Le fantasie trumpiane di dominio e distruzione dei nemici degli Stati Uniti – e di Israele – si sono schiantate precocemente con la guerra di aggressione contro lo Yemen, il cui fallimento è stato certificato proprio in questi giorni anche da due indagini di CNN e New York Times. Da un lato persistono le dichiarazioni ufficiali del presidente repubblicano circa il successo di un’iniziativa militare oggettivamente illegale e dall’altro si registra l’emergere in modo sempre più chiaro della realtà, fatta solo di stragi di civili e devastazione, senza che nessun obiettivo connesso alla campagna in atto sia stato raggiunto.

 

Leggendo le analisi citate, sembra di tornare allo scorso anno, dopo che la campagna scatenata dall’amministrazione Biden contro il governo dello Yemen nella parte di territorio controllata dal movimento Ansarallah (“Houthis”) era passata dai toni trionfali degli annunci pubblici iniziali al fiasco e al ripiego, con la minaccia sulle rotte commerciali lungo il Mar Rosso rimasta intatta. I leader yemeniti, com’è noto, avevano iniziato sul finire del 2023 a prendere di mira con bombardamenti mirati le imbarcazioni transitanti in quest’area e dirette o collegate allo stato ebraico.

Per tutta risposta, Biden si era inventato la cosiddetta operazione “Prosperity Guardian” per sradicare il problema degli “Houthis” e consentire a Israele di proseguire virtualmente indisturbato con il genocidio palestinese. Ben presto era apparso chiaro però che i droni e i missili lanciati contro lo Yemen si basavano su informazioni di intelligence inadeguate alla realtà di questo paese. Ciò a cui si era assistito erano in larga misura bombardamenti casuali contro obiettivi civili, senza scalfire in maniera significativa gli sfuggenti vertici politici e militari di Ansarallah né missili e sistemi di lancio mobili, ben protetti e nascosti da una strategia impenetrabile e da una conformazione favorevole del territorio del paese della penisola arabica.

Queste complicazioni, assieme alla controffensiva yemenita contro gli “asset” militari degli USA e dei loro alleati, avevano a poco a poco ridotto l’intensità dell’aggressione della precedente amministrazione democratica, mentre le rotte navali continuavano a rimanere molto rischiose. Alla fine, lo stop alle operazioni di Ansarallah, lanciate in difesa della popolazione palestinese, era avvenuto con l’entrata in vigore della tregua a Gaza nel mese di gennaio. Con la ripresa dell’aggressione israeliana il mese scorso, anche la campagna dello Yemen è ripartita, ma Trump, prima ancora del lancio del primo missile da parte degli “Houthis”, aveva inaugurato una nuova operazione militare contro questi ultimi, destinata però a risolversi come quella di Biden.

Il fallimento americano era insomma già scritto e molti analisti e commentatori indipendenti avevano messo in guardia dall’inutilità di una nuova simile avventura. In queste settimane, la Casa Bianca ha creato una narrativa fantasiosa, raccontando di raid missilistici sullo Yemen in grado decapitare la sua leadership e ridurre drasticamente le capacità offensive di Ansarallah. In realtà, dallo Yemen sono continuate ad arrivare solo notizie e immagini di massacri di civili e distruzione di edifici di nessun interesse militare. Soprattutto, la “minaccia” contro Israele e le vie d’acqua nel Mar Rosso non è venuta meno e Ansarallah continua tuttora a tradurre in azioni i propri annunci.

Anzi, nonostante il Pentagono mantenga un insistente silenzio, droni e missili yemeniti colpiscono con una certa regolarità le stesse portaerei USA, come la USS Truman, oggetto di un nuovo attacco lanciato venerdì scorso. Dall’inizio delle operazioni ordinate da Trump a metà marzo, inoltre, due costosissimi droni da ricognizione e attacco Reaper MQ-9 sono stati abbattuti da Ansarallah, portando il totale dall’anno scorso a 17. Questi numeri sono forniti dalle autorità dello Yemen e, se confermati, in termini economici avrebbero causato perdite per gli Stati Uniti pari a oltre 500 milioni di dollari.

