di Bianca Cerri

Trentotto anni fa, il 4 aprile del 1968, un balordo di provincia in cerca di gloria uccideva Martin Luther King, premio Nobel per la pace, il cui nome sarebbe passato alla storia come leader della lotta per i diritti civili degli afro americani. Sono tuttavia pochissimi i giornali americani che hanno ricordato la figura di King ed il suo impegno per l'abolizione delle leggi razziali ancora in vigore alla fine degli anni '50. Un impegno testimoniato dalle lettere scritte da una prigione di Birmingham, in Alabama, che costituiscono tuttora una denuncia appassionata della sua crociata per la giustizia. Martin Luther King è riconosciuto all'unanimità come l'apostolo della resistenza non violenta, il suo famoso discorso dell'agosto 1963 è conosciuto in tutto il mondo per via della fatidica frase I have a dream. Il mito vuole che il suo ideale fosse l'uguaglianza per tutti gli uomini, come testimoniano anche le omelie che infiammarono le folle; anche se, a ben guardare, mancarono spesso di elementi concreti. L'opposizione di King alla guerra in Vietnam fu indubbiamente sincera, ma forse egli stesso non si rese conto di ricalcare spesso gli stereotipi di quell'America bianca e razzista che affermava di voler combattere. Per Edgard Hoover, direttore dell'F.B.I., il leader nero era invece un pericoloso comunista che volentieri avrebbe visto morto. L'avanzare del comunismo era una fobia patologica per Hoover e, quando King si prestò ad organizzare uno sciopero dei lavoratori neri, l'odio nei suoi confronti aumentò a dismisura.

In realtà, l'errore di Martin Luther King fu proprio quello di non aver saputo interpretare il bisogno di razionalità della classe operaia afro americana, perché incapace di uscire dalla mentalità del Tom Boy, che rispecchiava la condizione dei neri nell'America rurale e di comprendere le forme di oppressione molto più articolate della ghettizzazione urbana. I suoi discorsi, che nel Sud avevano un potere ipnotico sulla gente, non ebbero la stessa presa sugli afro americani dei ghetti, che guardavano già a Malcom X come unico e vero leader capace di portarli fuori dalla miseria. Ovviamente questo non diminuì in alcun modo la sua leadership, ma molti ebbero l'impressione che King sarebbe stato disposto a trattare con i bianchi in qualunque momento e non vollero seguirlo su una strada che rischiava, a loro avviso, di rallentare l'emancipazione della gente di colore.

Verso la fine del 1967, lo stato di miseria in cui versavano molte comunità nere portò King ad un improvviso scatto di ribellione e la sua lotta riacquistò vigore. E' quello l'anno in cui prende posizione contro la guerra in Vietnam, anche se non con la stessa determinazione con cui Malcom X aveva espresso anni prima la sua condanna. Tuttavia, quei richiami alla pace irritarono il presidente Johnson che vedeva compromessa la sua popolarità. Nel 1968, il conflitto s'inasprì ulteriormente e King continuò a continuò a tenere discorsi senza lesinare attacchi al militarismo.

Il 4 aprile del 1968, il leader nero si trovava ad Atlanta, in Georgia, ed era appena tornato in albergo dopo un comizio. In quello stesso momento, un uomo assoldato da un buffo ometto in un bar di infimo ordine e irretito dalla prospettiva di un guadagno colossale, inizia a farsi largo tra la folla alla ricerca di una postazione che gli permetta di vedere bene King quando si affaccerà dal balcone per salutare la gente. Si chiama James Earl Ray e non ha mai avuto un mestiere preciso, ma in quel momento ha in tasca circa 750 dollari, avuti dallo strano ometto straordinariamente somigliante al direttore dell'F.B.I. Se tutto andrà bene, a Ray verranno versati altri 50.000 dollari, un paradiso per un uomo fino a pochi mesi prima costretto a dormire all'addiaccio.

Facendosi largo tra la folla senza alcuna difficoltà, James Earl Ray riuscì ad individuare l'angolazione giusta per fare fuoco contro Martin Luther King che, colpito alla gola dai colpi esplosi dal sicario, morì quasi all'istante. Dopo la sua morte, i bianchi ne strumentalizzeranno la figura sfruttandola ai propri fini. I giornalisti, che un tempo avevano trattato King con sufficienza, accusandolo di essere un irresponsabile, lo elessero a profeta del nuovo mondo.

L'immagine di Martin Luther King arrivata alle nuove generazioni è stata creata dai bianchi secondo i loro canoni accattivanti, ma ha ben poco a che vedere con il leader della lotta per i diritti civili dei neri. Se è vero che le sue posizioni fossero moderate, è anche vero che non praticò sconti alla condanna della povertà. Prima della tardiva santificazione, all'icona della pace sono stati recisi i nervi, nell'ennesimo tentativo di far credere che in qualche misura il sogno di King si sia trasformato in realtà. Ma se il leader nero avesse oggi la possibilità di parlare dell'attuale realtà dei giovani afro americani, coinvolti loro malgrado nella lotta alla droga o sfruttati da Mc Donald per un salario minimo, le sue idee verrebbero osteggiate con la stessa determinazione con cui vennero contrastate un tempo.

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