di Bianca Cerri

Nessuno ha ancora spiegato i motivi che hanno portato il vice sceriffo di Crandon, una cittadina del Wisconsin che conta appena duemila anime, ad aprire il fuoco contro alcuni adolescenti che stavano partecipando ad una festa in casa di un compagno di scuola. Pare che una delle ragazze uccise fosse stata in passato fidanzata con l’autore della strage, che a sua volte è stato ucciso dai colleghi in un bosco nei dintorni di Crandon. Almeno questa è la versione fornita da Gary Bradley, sindaco della cittadina. I nomi dei cinque ragazzi uccisi verranno letti ad alta voce assieme a quelli che già compaiono nel lunghissimo elenco delle vittime della polizia in tutte le città americane che hanno aderito alla marcia annuale contro la brutalità delle forze dell’ordine. “Resistenza contro la Repressione” è il tema scelto per il 2007 dall’organizzazione “22 Ottobre”, che da 11 anni coordina la marcia alla quale partecipano anche le Unioni del Lavoratori, la Rete Anti-razzista, le associazioni del Reduci di Guerra e tanti altri. Dopo l’11 settembre, i metodi della polizia sono diventati estremamente repressivi, soprattutto nelle zone urbane. Dall’inizio dell’anno, le armi da fuoco hanno causato un’infinità di tragedie negli Stati Uniti ma quando ad uccidere sono i tutori dell’ordine la gente non ci sta. A Los Angeles è previsto un sit in davanti al Comando Generale di Polizia. Dal 1992, anno in cui venne girato il video con il pestaggio di Rodney King, la città californiana è diventata un po’ il simbolo della resistenza contro la repressione armata in California.

Ma i dati statistici dimostrano che la situazione non è tanto allegra neppure a San Diego: 15 morti ammazzati dalle forze dell’ordine nel corso del 2006 e tutti provenienti da quartieri emarginati. La città ospita molte installazioni militari e questo non gioca certamente a favore della tranquillità degli abitanti.

“Se un ufficiale di polizia mette mano alle armi vuol dire che ha un motivo per farlo”, afferma con candida insensatezza Benny Gonzales, fondatore della Urban Patrol, un’agenzia che affitta vigilantes disposti a spalleggiare la polizia di Stato in caso di bisogno. Qualcuno inizia però a stancarsi: passi che alle forze dell’ordine non importa nulla della vita umana, ma che almeno si prendano la responsabilità dei delitti commessi e, possibilmente, provvedano a pagare di tasca loro i risarcimenti, senza gravare sulle spalle della gente che lavora. Non è una cosa semplice: a Riverside, la polizia ha ucciso almeno trenta cittadini inermi nell’arco di undici anni, se il municipio dovesse risarcire le famiglie delle vittime con le sue sole forze non resterebbero neppure i soldi per le lampadine.

Si calcola che un agente di polizia di San Diego venga coinvolto in almeno sette sparatorie nel corso della sua carriera e non mancano quelli che hanno all’attivo più di un omicidio. Tra questi c’è il sergente John Cain, che ha appeso sul muro dietro alla sua scrivania un gagliardetto con la scritta: “Non esiste miglior caccia della caccia all’uomo e chi l’ha provata non sa più farne a meno”.

Cain ha ammazzato tre persone in tre diversi frangenti e avrebbe potuto ucciderne una quarta se non avesse sbagliato mira. Nel suo dipartimento ci sono ben 29 agenti provenienti dalla locale Accademia di Polizia sul cui curriculum grava più di omicidio compiuto “in nome della sicurezza”. La legge li protegge, tanto è vero che sono ancora al loro posto. Per i superiori si tratta di soggetti “difficili da controllare”, ma tant’è: pare che nessuno abbia ancora pensato a disarmarli. Eppure è dal 1981 che è stato istituito un codice di comportamento che impone ai capi della polizia di sorvegliare gli agenti contro i quali i cittadini abbiano esposto più di un reclamo. Fra l’altro, sembra che i poliziotti violenti siano spesso anche crudeli nei confronti dei partners e dei figli..

Quest’anno, la marcia toccherà per la prima volta anche l’Arkansas, dove il 22 giugno i poliziotti di West Memphis hanno brutalmente assassinato un ragazzino di 12 anni, DeAunta Farrows, sotto gli occhi del cugino di14 anni. La morte del ragazzo ha fatto saltare i nervi della comunità di colore, che ha voluto erigere un piccolo monumento nel punto dove è stato ucciso. I compagni di scuola di “Tae Tae”, come veniva chiamato DeAunta, vi appendono spesso palloncini colorati e lasciano quasi ogni giorno piccoli peluche e giocattoli accanto alla stele che reca inciso il suo nome.

La morte del dodicenne dell’Arkansas non ha fermato la mano dei poliziotti assassini. Luglio e Agosto sono stati mesi infernali a Chicago, dove due ragazzi di 18 e 22 anni, disarmati, sono stati ammazzati a sangue freddo. Infine, il 20 settembre, una nuova vittima, stavolta in California. Un ufficiale di polizia di Oakland, che si era avvicinato al ventenne Gary King, gli ha puntato addosso una pistola senza dargli neppure il tempo di fornire le proprie generalità prima di sparare. Erano le quattro e mezzo del pomeriggio e King stava camminando con un amico quando l’agente aveva “riconosciuto in lui un pericoloso latitante ricercato per omicidio”. King risulterà completamente estraneo al reato quando ormai il suo cadavere si trovava già presso l’Istituto di Medicina Legale. I suoi genitori saranno presenti alla marcia del 22 ottobre.
“Mio figlio aveva 20 anni e tutta una vita davanti a sé”, ha detto Kathy King, madre di Gary al giornale Revolution. “Chiedo che l’uomo che lo ha ucciso a sangue freddo, senza un motivo al mondo venga arrestato”. Il 22 ottobre decine di madri che hanno vissuto la stessa drammatica esperienza sfileranno accanto a lei.


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