La missione di Zelensky negli Stati Uniti, dove si era recato per l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha incontrato indifferenza e rifiuto. Diversi Paesi hanno rifiutato di incontrare il presidente ucraino, evidentemente decaduto sia nel termine costituzionale del suo mandato sia nella considerazione generale. Il suo annunciato “piano di pace” in effetti non si è rivelato né un piano né il perseguimento della pace, ma solo un bluff che si condensa in più armi e denaro con il deciso rifiuto di qualsiasi ipotesi negoziale di fine della guerra.

 

Ha raccolto il disprezzo di Trump (che lo ha incontrato trattandolo come un dettaglio irrilevante), l'indifferenza della comunità internazionale e dello stesso apparato mediatico. L'Economist ha scritto che “l'Ucraina ha urgente bisogno di un cambio di rotta e innanzitutto di riconoscere che sta perdendo. Se continuerà a sfidare la realtà insistendo sul fatto che l'esercito ucraino può riconquistare tutte le terre perse a favore della Russia dal 2014, si alienerà i sostenitori ucraini e dividerà ulteriormente la società ucraina”.

L'incontro con Biden, l'ultimo con il vecchio presidente, sembra essere stato l'unica momento soddisfacente, anche se l'esito è stato comunicato da Zelensky e non dalla Casa Bianca; il che fa pensare o a una mancanza di rispetto del principio di riservatezza da parte di Zelensky o all'imbarazzo di Washington nel comunicare i contenuti della riunione.

Secondo Zelensky, Biden avrebbe permesso l'uso di missili americani a medio e lungo raggio sul territorio russo: dunque, seguendo l'esempio britannico, avrebbe dato il via libera al bombardamento della Russia con armi statunitensi. Le implicazioni di questa decisione, se confermata, sarebbero molteplici, perché non si tratterebbe solo di un'altra consegna di armi e dollari a Kiev. Per il suo impatto politico e per le conseguenze che potrebbe generare, la decisione rivestirebbe sarebbe assoluta importanza sia per gli USA (che a torto si considerano al sicuro) che per la UE, che ha deciso di immolarsi e che sarebbe il primo terreno per una risposta militare russa.

Cambierebbero le dinamiche del conflitto: sarebbe un chiaro spostamento della NATO da un sostegno definito “difensivo” a un intervento diretto di natura “offensiva”; quindi non in difesa dell'Ucraina ma in attacco della Russia. Le obiezioni di chi sostiene che i missili non possono essere concessi se il loro uso non è autorizzato sono prive di senso: una cosa è fornire missili a corto raggio, destinati a un uso difensivo, un'altra è fornire missili di gittata molto più lunga e in grado di raggiungere la capitale e altre città russe. Il passaggio dalla difesa all'attacco è evidente e tutti sanno che cambierebbe completamente l'intensità del conflitto e il teatro delle operazioni, i Paesi coinvolti e il numero di vittime.

 

La risposta di Mosca

Non è chiaro se Washington si aspetti che la saggezza russa prevalga o che il gioco rimanga a somma zero. Non è un caso che la Casa Bianca si guardi bene dal confermare le voci di Kiev. Sa che le regole di ingaggio russe nel conflitto, sia nei confronti dell'Ucraina che della NATO, cambierebbero e, con esse, la dimensione dell'Operazione Militare Speciale creata per difendere la popolazione russofona del Donbass dal nazismo di Kiev. E data la portata territoriale e il numero di Paesi coinvolti, difficilmente si tratterebbe di una guerra di posizione, molto più probabilmente assumerebbe la forma di una guerra di annientamento.

Questa drammatica ipotesi è rafforzata dalla decisione del Cremlino di introdurre un cambiamento sostanziale nella dottrina nucleare come parte della dottrina di sicurezza nazionale della Russia. In un contesto internazionale che vede nel genocidio dei civili l'espressione militare preferita dell'Occidente, il Presidente Putin ha stabilito cambiamenti significativi nella concezione della difesa nazionale.

Contrariamente a quanto previsto in precedenza, che ipotizzava l'uso del proprio apparato nucleare solo in risposta a un attacco o a una minaccia immediata da parte di una potenza nucleare nemica, Mosca ha stabilito che, d'ora in poi, qualsiasi attacco, anche da parte di un Paese o di una formazione militare non armata di armi nucleari, se sostenuto da Paesi armati di arsenale atomico, legittimerà l'uso della forza nucleare russa in difesa dell'integrità territoriale e della sovranità nazionale. Questo, ovviamente, troverebbe applicazione nelle dinamiche del conflitto contro la NATO in Ucraina.