In realtà, le fonti delle indagini di CNN e New York Times disegnano un quadro ancora più negativo. Il costo della campagna in corso da nemmeno un mese sfiora ormai il miliardo di dollari. Di sole “munizioni” sono stati spesi 200 milioni e tutto ciò, scrive la CNN, ha avuto solo “un impatto limitato” sulle capacità offensive dello Yemen. Lo spreco, tra l’altro, di missili da crociera JASSM, Tomahawk e delle missioni dei bombardieri B-2 dall’isola di Diego Garcia nell’Oceano Indiano è servito in pratica soltanto a fare decine di vittime in grandissima parte civili. Se alcuni siti militari potrebbero essere stati colpiti, complessivamente, ammette una fonte governativa americana, “la facoltà degli Houthis di continuare a lanciare missili sulle navi nel Mar Rosso o di abbattere i droni USA resta inalterata”.

Il risultato dell’operazione americana è di rafforzare la determinazione yemenita a continuare la campagna militare anti-israeliana e, oltretutto, gli effetti dei bombardamenti USA e l’aperta difesa del genocidio a Gaza da parte di Trump danno al governo di Ansarallah un prestigio morale sempre maggiore e garantiscono a quest’ultimo un consenso crescente nel paese arabo e in tutta la regione. Un articolo pubblicato dalla testata iraniana in lingua inglese Tehran Times ha spiegato che “l’amministrazione Trump ha sottovalutato o ignorato del tutto la natura decentralizzata del comando militare di Ansarallah.” Infatti, “molte delle unità missilistiche mobili [dello Yemen] operano in un territorio montuoso e con il sostegno di reti tribali locali”, così che la loro “capacità di adattarsi rapidamente e di evitare di essere individuate si è trasformata in un incubo per forze armate convenzionali [come quelle americane] che si basano pesantemente sulla sorveglianza e sulla potenza aerea”.

L’insistenza di Trump nel proseguire l’aggressione contro lo Yemen e la manipolazione della realtà dei fatti a proposito di essa rischiano di diventare un serio problema, creando un pantano dal quale sarà sempre più difficile districarsi per gli Stati Uniti, per non parlare del rischio di un allargamento del conflitto all’Iran, il cui governo, secondo Washington, controlla di fatto le azioni di Ansarallah. Situazioni come quella di venerdì scorso peggiorano poi la situazione e mostrano a tutto il mondo la natura criminale della campagna in corso. Trump aveva postato un’immagine su X di un raduno presumibilmente di leader tribali yemeniti in riferimento a un video caricato sul suo social network Truth che mostrava un bombardamento su un gruppo simile di persone.

Il presidente spiegava che si trattava di un gruppo di “Houthis” intenti a scambiarsi informazioni per preparare un attacco e i raid americani lo avrebbe impedito. L’immagine sembrava però rappresentare le modalità con cui i gruppi tribali dello Yemen solitamente si riuniscono e nessun’altra prova è stata presentata dalla Casa Bianca sulle affermazioni di Trump, né informazioni sono circolate circa la presunta incursione celebrata dallo stesso presidente.

Un’altra complicazione di questa guerra per Trump è che, di questo passo, il Pentagono potrebbe essere costretto a chiedere fondi extra per le operazioni in Yemen al Congresso, dove da tempo circolano malumori per via degli scarsi risultati ottenuti e del fatto che l’aggressione in atto non è mai stata autorizzata da un voto formale dell’organo che, secondo la Costituzione USA, ha il potere di dichiarare guerra. Ciò testimonia di come l’iniziativa militare voluta da Trump nello Yemen sia doppiamente illegale. In primo luogo perché perpetua il concentramento di poteri nell’esecutivo, con il presidente, come spesso avevano fatto i suoi immediati predecessori, a cominciare da Biden proprio in relazione allo Yemen, che ordinano unilateralmente operazioni di guerra senza rendere conto al potere legislativo.

Inoltre, come accennato in precedenza, l’obiettivo numero uno dell’intervento contro Ansarallah è di proteggere Israele nella conduzione di un genocidio certificato. L’intervento del governo yemenita risponde al contrario all’intimazione della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) di fermare quanto sta accadendo a Gaza. Ogni paese ha in altre parole l’obbligo di interrompere tutti gli aiuti militari ed economici allo stato ebraico e, appunto, di adoperarsi per fermare il genocidio. Mentre Ansarallah si muove per questo scopo, nell’immobilità pressoché totale della comunità internazionale, gli Stati Uniti sono invece sempre più complici nei crimini israeliani e cercano anzi di impedire con la violenza indiscriminata il tentativo di difesa del popolo palestinese.

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