di Mario Braconi


Il due aprile, presso l’ExCel Center di Londra si terrà il G-20: almeno nelle intenzioni degli organizzatori, l’evento (dal costo di 19 milioni di sterline) consentirà ai rappresentanti delle venti nazioni che sviluppano complessivamente il 90% del prodotto interno lordo, l’80% del commercio e i due terzi della popolazione globali di accordarsi sulle azioni da intraprendere per “stabilizzare i mercati finanziari, consentire a famiglie ed imprese di attraversare la recessione, riformare ed irrobustire i sistemi della finanza e dell’economia globali per impedire nuove crisi finanziarie ed orientare l’economia globale verso lo sviluppo sostenibile.” Stabilità, Crescita e Lavoro, dunque, saranno al centro delle riflessioni dei Grandi, come del resto recita il claim della conferenza. Se l’implosione di un sistema finanziario intossicato dalla idolatria del debito ed eccitato oltre ogni ragionevolezza dalla furia speculativa non avesse prodotto la più grave recessione della storia, quello di Londra, forse, sarebbe stato l’ennesimo appuntamento a porte chiuse tra potenti, apparentemente lontanissimo dalla vita quotidiana dell’uomo della strada. Ma questo sarà un meeting un po’ speciale: non solo la finanza ha divorato sé stessa, ma la sua infezione ha finito per inceppare anche i meccanismi dell’economia reale, che comincia a reclamare il suo debito di sangue bussando anche alle porte della gente comune. Il taglio sugli affidamenti (credit-crunch) mette in difficoltà famiglie ed imprese, con la conseguente emorragia di posti di lavoro; al danno sembra unirsi la beffa dei miliardi di dollari e di euro dei contribuenti bruciati in interventi governativi diretti al salvataggio delle grandi banche. Benché si tratti forse dell’unica soluzione possibile per evitare una depressione su scala globale del tipo di quella sperimentata negli USA nel 1929, è impossibile non notarne il potenziale distruttivo sul piano politico, sociale e perfino psicologico.

Non è difficile comprendere lo stato d’animo delle persone che, pur non avendo beneficiato dei profitti iperbolici prodotti da una finanza allegramente irresponsabile, a causa di essa si trovano improvvisamente senza casa e senza lavoro: si sentono, e con ottime ragioni, vittime di una forma estrema di ingiustizia sociale ed economica. Con queste premesse, l’abituale appuntamento con il contro-summit no-global e con le sue variegate dimostrazioni di piazza diventa qualcosa di più del solito controcanto agli ingessati incontri dei Grandi. La scommessa è la seguente: sapranno i vari movimenti incanalare la giusta rabbia, oltre che in azioni del tutto pacifiche e ad alto tasso di creatività, in una “piattaforma politica” in grado di influenzare le scelte degli stati più potenti del mondo?

Fa ben sperare la prima marcia di protesta organizzata dal cartello di centocinquanta ONG ed organizzazioni sindacali riunite sotto il nome di “Put People First” (“mettete la gente – o il popolo, se si preferisce… - prima di ogni altra cosa”): 35.000 persone diversissime (membri di associazioni religiose accanto a comunisti vecchio stile con tanto di falce e martello accanto a sostenitori di Oxfam e del WWF) che lo scorso sabato hanno marciato assieme da Victoria Embankment fino a Hyde Park in un’atmosfera allegra, quasi carnevalesca sotto lo slogan comune “jobs, justice and climate” (lavoro, giustizia e cambiamento climatico). Per inciso, nota con amarezza Diane Brace, rappresentante della Lega Internazionale delle Donne per la Pace e per la Libertà, intervistata dal quotidiano britannico The Independent: “Si tratta di una coalizione interessante. Sono presenti tutti i gruppi che si battono per il cambiamento, anche se non ho visto nessuno del Partito Laburista”.

Sabato c’è stato un solo arresto (con l’accusa di ubriachezza molesta): è dunque lecito domandarsi, come hanno fatto diversi commentatori, quanto sia attuale il rischio di rivolte paventato dal governo; a far danni sembra (almeno per il momento) sia stato soprattutto l’“attacco d’ansia” collettivo che ha colpito la Capitale e il governo.

La Met (polizia metropolitana di Londra) è preparata al peggio: per garantire la sicurezza durante il Summit non solo ha richiesto al Governo somme ingenti (7,2 milioni di sterline, più di un terzo del costo complessivo dell’evento), ma ha piazzato 37.000 uomini nelle strade della Città, revocando 10.000 permessi e licenze. E’ con il pretesto della sicurezza che sono state stabilite regole da coprifuoco, particolarmente indigeste in un paese tradizionalmente attento ai diritti civili: gli impiegati delle banche sono stati invitati a lavorare da casa, o, qualora non possano evitare di frequentare la City, a vestire in modo anonimo (niente completi e cravatte) e a non programmare pranzi di lavoro; i residenti di Canning Town, “caldamente invitati” (quando si dice l’understatement…) a portare con sé non uno, bensì due documenti di identità, e a tenersi pronti a fermi e perquisizioni di polizia.

