di Mario Braconi

Sembra che la Gran Bretagna sia attraversata da un’ondata di revanche puritana. Il 27 dicembre dello scorso anno, Andrew Murray Burnham, Ministro britannico di Cultura, Media e Sport, ha rilasciato una sorprendente intervista al quotidiano conservatore Daily Telegraph, nella quale si è apertamente pronunciato a favore della censura di stato su Internet. Pochi giorni dopo, il pornografo inglese Ben Westwood (figlio della stilista punk e attivista politica Vivienne) assieme ai suoi compagni della CAAN (Rete di Azione fra Adulti Consenzienti, un network di adepti del sado-maso) ha inscenato di fronte al Parlamento inglese una variopinta protesta contro la Section 63 del Criminal Justice and Immigration Act 2008, che a partire dal 26 gennaio 2009, renderà il semplice possesso di immagini “offensive” un reato punibile con pene fino a tre anni di reclusione. Secondo Burnham, che spera di reclutare Barak Obama nella sua ridicola quanto inattuabile crociata anti-pornografica, al web dovrebbero essere applicati “standard (statali n.d.r) di decenza”. Nell’intervista al Telegraph, il Ministro ha dichiarato, senza ombra d’imbarazzo, che è giunto il momento per il Governo di cominciare a controllare sistematicamente Internet, al fine di tutelare un non meglio precisato interesse superiore pubblico: “Se facciamo un passo indietro e pensiamo alle persone che hanno dato vita alla Rete delle Reti, ci rendiamo conto che essi cercavano esplicitamente uno spazio dove il Governo non potesse arrivare. Io credo che sia ora di rivisitare seriamente questa roba, ora".

"Questa considerazione - ha concluso - vale in tutti gli ambiti: contenuti dannosi, rispetto del diritto d’autore e diffamazione. Certi contenuti semplicemente non dovrebbe essere disponibili per essere visionati. Questo è ciò che penso. Sono categorico. Non è una campagna contro la libertà di espressione, la mia; il fatto è che c’è un interesse pubblico più ampio a rischio, in quanto implica danni ad altre persone. Dobbiamo diventare più bravi a definire l’interesse pubblico e dichiararlo con chiarezza”.

Burnham, convinto della intrinseca pericolosità del Web, ipotizza di imporre ai provider internet (I.S.P.) britannici (BT, Tiscali, AOL o Sky) l’obbligo di fornire servizi di connettività specificamente orientati ai bambini. Altra idea del ministro è quella di imporre ad ogni sito l’obbligo di redigere e pubblicare sulla propria home page un “rating” che indichi a quale età è adatto il suo contenuto (un po’ come si fa con i film, anche se in questo caso si tratterebbe, forse, di una auto-valutazione). A parte la non irrilevante questione che tali misure sarebbero inattuabili nel cyberspazio, che cosa succederebbe se un gestore di sito decidesse di non adeguarsi a questa misura, per fortuna al momento confinata nella scatola cranica del Ministro? Pensa forse il Governo inglese di oscurare i siti disobbedienti, portando gli standard della Gran Bretagna, patria del pensiero liberale, a quelli della dittatura cinese?

Burnham rovescia una regola suggerita dal buon senso: non è più compito delle famiglie vigilare su quello che i propri figli vedono sullo schermo del computer (tra l’altro sono reperibili sul mercato appositi software di filtraggio dei contenuti non adatti ai più piccoli); spetterebbe invece allo stato inibire direttamente - a tutti - determinati contenuti. A questo punto che, stante la pericolosità dei motorini, c’è da aspettarsi che presto il Ministro inglese bandisca gli scooter dalle strade del Regno.

La Section 63 del Criminal Justice and Immigration Act 2008, invece, rappresenta la vittoria di Liz Longhurst, la cui figlia Jane, un’insegnante di Brighton, nel 2004 è stata strangolata dal suo partner Graham Coutts nel corso di un gioco erotico estremo. Poiché Coutts ha ammesso che, al momento dell’orribile delitto di cui si è macchiato, aveva maturato una patologica dipendenza pluriennale da pornografia violenta, la signora Longhurst (che ha anche raccolto 50.000 in un’apposita petizione) ha fatto lobby sui vari governi britannici per ottenere una qualche misura di censura sui siti di pornografia violenta.

