di Eugenio Roscini Vitali

Beirut è di nuovo divorata dalla guerra e questa volta la resa dei conti potrebbe essere definitiva. Lo scontro, ormai aperto, vede di fronte i partigiani Hezbollah di Hasan Nasrallah, sostenuti da Siria e Iran, e i gruppi fedeli al governo del premier Fouad Siniora, appoggiati da Washington e, più velatamente, da Israele. Il bilancio degli scontri è ancora provvisorio ma, come negli anni della guerra civile, la capitale libanese è di nuovo divisa e i quartieri e le strade della zona occidentale sono tornati ad essere teatro di violenti combattimenti: raffiche di mitra, esplosioni, vetrine in frantumi, corpi che giacciono a terra, sangue e paura, tutto come vent’anni fa. Il Paese, che da più di cinque masi è senza Capo dello Stato, sta entrando in una spirale di violenza senza ritorno, un meccanismo innescato da pressioni esterne che hanno esacerbato posizioni politiche, già drammaticamente contrapposte, e che certamente determinerà collasso istituzionale pressoché totale. Sul campo la situazione è drammatica: Nasrallah, che rifiuta qualsiasi ipotesi di compromesso avanzata dalla maggioranza, parla apertamente di guerra civile; il muro di cinta della residenza del leader della maggioranza, Saad Hariri, sarebbe stato colpito da un razzo; il porto chiuso alla navigazione; molte emittenti radiofoniche e televisive sono già state ridotte al silenzio, così come alcune testate giornalistiche sono state costrette a sospendere la pubblicazione dei quotidiani; le milizie Hezbollah controllano quasi tutti i quartieri sunniti di Beirut e dalle ultime notizie sembra che ai filo-governativi non rimanga che negoziare; violenti scontri si stanno verificando nella zona meridionale della capitale (Mazara) e la strada che porta all'aeroporto internazionale Rafic Hariri è stata bloccata. Tutto questo mentre l’esercito, mantenendo la tradizionale equidistanza, rischia di dissolversi lacerato al suo interno da divisioni interne che si rifanno a questa o quella corrente e le Nazioni Unite, presenti in Libano con la missione Unifil, continuano il perenne ruolo di spettatore impotente.

Quella del Libano era una sorte già segnata: lo aveva preannunciato l’ex presidente Emile Lahoud, che il 28 settembre scorso aveva chiesto alla comunità internazionale di adoperarsi affinché il confronto parlamentare, che avrebbe dovuto portare all’elezione del nuovo Capo dello Stato, non subisse ulteriori pressioni. Un chiaro monito a quei membri del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, compresi gli Stati Uniti, che con il loro atteggiamento hanno contribuito ad esasperare una situazione già difficile. Nelle scorse settimane Beirut era rimasta paralizzata da una serie di scioperi e il movimento sciita, sostenuto da Amal, aveva eretto barricate e chiuso le principali strade che portano al più importante quartiere commerciale della capitale.

Ufficialmente alla base delle agitazioni gli sciiti avevano posto una serie di rivendicazioni salariali ma in realtà le proteste erano indirizzate contro il governo, il quale sostiene da tempo che Hezbollah sta violando la sovranità del Libano attraverso l'installazione una propria reti di comunicazione e di telecamere-spia con le quali controllerebbe l’aeroporto internazionale Rafic Hariri. Al contrario, gli sciiti accusano Seniora di voler consegnare le strutture dello scalo aeroportuale agli Stati Uniti per poi sfruttarle come base dei servizi segreti americani. Ipotesi entrambe valide se si considera che nella guerra del 2006 il successo Hezbollah, e il conseguente fallimento israeliano, é stato soprattutto ottenuto grazie al massiccio impiego di sofisticati sistemi intelligence e di Comando e controllo forniti dall’Iran al movimento sciita, installati a Beirut (nei sotterranei dell’ambasciata iraniana) e lungo il confine meridionale con Israele. Inoltre, l’aeroporto Rafic Hariri riveste un ruolo strategico per Hezbollah in quanto rimane l’unico punto di collegamento con Teheran. Da quando la Siria è stata teatro della morte del capo operativo degli sciiti libanesi, Imad Mughniyah, assassinato nel febbraio scorso a Damasco, Iran ed Hezbollah preferiscono dialogare senza intermediari.

L’attuale situazione di crisi è solo parte di una escalation di violenza che si sta protraendo da diverso tempo e una tregua non influirebbe in modo determinante su un quadro globale che rimarrebbe comunque caratterizzato da una permanente instabilità. Il conflitto interno sta infatti crescendo più rapidamente che in passato e non è improbabile che in un prossimo futuro si possa assistere ad una totale spaccatura del Paese, la stessa che del 1988 al 1990 portò alla creazione di due governi separati e alla spartizione del Libano. Quella volta c’era la Siria ad attenuare le tensioni; oggi potrebbero essere le dimissione di Fouad Siniora a porre fine all’uso delle armi o scatenare definitivamente l’inferno. Fuorigioco Jumblatt, che nono gode di un ampio sostegno, il sacrificio di Siniora lascerebbe spazio ad Hariri, acerrimo nemico di Nasrallah. A quel punto si vedrebbe l’effettivo arsenale in campo e il ruolo dei Paesi coinvolti nelle vicende mediorientali.

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