di Bianca Cerri

Dopo tre fallimenti tra il 1994 ed il 2003, la decisione della Commissione ONU del 15 novembre 2007 rappresenta finalmente un passo avanti verso una moratoria internazionale sulla pena di morte. Si riapre dunque la strada per una presa di posizione globale. Il sì è un risultato storico per il governo italiano che ha fatto una lunga battaglia per la tutela della vita umana ed è stata premiato per il suo impegno. Il documento che regola la decisione deve essere ancora ratificato dall’Assemblea Generale dell’ONU , cosa che non avverrà prima di dicembre, ma intanto è stata riaffermata l’opposizione incondizionata ad una punizione crudele e degradante, abolita da più della metà dei paesi del mondo. Nel 1977, solo 16 nazioni avevano abolito la pena capitale, oggi il numero è salito a 87. La vittoria è maturata quando la terza Commissione ha respinto uno dopo l’altro gli emendamenti contrari di Egitto e Malasya. Il voto finale, 99-52 con 33 astenuti è motivo di grande soddisfazione per l’Italia anche sotto il profilo politico. Come tutti i documenti dell’Assemblea Generale ONU, la moratoria non ha un valore vincolante, ma significa comunque che l’Italia è riuscita a riguadagnare una credibilità che sembrava perduta, dopo cinque anni che avevano fatto registrare solo clamorosi battibecchi tra i rappresentanti italiani all’ONU e quelli delle altre nazioni. Il massimo che potrà accadere ora è che qualcuno ci ripensi, ma i numeri per arrivare ad una svolta definitiva ci sono tutti ed è probabile che a dicembre verrà riaffermata l’assoluta inutilità della pena capitale. Intanto, la CNN ha riferito che è stata fermata l’esecuzione di un condannato a morte in Florida, il che confermerebbe l’orientamento ad un’altra moratoria, quella sulle iniezioni letali. Vari condannati avevano fatto ricorso alla Corte Suprema sostenendo che l’iniezione letale costituiva una forma inusuale e crudele di punizione e quindi andava abolita. La Corte Suprema si é presa qualche mese per pensarci, ma intanto ha decretato che vengano sospese le esecuzioni di quei condannati che abbiano fatto ricorso appellandosi appunto alla crudeltà del procedimento.

L’iniezione letale, usata in 36 dei 37 Stati americani in cui è in vigore la pena di morte, consiste nella somministrazione di tre sostanze letali miscelate tra loro. Introdotta dopo la ripresa delle esecuzioni nel 1977, fu eseguita la prima volta nel 1982 in Oklahoma. La pratica è giudicata crudele da chi la contesta perché infliggerebbe sofferenze atroci ai condannati, non sufficientemente anestetizzati. Il dibattito era stato aperto proprio in Oklahoma da Lisa McCaltoum, l’avvocato che sarebbe diventata la figura-cardine nella battaglia sulla costituzionalità dell’iniezione letale come metodo d’esecuzione. Con il passare del tempo, l’impegno di McCaltoum si era esteso anche ad Florida, Maryland, Oregon ed altri stati. Il 15 novembre, con la vittoria in sede Onu, avrebbe potuto essere una giornata storica anche per lei se non fosse che, forse per liberarsi del dolore dell’esistenza, McCaltoum non avesse improvvisamente deciso di mettere fine ai propri giorni poche ore prima della decisione dell’ONU.

Il corpo senza vita di McCaltoum è stato trovato dal marito Craig Dixon, geofisico, appena rientrato dal lavoro. Fino a poche ore prima aveva lavorato ad un rapporto della Berkeley University sulla pena capitale che le era stato commissionato come consulente esperta della materia. McCaltoum veniva spesso interpellata anche dai colleghi incaricati di difendere condannati a morte ed era autrice di un volumetto informativo destinato ai cittadini comuni, scritto proprio per aiutare le persone inesperte di legge a familiarizzare con le normative sulla pena capitale.

Per il ruolo avuto da Lisa McCaltoum nella battaglia contro la pena capitale ci si sarebbe aspettati almeno un pensiero dedicato a lei e invece il suo nome non è stato neppure pronunciato. Tutti si sono presi, come è giusto, la propria parte di merito, ma resta il fatto che negli archivi del dipartimento di Giustizia di Oklahoma, Florida, Oregon, nei i fascicoli relativi ai casi di esecuzioni sospese c’è scritto “in accordo con le argomentazioni di Lisa McCaltoum”.

Gary Fischman, avvocato di Houston, ricorda che Lisa McCaltom era una donna generosa, sempre pronta a mettersi al servizio di chiunque avesse bisogno di lei. Amava i grandi rischi, i processi difficili, quelli che mettono alla prova anche il cuore di un avvocato e non solo la sua conoscenza giuridica. Aspettava ansiosamente il verdetto della Corte Suprema sulla costituzionalità dell’iniezione legale atteso per gennaio. Ma la sua strada non era stata facile e ultimamente si era fatta molti nemici tra i magistrati affezionati alla pena capitale.

Probabilmente la passione per il suo lavoro deve essersi trasformata in depressione senza che McCaltoum se ne rendesse conto. A 49 anni ha preferito uscire di scena, in modo tanto drastico quanto drammatico. Per Gary Fischman, per gli uomini e le donne rinchiusi nei bracci della morte degli Stati Uniti, si tratta di una perdita irreparabile. Agli inizi dell’anno, McCaltoum era riuscita a far invalidare la sentenza inflitta a Glenn Anderson per “incostituzionalità”.

Stephanie Seymour, giudice federale e amica dell’avvocatessa, era in Marocco quando ha saputo della sua morte. In una breve dichiarazione via mail alla stampa la descrive come una donna brillante e generosa. “Lisa ha dato molto di più al mondo di quanto abbia ricevuto” dice testualmente il suo messaggio. Forse è per questo che Lisa McCaltoum ha deciso di uscire di scena in solitudine, per protesta contro la natura che, come direbbe il Foscolo, condanna l’uomo all’eterna infelicità”. A dispetto del suo gesto estremo, la moratoria è anche una sua vittoria.


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