di Fabrizio Lorusso

Studenti, attivisti e membri di numerose organizzazioni della società civile hanno manifestato nel pomeriggio del 2 ottobre scorso per commemorare i 39 anni della strage di Piazza Tlatelolco nella quale, a seguito di un’operazione militare partita alle 18.10, morirono oltre 300 persone (fino a 500 secondo fonti extra-ufficiali) che si erano radunate per discutere di democrazia, libertà politiche e strategie di lotta contro l’autoritarismo del regime fondato sul Partido Revolucionario Insitucional (PRI). Il 1968 era anche l’anno delle Olimpiadi nelle quali il Messico avrebbe mostrato al mondo i simboli della modernità che, finalmente, sembrava aver raggiunto la terra azteca in un contesto di presunta democrazia e sviluppo generalizzato. Il 2 1968 ottobre segnò profondamente la politica e la società messicana infliggendo un duro colpo al movimento studentesco, centrato soprattutto sull’attivismo degli studenti della UNAM (Universidad Nacional Autonoma de Mexico, una delle più grandi e prestigiose del mondo) e del Politecnico che rivendicavano un’apertura democratica. Ciononostante, anche il regime messicano a partito “egemonico” e “pragmatico”, come lo ha definito il politologo Giovanni Sartori, cominciò da quel momento un lento declino che condusse ad una degenerazione costante del modello economico e sociale, basato sul corporativismo e la retorica populista, con un ricorso sempre più drastico alla repressione ed alla “guerra sporca” o di “bassa intensità” contro qualsiasi manifestazione del dissenso.

Il 10 giugno del 1971 si consumò l’ultimo atto di una lotta degli apparati dello Stato contro i tentativi di rinascita del movimento studentesco, in realtà già ferito a morte dopo il 1968, con la programmazione da parte degli apparati di polizia di un’azione d’infiltrazione di provocatori in una manifestazione pacifica. L’operazione, compiuta da parte di corpi speciali chiamati “Falchi” – Halcones - servì per giustificare il subitaneo interevento della polizia e la dispersione dei manifestanti, lasciando sul campo 120 morti civili (c’è un documentario recensito su http://www.jornada.unam.mx/2006/06/04/005n1pol.php ed anche le rivelazioni e fotografie pubblicate su http://www.jornada.unam.mx/2006/06/04/003n1pol.php).

Dopo quei tragici accadimenti, si seguì la strategia del sequestro di persona (desapariciòn), dell’infiltrazione, della violazione dei diritti umani e dell’uccisione degli oppositori politici che non riuscirono ad articolare risposte di massa coerenti e non si costituirono più come un movimento sociale capace di minacciare le strutture di potere almeno fino al 1986-87, anno del primo ritorno in auge dell’attivismo politico studentesco con lo sciopero nella UNAM.

Questa politica, documentata ottimamente dall’agenzia speciale creata ad hoc nel 2002 dal governo di Vicente Fox e chiusa recentemente dopo la pubblicazione del suo primo rapporto integrale sui crimini di quegli anni, era accompagnata da una retorica fortemente antiamericana e terzomondista che ricalcava il discorso del regime cubano e l’ideologia di sviluppo e riscatto nazionale del presidente egiziano Nasser. In politica estera si privilegiava la relazione con la America Latina e, quindi, il Messico divenne la patria di moltissimi rifugiati delle dittature del Cono Sud (Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Brasile).

Internamente la pratica del partito dominante in Messico era invece determinata da interessi politici strettamente legati al mantenimento del potere grazie alle risorse petrolifere, incrementatesi in seguito a nuove perforazioni e all’impennata dei prezzi internazionali del greggio. Non c’era dunque spazio per la dissidenza che, inizialmente, lungi dal nutrire aspirazioni rivoluzionarie, cercava di democratizzare la vita politica e sociale del paese. In seguito alla repressione e dovuta alla vocazione totalizzante dei governi del PRI, si generò una radicalizzazione dei gruppi oppositori che a volte optarono per la ribellione armata e la militanza nelle numerose guerriglie che si articolavano sul territorio.

L’esigenza centrale dell’ultima manifestazione del 2 ottobre scorso, cui hanno partecipato circa 14mila persone, si concretizza nel mantenimento, anno dopo anno, di una memoria sofferta che si rende attiva nel richiedere un giusto castigo per i responsabili, in primis l’ex Primo Ministro nel 1968, e successivamente Presidente della Repubblica dal 1970 al 1976, Luis Echeverria. La marcia ha sancito la rinascita formale del “Fronte Nazionale Contro la Repressione”, organizzazione sociale nata nel 1979 contro la guerra sporca e che ora lotta per scongiurare la criminalizzazione della protesta sociale e denunciare la minaccia pendente sui difensori dei diritti umani ignorate dal governo attuale del Presidente Felipe Calderon Hinojosa.

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