 

Guerra totale per fermare il collasso

L'impressione generale è che per gli Stati Uniti il ricorso alla guerra aperta vada di pari passo con quello alla destabilizzazione e rappresenti ormai l’agenda unica di politica internazionale, in un finale di mandato che caratterizza l'Amministrazione Biden come una delle peggiori e più criminali della storia degli Stati Uniti.

La visione che appare leggendo gli scenari ucraini e mediorientali è che la Casa Bianca stia cercando insistentemente la possibilità di attaccare l'Iran attraverso Israele per eliminare un nemico strategicamente importante, annientare l'Islam sciita e minacciare la Russia da sud-ovest. Terreno insidioso perchè c'è da aggiungere che l'accordo di partenariato strategico tra Mosca e Teheran, che investe gli aspetti energetici e commerciali, le infrastrutture e gli scambi, potrebbe prevedere anche l'assistenza militare in caso di attacco. Questo ovviamente si aggiunge all'estensione a livello europeo della guerra per l'adesione di Kiev alla NATO. Sul palcoscenico dell'Oceano Pacifico, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Filippine hanno ricevuto un mandato USA per operazioni di tensione militare verso Pechino, in vista della prossima guerra. In America Latina, le minacce al Venezuela, al Nicaragua, a Cuba, alla Bolivia e all'Honduras ricordano che l'obiettivo è spazzare via il socialismo latinoamericano in tutte le sue varianti per riappropriarsi delle risorse del continente e cacciare Russia e Cina dal subcontinente.

Tuttavia, se la destabilizzazione e la guerra sono al centro della politica estera statunitense, troppi fronti aperti sembrano essere un impegno insostenibile per un impero in declino. E nonostante una generale riconversione industriale per la guerra, gli USA non pare abbiano però la forza di sottomettere militarmente l'intero pianeta. Cercano di spaventare il mondo esibendo via Israele un uso criminale della tecnologia militare d'eccellenza e mostrano la definitiva scomparsa di qualsiasi regola e qualsivoglia etica del conflitto, ma loro per primi sanno che la realtà sul terreno è più forte dell’effetto propagandistico. Perché verso stati nemici le operazioni belliche non si riprodurrebbero nelle condizioni viste con l’attacco a Gaza prima e al Libano poi, dove l'aviazione israeliana e le truppe di terra si allenano su donne e bambini sapendo che la risposta sarà limitata. Tutt'altro da quello che si può prevedere in una guerra tra stati. Ciò che davvero fa la differenza in un conflitto, infatti, è la dotazione bellica, l’utilizzo di un esercito, dell’aviazione e della marina militare oltre che le risorse economiche a disposizione: tutte condizioni presenti con stati sovrani e non con formazioni militari, non in possesso di mezzi adeguati ad una guerra su larga scala. Dunque distruggere Gaza o Beirut, inondare di vittime innocenti una intera regione, è impresa vergognosa e codarda ma non ripetibile con antagonisti di livello come appunto l'Iran.

Il ricorso ormai continuo alla guerra sembra però coincidere con la sua crisi strutturale, non congiunturale, che ha mostrato la sua essenza predatoria e criminale e l’incapacità di rispondere pacificamente alle sfide di un futuro socialmente giusto e sostenibile per il pianeta e i suoi abitanti. Ostilità politica, sanzioni, destabilizzazioni e guerre contro circa l’80% della popolazione mondiale: l'impero è ormai intollerante alle regole del Diritto e anche a quelle della globalizzazione che lui stesso ha inventato e con le quali ha preteso di insegnare al mondo la democrazia, riscrivendone i principi a suo piacimento.

Sarà bene comprendere come non si tratti di una congiura di Stranamore. Le guerre che la Casa Bianca scatena in diverse parti del mondo hanno un preciso obiettivo: arrestare il proprio declino schiacciando militarmente i BRICS, la cui crescita energetica, economica e finanziaria, così come la loro influenza politica, non possono più essere fermate con le regole della competizione globale nel libero mercato e la disputa per l’influenza politica internazionale.

Di fronte alla crescente influenza dei Paesi BRICS, alla loro capacità di attirare l'intero Sud globale e gran parte dell'Est in un progetto multipolare di governance planetaria, la risposta scelta dall'impero unipolare è la guerra. D'altra parte, l'assoluta crisi di leadership, la stagnazione economica, l'aver perso la sfida tecnologica e l'aver assistito alla scomparsa del dominio del dollaro sui mercati valutari, presentano la sola arena militare come terreno decisivo per fermare il declino. Dovrà decidere se accettare la fine del dominio imperiale sul mondo a favore di un assetto più equilibrato e proporzionale, o se veder scomparire il pianeta piuttosto che perdere il comando. Ad oggi, l'unica certezza è che l'impero più lungo e sanguinario della storia si trova sull'orlo del baratro. E che il cammino è accidentato.

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