di mazzetta

Continua senza senso apparente l'occupazione etiope della Somalia su mandato americano. La situazione nel paese è pessima: più di un anno di occupazione etiope ha cementato i somali contro l'invasore, mentre il governo fantoccio imposto da Washington è andato in pezzi e fatica persino a dare segni d'esistenza, non parliamo di operatività. Sparito nell'oblio l'ex premier Ghedi, con il presidente Yusuf travolto dalla malattia e dai problemi nel suo feudo locale, la Somalia è priva di un governo in grado di allacciare un dialogo con la società somala, ormai compattamente ostile all'Etiopia e agli Stati Uniti. Etiopia che ormai esercita la sua sovranità sul paese esclusivamente per mezzo della repressione militare, violando qualche decina di articoli che regolano le responsabilità degli occupanti verso le popolazioni dei territori occupati, ma nemmeno questo suona come una novità. L'occupazione scorre cruenta e inconcludente, ora le forze somale conquistano una cittadina, ora arriva un contingente etiope a cercare di cacciare i “terroristi”. Mogadiscio è stata raccontata come un mattatoio, un mattatoio nel quale lavora un macellaio etiope diretto da Washington e dal quale sono fuggiti migliaia di somali, che il “governo” non ha tardato a trattare da affiliati ai “terroristi” impedendo alle agenzie umanitarie i soccorsi, spesso attraverso il furto delle derrate alimentari. A governare Mogadisco c'è ora un sindaco dalla dubbia reputazione e la città è inabitabile, teatro di combattimenti violentissimi e di bombardamenti pesanti da parte dell'esercito etiope per rappresaglia.

Fuori controllo sembra anche la regione del Puntland, dove il governo locale deve affrontare la ribellione di diversi gruppi al contratto di concessione petrolifera concessa all'australiana Range Resources Ltd. Il governo del Puntland manca della legittimazione costituzionale necessaria a costituire concessioni sul territorio somalo, ma alla Range Resources non sembrano preoccupati del dettaglio, nemmeno dopo che i membri del clan Warsangeli hanno attaccato i geologi nel villaggio di Majihaan. Le ultime concessioni legalmente valide in Somalia se le assicurò l'americana Conoco, che da allora le difende mantenendo un vero e proprio contingente autonomo barricato a Mogadiscio.

Gli americani intanto hanno portato a termine il quarto bombardamento di città somale dall'inizio dell'invasione etiope. Anche questa volta l'obbiettivo era un presunto “terrorista islamico” di difficile identificazione, visto che sono girati i nomi di Hassan Turki e di Saleh Ali Saleh Nabhan, ma che dei due non si hanno notizie certe da fonti indipendenti. Resta il solito esito tragico, i missili cruise lanciati da un sottomarino hanno colpito la città di Dobley, ne Sud del paese, provocando morti e feriti. Il sindaco di Dobley, Ali “Dheere” Hussein ha spiegato che i feriti non hanno potuto essere ospedalizzati, visto che la città non ha un ospedale e che la chiusura del confine con il Kenya ha impedito di portarli negli ospedali oltre frontiera.

Questa è la quarta volta che, in Somalia, gli Stati Uniti colpiscono alla cieca sperando che per un clamoroso colpo di fortuna il “terrorista”, obbiettivo dell'attacco, stia ad aspettare i loro missili nell'ultimo posto dove è stato visto dagli informatori. Colpiscono accettando il rischio di danni collaterali che i famosi “missili intelligenti” non riescono ad evitare, perché è chiaro che quando radi al suolo un edificio in un centro abitato, le vittime civili siano garantite. Garanzia che invece non sostiene la riuscita dell'astuto piano, visto che mai, utilizzando questo metodo d'ispirazione israeliana, gli Stati Uniti sono riusciti a colpire i terroristi. In Afghanistan, come in Iraq, come in Pakistan, raid di questo genere hanno sempre e solo fatto vittime tra i civili. La cosa non sembra destare scandalo, tanto varrebbe proporre le esecuzioni mirate a colpi di missile contro i mafiosi nostrani e vedere l'effetto che fa.

Questo terzo teatro della fallimentare War on Terror americana, pur sceneggiato in una ex colonia italiana, non suscita attenzione e neppure dibattito, anche se l'evidenza dello sfascio è abbagliante. Il paese è allo sbando, la dittatura etiope si è imbarcata in un'impresa che è diventata punto di forza dell'opposizione e che sottrae forze e risorse alla repressione del dissenso interno, mai così spietata nonostante le proteste internazionali. Alcune regioni dell'Etiopia sono impenetrabili alla stampa e alle organizzazioni umanitarie, le opposizioni imprigionate e gli studenti “rieducati”. I paesi africani non partecipano all'avventura, anche il più adamantino amico degli statunitensi ha annunciato che non ha soldi per mandare altre truppe; l'Uganda era stato l'unico paese a mandare un contingente (la metà di quello promesso) a farsi sparare addosso a Mogadiscio; l'Onu appare impotente e rassegnata a certificare le decisioni americane.

Nel nostro paese l'unico accenno alla Somalia in questi giorni è arrivato da una geniale idea di Berlusconi, quella di candidare un reduce della missione italiana in Somalia ai tempi di Restore Hope. Peccato che in quella missione il nostro contingente, insieme a molti altri connazionali, si sia comportato con disonore contribuendo al fallimento, prima della missione e poi dello sfortunato paese africano. Un fallimento prima di tutto morale, certificato dagli atti della commissione d'inchiesta parlamentare Gallo (Senato della Repubblica, XIII legislatura, doc. XVII, n.12, 2 giugno 1999), che da allora ha significato l'estromissione dell'Italia dai tavoli sui quali si è giocato il destino della Somalia.

Una serie di precedenti storici che insieme alla colonizzazione cialtrona sconsiglia di mettere bocca nell'ennesima strage organizzata dagli strateghi di Bush, ma un minimo di attenzione “umanitaria” per le centinaia di migliaia di profughi e qualche milione di somali che vorrebbe tanto vivere un'esistenza più tranquilla, sarebbe sicuramente più indicato dello sciacallaggio costruito sulla pelle del reduce invalido e sulla condanna all'oblio delle sofferenze di un intero popolo, al quale un tempo abbiamo avuto la presunzione d'insegnare come si sta al mondo, portando insieme alla nostra discutibile “civiltà”, il seme delle attuali disgrazie.

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