Una portavoce della Met ha confermato che saranno presenti pattuglie armate che, oltre alle manette, agli sfollagente estendibili e ai flaconi di CS (spray urticante) normalmente in dotazione, per l’occasione verranno forniti di “pistole immobilizzanti”, in grado di scaricare sulla vittima una scossa (“non mortale” ma certo non simpatica) di 50.000 volt. Si tratta dei famosi Taser, largamente utilizzati negli USA, dove hanno fatto già qualche morto: nonostante siano catalogati come arma non letale, possono produrre danni gravi e comunque si prestano ad essere impiegati come strumento di tortura (al punto che Amnesty International sta facendo campagna per la loro abolizione sul territorio degli Stati Uniti).

Non vi sono dubbi sul fatto che il Governo britannico si stia preparando a fronteggiare eventuali emergenze di sicurezza in modo fin troppo deciso (anche per scopi propagandistici, le Olimpiadi sono alle porte). Tuttavia, prima di accusare Gordon Brown di reprimere indistintamente ogni forma di dissidenza, è utile parlare anche della esigua benché rumorosa combriccola di “cattivi maestri” che, con i loro proclami irresponsabili, rischiano di sporcare la grande mobilitazione pacifica che si limita a stimolare i governi ad un maggior livello di responsabilità e di impegno a favore della giustizia e della democrazia.

Sono in particolare alcuni anarchici a fornire al governo un eccellente pretesto per conculcare i diritti della stragrande maggioranza dei manifestanti pacifici; in particolare, l’altrimenti sconosciuto antropologo Chris Knight, di fede comunista-rivoluzionaria, professore presso l’Università di East London. Dal suo quartier generale, ovvero dal divano della sua casa da 1.300.000 sterline, in cui campeggia un mega schermo piatto a 48 pollici dal quale si ripromette di veder trasmettere la rivoluzione in diretta “in alta definizione digitale”, l’ex Carneade dell’accademia britannica si è lanciato in proclami violenti quanto mai imbarazzanti: “il mio suggerimento ai banchieri è di tenersi alla larga dalla City la prossima settimana [da venerdì scorso al 2 aprile NdR]. Se pensate di entrare nel quartiere, il mio suggerimento è di non farlo. La gente è furibonda per i vostri bonus e per la maniera in cui avete distrutto le loro vite”. “Sto cercando di fare una dimostrazione spiritosa per consentire alla rabbia di fluire in un modo creativo e sperabilmente produttivo e pacifico; se gli altri non si divertono – e mi riferisco ai banchieri e ai pomposi ministri – e non stanno al gioco mettendo dal parte il loro potere, è chiaro che ci arrabbieremo ancora di più e si metterà male. Speriamo che non accada”.

Knight, che ne ha anche per la polizia (“se vogliono violenza, l’avranno”) è un fiume in piena: l’impressione è che il disastro globale provocato dalle banche sia per lui una benedizione, un evento atteso da decenni – tale è la vis polemica che le sue riflessioni finiscono per abbandonare il mondo reale per trasferirsi in un universo parallelo: “se la nostra rivoluzione avrà successo […] essa contagerà immediatamente il Lussemburgo dove i nostri colleghi anti-globalizzazione di Francia e Germania bloccheranno il Summit Nato previsto per il 4 aprile. La nostra rivoluzione si diffonderà in tutta Europa in modo tale che, a giugno, prevedo che l’intero globo sarà una sola nazione. Non vi saranno più confini.”

Prima di difendere a spada tratta il professore e la sua libertà di espressione (incendiaria), sarà utile osservare che tra i volantini preparati da G-20 Meltdown (il gruppo cui è associato, e che lo ha successivamente scaricato) ve ne sono alcuni in cui sono raffigurati manichini vestiti in completo e cravatta impiccati ai lampioni – non proprio un approccio ragionevole e dialogante. Ma soprattutto è utile riflettere sul danno che un singolo irresponsabile come Knight sta producendo alle migliaia di persone per bene che hanno protestato e continueranno ad far sentire la propria voce contro l’ingiustizia in modo deciso ma non violento.

Fortunatamente, non solo la sua stessa università lo ha scaricato, ma perfino i suoi compagni del Meltdown hanno preso le distanze da Knight e dalla sua pericolosa retorica: “per il primo di aprile stiamo organizzando un carnevale di strada davanti alla Banca di Inghilterra, chiedendo alle persone di venire mascherate e di portare del cibo da consumare assieme. I commenti di persone isolate [tra cui quelli di Knight] travisano quello che stiamo organizzando qui”. Non a caso, tra i manifestanti di sabato si è visto un gruppetto con dei cartelli che prendevano in giro il sessantaseienne professore: il suo slogan “Eat the bankers” (mangiatevi i banchieri) è stato rielaborato in “Eat Knight” (mangiatevi Knight).

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