di Mazzetta

Gli ultimi incontri del WTO (World Trade Organization) hanno messo a nudo l’ipocrisia dell’Occidente, il quale si rifiuta di prendere le misure “globalizzanti” che per anni ha imposto al resto del mondo. Per anni la globalizzazione dei mercanti è avanzata macellando tutto quello che trovava sulla sua strada, ma negli ultimi tempi sembra entrata davvero in crisi. Succede che USA e UE, arrivate al dunque, non hanno la minima intenzione di aprire i loro mercati, così come non hanno la minima intenzione di eliminare i sussidi alla loro agricoltura o di mollare la presa sui diritti intellettuali e sugli altri capitoli che potrebbero rappresentare un loro impoverimento. Dopo due decenni durante i quali gli apostoli della globalizzazione hanno devastato Asia, Africa e Sudamerica, costringendo i loro governi ad aprire alle merci e agli investimenti internazionali, nonché a una sistematica e criminale privatizzazione dei servizi pubblici, il ricco Occidente getta la maschera e comunica che la globalizzazione vale per i deboli e non per i forti. Dopo che i paesi emergenti (tra questi India, Cina e Brasile) hanno reclamato i loro diritti, si è giunti alla paralisi del WTO, che però è tale solo per i paesi più deboli, in quanto USA e UE già hanno dimostrato di poter aggirare questo blocco ricorrendo ad accordi bilaterali nei quali fanno la parte del contraente forte, lasciando i contraenti deboli ancora una volta nella parte peggiore. Si capirà infatti che se gli Stati Uniti hanno scarse difficoltà ad imporre la loro volontà ai paesi piccoli e poveri, come la Costa d’Avorio, legata alla monocultura del cacao per eredità coloniale, è però praticamente impossibile costringere colossi come USA ed UE ad aprire i loro mercati ai propri prodotti agricoli.

La crisi investe tutte le istituzioni internazionali che avevano fatto la parte del leone negli ultimi anni. L’aumento del prezzo delle materie prime ha svincolato molti paesi dalle fallimentari pretese del Fondo Monetario Internazionale o della Banca Mondiale. Il FMI è ormai sparito dalla scena internazionale sotto il peso dei suoi fallimenti, mentre la Banca Mondiale, guidata dal falco Wolfowitz, è ormai l’ombra del potere di un tempo ed è diventata il canale di finanziamento di alcune delle peggiori dittature del pianeta, quali quelle del Pakistan, del Ciad e della Birmania. L’aumento dei prezzi delle materie prime ha liberato i paesi dalle ingerenza dell’FMI, ma ha anche fortificato le molte autocrazie che fino a ieri facevano soffrire i loro popoli su indicazione dell’FMI e oggi, con i forzieri pieni, fanno quello che vogliono comunque a spese dei loro cittadini. Globalizzazione o no, la grande finanza ed i dittatori trovano sempre il modo di accordarsi a spese degli ultimi.

Le magnifiche sorti progressive di questa ennesima trovata delle elite internazionali comincia a rinculare sotto il peso delle sue stesse contraddizioni senza che i numerosi movimenti che hanno cercato di contrastarla abbiano avuto un impatto decisivo. Quello che sta facendo fallire la globalizzazione mercantile, è più prosaicamente il raggiungimento degli obbiettivi positivi per le economie occidentali e l’affacciarsi del momento nel quale, anche per l’Occidente, si materializza il dovere di dare dopo aver preso a lungo.

Questo non è il tramonto che segue il fallimento delle politiche unilaterali dell’Amministrazione Bush, ma quello scontato di un progetto in due tempi (il primo dei quali ha beneficiato le grandi corporation occidentali) che ora è giunto al ferale momento nel quale dovrebbero cominciare a manifestarsi i (pur contenuti) vantaggi per i paesi che fino ad oggi la globalizzazione l’hanno subita. Giunti a questo momento gli araldi della globalizzazione sono spariti con il bottino. Le recenti elezioni americane lo testimoniano: cavallo di battaglia dei democratici che hanno stravinto la corsa di mid-term al Senato è stato il “populismo economico”; non esattamente una novità, ma la politica delle elite è priva di fantasia e non può permettersi di buttare via niente.

Anche negli Stati Uniti la retorica contro la globalizzazione pervade il “mainstream”; persino alla CNN martellano contro gli “avidi” globalizzatori che impoveriscono gli innocenti americani, mentre ormai da tempo anche in Europa quelle stesse forze politiche che inneggiavano alla grande ideologia di fine millennio, chiedono a gran voce l’introduzione di misure protezionistiche a tutela dei loro mercati. Giunti al dunque i grandi leader dell’Occidente non possono pagare il prezzo politico di una ulteriore compressione del tenore di vita dei loro amministrati: o meglio, fino a che questo avveniva a beneficio delle grandi concentrazioni di capitali occidentali se lo potevano permettere, ora che il mutare delle regole aprirebbe veramente i mercati conducendo ad una perdita di controllo sull’economia globale a loro svantaggio, eccoli pronti a cambiare mettere i piedi nel piatto nascondendosi dietro le superiori necessità politiche.

Fin dai tempi dell’impero britannico, il mercantilismo occidentale è prima di tutto, un formidabile sistema di controllo sull’economia globale che prevede che tutti i traffici e gli affari giungano e partano dai grandi nodi controllati dal corporativismo finanziario occidentale. Fu così per la Borsa di Londra, poi per quella di New York e per la Borsa Merci di Chicago. Controllando questi nodi l’Occidente (o meglio, la grande finanza occidentale) si è assicurato una rendita di posizione ed un potere simili a quella di chi tiene il banco al casinò, solo degli sprovveduti potevano veramente pensare che, in nome di una ideologia fumosa, l’Occidente potesse davvero mollare questo granitico sistema di potere mettendosi a giocare ad armi pari con il resto del mondo.

La globalizzazione si svela oggi per quello che è sempre stata: una truffa dei più forti ai danni dei più deboli. Una truffa che ha arricchito i pochi ai danni di molti e contribuito a demolire in tutto il mondo i poteri pubblici in favore di quelli economici e finanziari. Una truffa che ha retrocesso l’orologio della storia ai tempi dei padroni delle ferriere, facendo strage dei diritti civili ed umani, dei diritti dei lavoratori e dei cittadini, ma anche della sovranità dei popoli riducendo molti paesi all’impotenza di fronte alle corporation e, di conseguenza, alla miseria. Ora che è giunto il momento di pagare il conto, i grandi globalizzatori se la filano; all’inglese, of corse.

Un esito ampiamente scontato e previsto; non erano pochi quelli che traducevano l’enfasi sul libero mercato con la frase “libera volpe in libero pollaio” o che denunciavano il pericolo di lasciare il destino dell’umanità nelle mani taumaturgiche di un “mercato” che si diceva avrebbe risolto tutti i problemi come per incanto. Chi non ha creduto agli stregoni e agli illusionisti trova ora la scontata conferma del proprio scetticismo, ma non riesce a trovarvi alcuna soddisfazione, visto che si tratta anche della conferma che il potere del sistema mercantile si conferma capace di trascendere la ragione e di forgiare le opinioni pubbliche in utili strumenti per le proprie rapine, scaricandone le conseguenze sulle collettività.



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