di Bianca Cerri

Tre ragazze bionde passano di corsa ai bordi di un campo dove alcuni ragazzini stanno giocando a baseball. Una di loro ha nella borsa alcune dosi di eroina che si inietterà con le due amiche che la accompagnano. Finalmente si fermano davanti ad una chiesa e preparano le siringhe. Siamo a Willimantic, nell’est del Connecticut, una località di 15.823 abitanti dove imperano da sempre ambivalenze politiche, ma l’eroina abbonda più che in ogni altra parte del mondo. Un flusso ininterrotto, più copioso dell’acqua del Willimantic River, il fiume dal quale la città ha preso il nome. Gli spacciatori vendono almeno 350 dosi al giorno per sette giorni alla settimana. Sono ormai anni che l’eroina ha invaso il Connecticut. I poliziotti si sono arresi e non fanno nulla per impedire lo spaccio. Una televisione locale manda in onda tavole rotonde alle quali partecipano solo eroinomani. Non molto tempo fa sono arrivati alcuni cani anti-droga, qualcuno li ha persino sentiti abbaiare, ma non si sa che fine abbiano fatto. Le morti per overdose abbondano ma nessun giornale si sogna più di pubblicare i particolari che le riguardano. Per l’opinione pubblica, sono stati i portoricani ad inondare Willimantic di eroina. Può essere; fatto sta che oggi la gente fa tranquillamente la fila per procurarsi la dose giornaliera, senza neppure preoccuparsi di essere vista. Ormai quasi tutti si sono abituati al commercio di eroina. La leggendaria “lotta alla droga” di Reagan non ha attecchito in Connecticut. Si racconta che la DEA sa benissimo cosa accada a Willimantic ma sembra abbia deciso di chiudere un occhio.

La polizia locale, 11 uomini in tutto, non può fare molto. Per la verità, i poliziotti non sono mai stati troppo popolari da queste parti e pochi aspirano a mettersi una divisa. Anche gli agenti anziani ci hanno messo un bel po’ a capire cosa stava avvenendo sotto ai loro occhi. Secondo Thomas Beardsley, autorevole storico del Connecticut, senza un tasso di disoccupazione alle stelle l’eroina non avrebbe attecchito con tanta facilità.

Intanto, anche nelle stradine più isolate ci sono mucchi di siringhe abbandonate. Tanto nessuno ci bada in una città dove poveri e ricchi si drogano senza differenze di classe. La distribuzione di siringhe gratuite è stata però sospesa. Così l’AIDS è entrato nella vita della gente dalla porta principale. E chi ce l’ha se lo tiene visto che mancano i fondi per assistere gli ammalati.

Il viaggio della droga consumata a Willimantic inizia però a New York, da dove parte per Hartford, capitale del Connecticut. La prostituzione è invece locale e spesso viaggia insieme alla tossicodipendenza. Michele Missino fa la prostituta a Willimantic per guadagnarsi i trecento dollari al giorno del fabbisogno di droga. Ha già corso il pericolo di morire di overdose, i medici l’hanno salvata per miracolo. Rosa, invece, fa anche lei la prostituta, ma ha sempre con sé una cesta con dentro il suo gatto.

Teme che la bestiola si perde mentre si intrattiene con un cliente. Dice di aver scelto la carriera di prostituta per la troppa solitudine. Molto tempo fa aveva un ragazzo, ma morì di droga proprio nelle sue braccia. Nemmeno un’ora prima avevano cenato insieme. Jessica ha anche una sorella più giovane che batte il marciapiede ma non riesce a comunicare con lei. Si chiama Amy ed ha cercato di picchiarla più di una volta. Vive con un uomo che la maltratta ma è troppo innamorata per denunciarlo.


Nell’albergo dove le prostitute incontrano i loro clienti fa un caldo orribile e c’è odore di fumo misto ad urina. C’è anche un sacco di umidità a causa del fiume che scorre poco lontano. Davanti la facciata appare rispettabile, ma dentro è un andirivieni continuo di coppie. Wendi è un’altra delle frequentatici abituali dell’albergo. Ha perso il lavoro d’infermiera per colpa della droga e per sopravvivere ha fatto la prostituta per tanto tempo. Ora viene soltanto a trovare le ex-colleghe. Il suo fegato si è ingrossato a causa dell’epatite C contratta con un ago infetto. Le gambe le si addormentano frequentemente impedendole di camminare.

Ma sono ormai tre anni che l’eroina è uscita dalla sua vita. Non che sia stato facile ma a 40 anni può ancora ricominciare da capo. Per premio, le assistenti sociali le hanno dato una medaglia. Spesso è costretta a lottare per restare sobria ma è determinata a restare “pulita” perché solo così le restituiranno i figli. Pesa 125 chili ma si considera felice. “E’ bello essere normali”, dice come parlando a sé stessa. “Pensare che questo posto mi sembrava un tempo un paradiso”. Decisamente non lo era…..

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