di Elena Ferrara


Erano noti soprattutto quelli denominati Komandirskije che avevano l’imprimatur del ministero della Difesa dell’Urss... Un marchio Doc che incuteva rispetto e che garantiva tutti i requisiti possibili e immaginabili... C’erano poi i Vostok Amphibia (subacquei fino a 200 metri di profondità), i Mir, i Poljot 3133-23i, i Raketa, gli Slava, i Molnia (veri cipolloni), i Ciajka, i Buranov... Erano gli orologi “Made in Urss” - tutti meccanici e a carica manuale - che negli anni sovietici andavano a ruba. Costavano pochissimo ed erano anche oggetto di mercato nero con i turisti stranieri. Con un jeans da mercatino rionale si potevano ottenere due o tre orologi. E con un paio di collant si arrivava anche a quattro... Ora il mondo degli orologi russi batte la ritirata dopo aver raggiunto - prima del crollo dell’Urss - il terzo posto nella classifica mondiale, con una produzione di 50milioni all’anno. Nella scala dei valori restano, insuperabili, quei Komandirskije (il comandante) che portavano bene in evidenza gli emblemi delle diverse strutture dell’esercito sovietico: un paracadute per le truppe aviotrasportate, un tank per i carristi... E poi la garanzia dell’ufficialità con la scritta che si trattava di una precisa ordinazione militare giunta dallo stato Maggiore. Orologi, quindi, a prova di bomba... Tanto che negli anni più recenti, quando gli Usa lanciarono l’attacco all’Iraq con l’operazione “Tempesta nel deserto”, ordinarono alle aziende siberiane di Barnaul una partita di 50.000 orologi del tipo Komandirskije per i loro soldati. E nelle difficili condizioni climatiche di quella disgraziata avventura militare gli orologi “made in Urss” (con un quadrante segnato dagli emblemi dell’Armata sovietica) si comportarono molto meglio di quelli moderni e sofisticati realizzati in Svizzera o in Giappone.

Ma ora si è al giro di boa. Dopo aver tentato un salvataggio fornendo agli svizzeri la “cassa” e lasciando alle loro industrie il restyling del quadrante, l’industria russa dell’orologeria segna il passo ed, anzi, il passo indietro. Perchè negli ultimi 15 anni la produzione generale si è ridotta di ben venti volte. Con la maggioranza delle industrie del settore che hanno chiuso le loro linee di montaggio lasciando spazio ai nuovi concorrenti asiatici, i cinesi. Sono aperte (per ora) le fabbriche di cronometri che hanno al momento una produzione di oltre 2 milioni di pezzi mentre dai dati delle ricerche di mercato più recenti le richieste risultano essere di 25 milioni in un anno. Lo confessa Marat Kakimov, vice direttore della Vostok, l’azienda nota ai subacquei di tutti i mari... E Alekandr Makarov, direttore della società “Maktime” accetta il calo di produzione e spiega che la richiesta di orologi cala ovunque dal momento in cui prendono sempre più piede i telefoni cellulari che forniscono un servizio chiavi in mano di tutto rispetto... Orologio addio, quindi? I dati dicono che negli ultimi cinque anni la vendite sono calate del 17%... E la Russia risente così di questo sbalzo di temperatura più di ogni altro paese.

Ma c’è un altro dato che allarma i produttori di orologi russi attuali. Si riferisce al fatto che avanza a passi da gigante l’industria cinese che, negli ultimi dieci anni, si è distinta nella poduzione di circa due miliardi di orologi ogni anno. E se prima i cinesi comperavano in Russia i “meccanismi” (copiando anche la rispettiva tecnologia) oggi sono le aziende di Shangai a produrre l’intero orologio che vendono a 5 dollari al pezzo ricavando circa 6 miliardi di dollari all’anno. Mentre la Russia - come conferma David Petrosov che presiede la fabbrica Record - vende a 12 dollari... Il problema, per i russi, può essere risolto solo sfornando orologi di classe battendo i cinesi sulla qualità e sul design. Ma i tempi sono stretti. Con gli uomini di Pechino che prima si presentano in Russia per fare ordinazioni ciclopiche di orologi e poi, dopo poco tempo, si ripresentano per vendere a prezzi bassissimi i dettagli delle varie linee. E, infine, vendono orologi ai quali cambiano solo il nome sulla cassa... E così - dal punto di vista degli orologi - si chiude l’era dell’ora di Mosca. Resta il ricordo di quelle spedizioni nella capitale dell’Urss quando, negli anni ’70, con i “Viaggi dell’amicizia” - organizzati dall’Unità e dal Pci a prezzi stracciati - arrivavano personaggi con valigie di “souvenir” che, una volta scaricati nelle mani degli speculatori, lasciavano il posto ai famosi Komandirskije, ai Poljot e agli Slava... E una volta in Italia cominciava il giro degli affari... Altri tempi.

E così chi volesse andare ora a ricercare fabbriche e centri di produzione degli orologi sovietici di un tempo, troverebbe un panorama completamente diverso. Solo qualche cattedrale che si erge ancora nel deserto industriale. Perchè le maggiori fabbriche sono chiuse. Quelle minori si sono ridotte di oltre la metà. Quella famosa “Prima” - che a Mosca produce i Poljot - ha già ridotto al minimo il suo lavoro lasciando spazio ad altre aziende e società. Stessa situazione a Petrozavodsk nell’azienda che era nota nel mondo per i Raketa. Qui tutto è fermo perchè c’è stata una bancarotta di proporzioni planetarie... Non si trovano più quegli orologi che facevano impazzire i collezionisti: i famosi "Sturmanskie". Un modello che Gagarin - in volo nello spazio - portava sotto la tuta... Ed ora risulta che molti oligarchi russi (occhiali montatura d’oro 24 carati, vestiti Brioni, orologi Patek Philippe, viaggi esotici) vanno all’attacco dell’industria degli orologi svizzeri. Preferiscono investire all’estero piuttosto che salvare dallo sfacelo le aziende russe del settore dell’orologeria. E così anche per la Russia è arrivata... l’ora del mercato.

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