa la natura esclusivamente civile del programma nucleare nazionale.

L’arrivo dell’uranio arricchito russo è anche la manifestazione della spaccatura nel Consiglio di sicurezza dell’Onu tra quei paesi (Usa e Regno Unito, ma anche Francia) che chiedono nuove sanzioni internazionali contro l’Iran e quelli che invece ritengono che la repubblica islamica non stia violando il Trattato di non proliferazione nucleare. Attraverso l’uranio consegnato la Russia è così tornata con decisione a giocare un ruolo in Medio oriente, dopo anni di eclissi.

Ed ecco ora che di fronte a questo sviluppo dell’export di uranio tecnici ed economisti del Cremlino danno il via all’operazione Mongolia. C’è Putin che ha firmato, di recente, vari accordi ad Ulaan Baatar. E il vero obiettivo russo - notano gli osservatori - sembra che sia proprio l’uranio visto anche come affare per attirare il Paese asiatico nella sua sfera di influenza. Il Presidente russo, infatti, nella sua visita del maggio ha siglato accordi per 7 miliardi di dollari, soprattutto per espandere l’insufficiente rete ferroviaria del Paese. Ma in cambio ha ottenuto licenze per lo sfruttamento della miniera di rame e carbone Tavan-Tolgoi e per quella di rame e oro Oyu-Tolgoi.

Ma nel pacchetto c’è anche l’uranio, necessario per i molti nuovi impianti energetici che il Cremlino vuole costruire. Per questo Mosca punta ora alla collaborazione con la Mongolia finanziandola anche per imprese nei settori più vari, come quello agricolo per 300 milioni di dollari. Il tavolo della trattativa, intanto, è sempre aperto, con una Russia che pende decisamente verso l’Asia.

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