di Giuseppe Zaccagni

Il vertice del 29-30 marzo nella capitale siriana è il 20esimo per il mondo arabo ed ha come tema centrale l’analisi geopolitica dell’intera regione, con la questione israeliano-palestinese che domina a tutto campo (gli avvenimenti a Gaza e nei Territori, i seguiti di Annapolis e la questione libanese) proprio per il fatto che il presidente di Damasco, Assad, spera di rilanciare il suo ruolo nell’area e vedere così confermata la linea decisa di comune accordo con gli alleati arabi lo scorso anno a Riyadh. E precisamente una normalizzazione dei rapporti con Israele, ma solo a patto che lo stato ebraico si ritiri da tutti i territori arabi e palestinesi, incluse le alture del Golan, occupate durante la Guerra dei sei giorni del 1967. La situazione generale, intanto, si caratterizza per le molte incognite che si delineano in queste ore di vigilia. Tanto che gli oltre 900 giornalisti arabi, che sono pronti a seguire i lavori del summit, s’interrogano sul senso dell’incontro fornendo valutazioni ed analisi che evidenziano contrasti di ogni genere. Perché le carte del “gioco” sono sempre più mischiate. E così comincia la partita delle previsioni con un elenco di possibili presenze od assenze. Operazione quanto mai ardua, perché dare un senso a questa congrie di eventi nebulosi è quasi impossibile. Ad esempio ci si chiede se a Damasco ci saranno le delegazioni di Arabia Saudita ed Egitto. "Probabilmente si, ma potrebbero essere di livello basso. Riad e il Cairo non hanno ancora ufficializzato la presenza all'incontro di re Abdallah e del presidente Mubarak", avverte Basem Awlat, giornalista e analista politico, che aggiunge: "La mancata partecipazione dei due leader avrebbe un effetto immediato sul summit, decretandone di fatto il fallimento". Ed è questa una eventualità che inquieta i dirigenti siriani i quali potrebbero così pagare un elevato prezzo politico e diplomatico per l'interferenza mostrata nelle vicende interne libanesi.

La Siria è infatti accusata da Arabia Saudita ed Egitto - che sostengono la maggioranza che fa capo al governo libanese di Fuad Siniora - di appoggiare le forze dell’opposizione. Chiaro, di conseguenza, che un eventuale fallimento del vertice si rivelerebbe un duro colpo per gli obiettivi del regime di Assad, che dalla riunione dei vari paesi arabi si aspetta un irrigidimento di posizioni nei confronti di Israele sulla questione dei territori palestinesi e siriani sotto occupazione dal 1967.

Altro punto d’incertezza per il summit riguarda la partecipazione o meno del Presidente iraniano Ahmadinejad, ma l’eventuale assenza del leader di Teheran sarebbe stata già prevista, dal momento che i siriani avrebbero deciso di non invitarlo ritenendo che l'incontro debba trattare soltanto questioni arabe “di lunga data”. Comunque sia si tratterebbe pur sempre di una decisione contraddittoria rispetto a ciò che era stato detto nei giorni precedenti, quando era stata diffusa la notizia che Damasco aveva intenzione d'invitare anche i presidenti di Iran, Turchia, Indonesia e Malesia: paesi questi musulmani, ma non arabi. C’è poi da notare che la contraddizione riguarderebbe la stessa Siria che è il più stretto alleato dell'Iran, il cui presidente ha di recente assistito, come ospite, in Qatar al vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc), nonostante il sostegno iraniano alle milizie armate sciite in Iraq e Libano.

Altre ombre sul summit sono poi quelle relative al fatto che esiste pur sempre uno strato di ruggine che rende complessi e difficili i rapporti tra Riyadh e Damasco, da quando i sauditi reagirono pesantemente allo scoppio della guerra tra Israele e Libano, criticando in modo inequivocabile il movimento degli hezbollah per l’apertura del conflitto. E di seguito le crisi politiche di Bagdad, lo sfaldamento della coalizione di governo, il braccio di ferro tra la presidenza di Emile Lahoud e l’esecutivo di Fuad Siniora sono state altre tappe nel difficile capitolo delle relazioni tra Arabia Saudita e Siria. C’è anche, nell’intero contenzioso della regione, il fatto che il perdurare della crisi politica in Libano, (con tutte le difficoltà della nuova presidenza) crea scompiglio nelle cancellerie del Medio Oriente e minaccia di trasformarsi in un boomerang pericoloso per la Siria. Capace ora di mettere a rischio estinzione lo stesso summit.

E mentre le previsioni si alternano, ecco che sulla via di Damasco si nota sempre più la presenza del problema nodale del Medio Oriente. Ci sono gli israeliani che avanzano ancora ed è un brutto segno. Estendono i loro insediamenti a Gerusalemme est, nel quartiere di Ras Al Amud, appoggiati da una forte campagna di stampa sollecitata dalla dirigenza di Tel Aviv. L’autorevole quotidiano Haaretz con una indagine approfondita spiega che gli attivisti dell’estrema destra danno grande importanza agli ampiamenti delle costruzioni. Tutto questo dopo che alla conferenza di Annapolis erano stati fissati alcuni obiettivi operativi, tesi a raggiungere una “pace definitiva” tra israeliani e palestinesi entro quest’anno. Ma le mosse attuali della parte israeliana vanno decisamente contro le decisioni prese dal vertice. Le destre puntano ora ad ostacolare la realizzazione di un corridoio fra la Cisgiordania e la Spianata delle Moschee nella Citta Vecchia, elemento ritenuto fondamentale dall’Autorita palestinese per la nascita di un futuro Stato palestinese autonomo e territorialmente continuo.

In passato si era già parlato della creazione di un simile corridoio, a partire dalla strada di Gerico verso la Porta dei Leoni e la Spianata delle Moschee. Ed ora risulta sempre più che la questione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania rappresenta il principale ostacolo nelle trattative per il rilancio delle intese raggiunte ad Annapolis lo scorso novembre. La Road Map del Quartetto (Onu, Ue, Usa e Russia) sancisce, infatti, il congelamento degli insediamenti esistenti prima del 2000 e lo sgombero di quelli costruiti successivamente. Ma a fronte dei ripetuti annunci di nuovi progetti edilizi da parte di Israele, l’Autorita palestinese ha più volte chiesto a Tel Aviv di fermare ogni attività di costruzione, rivendicando Gerusalemme est come capitale di un futuro Stato palestinese. In pratica, però, non si registrano passi positivi, perché dopo la conferenza dello scorso novembre ad Annapolis, risulta che quel processo di pace che sembrava avviato sulla giusta strada sta andando verso il crollo e non si vede alcun progresso nel dialogo tra le parti.

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