Ed effettivamente la nuova legge punisce con la reclusione fino a tre anni chi detiene materiale pornografico classificabile come “estremamente offensivo, disgustoso, od osceno in qualsiasi altro senso”. Vanno considerate in questo modo - oltre, ovviamente, alle immagini di necrofilia e bestialità, pratiche che anche prima della Section 63 costituivano ovviamente reati gravi - anche quelle che rappresentano in qualsiasi modo attività in grado di minacciare la vita o l’integrità fisica di persone.

La legge rappresenta una risposta emotiva e alla tragica morte di Jane Longhurst e, come tale, risente di un clima emergenziale e di una strutturazione eccessivamente indeterminata: prima di tutto, considera punibili alla stessa stregua gli atti osceni consensuali e quelli non consensuali. Claire Lewis, attivista paraplegica del network Consenting Adult Action Network (CAAN), intervistata dal The Independent davanti al Parlamento inglese, la mette così: “Siamo completamente d’accordo sul fatto che immagini di sesso non consensuale che implichi violenza debbano essere criminalizzate, ma la formulazione della nuova legge è talmente generica che essa rischia di trasformare in delinquenti un mucchio di persone normali (che magari nei week end si dilettano di giochini sado-maso consensuali e non cruenti ndr).

Il Governo sembra convinto che se persone come noi guardano troppe immagini di un certo tipo finiscano per diventare stupratori o assassini. Questo ci offende”.
In ogni caso, la legge segna un cambiamento radicale nella politica inglese, che passa dal perseguire un certo comportamento al punire chi lo guarda. Inoltre apre una falla importante nella privacy degli individui, i cui computer potranno essere scandagliati dalla polizia con una certa tranquillità.

Un altro problema riguarda l’implementazione della legge: a stabilire se determinate immagini rientrino o meno nella categoria sanzionabile dovrà essere, in ultima analisi, un giudice, rendendo le sanzioni ancora più arbitrarie. Tanto per capire che tipo di problemi comporti la nuova legge, CAAN ha sottoposto un dossier di immagini a tre delle principali forze di polizia britanniche: nessuna delle tre, pare, è riuscita a decidere quali di quelle immagini sarebbero da considerarsi illegali alla luce dei nuovi provvedimenti.

In un editoriale che commenta quella che viene definita una legge “intrusiva e superflua”, il quotidiano The Independent si sforza di aiutare i suoi lettori progressisti a comprendere per quale ragione il governo stia diventando tanto bacchettone. Innanzitutto c’è un malinteso senso della disciplina di partito: i politici del New Labour sembrano fare a gara per garantire un allineamento acritico alle posizioni del partito che, in modo alquanto paradossale, ha recentemente abbracciato una visione neo-puritana: “Nessun uomo politico brucia dal desiderio di diventare il portavoce dei freak sessuali. Una reputazione di tolleranza per il bondage non è esattamente il passaporto vincente per la carriera di un giovane ministro e, se è per questo, neanche per un signor nessuno che cerchi disperatamente di mollare la panchina dove il partito lo ha relegato. Peccato che in questo modo se ne vada un altro pezzetto delle nostre libertà civili, mentre aumentano le possibilità di sorveglianza poliziesca sulle nostre vite”.

Inoltre, sembra che le nuove leve del partito abbiano una gran voglia di calpestare la sparuta minoranza di liberal che resiste ancora all’interno del New Labour: i suoi membri si rifanno infatti ad una visione dei diritti civili molto “anni Sessanta”, oggi probabilmente considerata fuori moda, troppo radicale. Una strategia probabilmente destinata al successo, a meno che l’ossessione del Governo a regolamentare ogni aspetto della vita della persone non finisca per produrre un effetto boomerang: non resta che sperare nella reazione di quanti (liberali, progressisti e perfino conservatori) non sopportano un governo che ficchi il naso nelle vita sessuale dei cittadini.

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