Il tour della disperazione di Zelensky negli Stati Uniti avrà il suo clou giovedì con il vertice alla Casa Bianca col presidente uscente Biden e la candidata Kamala Harris. La trasferta coincide com’è noto con l’annuale Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In questa sede e in varie interviste alle reti americane, l’ex comico televisivo ha ripetuto le solite fantasiose analisi e previsioni sulla guerra in corso nel suo paese, anticipando inoltre il “piano per la vittoria” contro la Russia che dovrebbe essere presentato nel dettaglio all’amministrazione democratica. Come il piano di Zelensky possa avere una qualche possibilità di riuscita in una situazione militare catastrofica e senza includere una trattativa diplomatica con Mosca resta tuttavia un mistero.

 

L’atteggiamento in America di Zelensky, il cui mandato presidenziale è ufficialmente scaduto lo scorso mese di maggio, è stato finora caratterizzato da dichiarazioni contraddittorie e fuori dalla realtà. Netta è stata la sensazione che il leader ucraino attenda indicazioni dalla Casa Bianca per calibrare le prossime mosse di un regime allo sbando e sostanzialmente in ostaggio delle forze neonaziste inglobate nell’apparato dello stato e nelle forze armate. In un’intervista alla ABC, ad esempio, Zelensky ha assicurato che la fine della guerra “è più vicina di quanto si pensi”, ma ciò non dipende da possibili negoziati con Mosca, bensì, presumibilmente, da un’escalation militare che dovrebbe ribaltare gli equilibri sul campo.

Zelensky ha proposto la formula del “ponte verso una soluzione diplomatica” al conflitto. Il piano sembra però semplicemente la riproposizione delle solite richieste di più armi e denaro per opporsi efficacemente alla Russia. In un clima segnato dal venir meno dell’entusiasmo per la guerra un po’ ovunque in Occidente e con le forze di Mosca in rapida avanzata sul fronte del Donbass, Zelensky pretenderebbe oltretutto un’iniziativa rapida, ovvero che le decisioni da prendere siano deliberate tra ottobre e dicembre. Ciò per evitare che l’eventuale ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump interrompa bruscamente il sostegno americano al regime ucraino.

Alcuni contenuti del “piano per la vittoria” di Zelensky sono stati anticipati dalla stampa americana. Se confermate, queste condizioni renderebbero impraticabile il piano stesso che, comunque, in una simile forma non potrebbe in nessun modo condurre alla “vittoria” e nemmeno a una soluzione diplomatica che tenga conto della situazione sul campo. In altre parole, il “piano” di Zelensky sembra riprendere alcune delle condizioni discusse durante l’inutile conferenza di “pace” tenuta senza la Russia lo scorso mese di giugno in Svizzera.

Zelensky si aspetta, in primo luogo, di ricevere un invito formale per l’adesione del suo paese alla NATO. Fermo restando che molti paesi membri rimangono per ovvie ragioni contrari a questa ipotesi, la prospettiva dell’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza è precisamente uno dei motivi principali che costrinsero la Russia ad agire militarmente nel febbraio 2022. Kiev nella NATO significa quindi la garanzia della prosecuzione della guerra ed è una condizione che la Russia potrebbe accettare solo se messa letteralmente in ginocchio dai suoi nemici. Un’eventualità che non si sposa esattamente con l’andamento del conflitto e i rapporti di forza odierni.

Stesso discorso vale in pratica anche per l’aumento delle forniture militari, sia in termini quantitativi che qualitativi, che invoca Zelensky. La questione più delicata è l’autorizzazione a utilizzare i missili occidentali a medio e lungo raggio per colpire in profondità il territorio russo. Anche in questo caso si tratterebbe di un fattore non solo distruttivo ai fini della diplomazia, ma in grado anzi di espandere drammaticamente il conflitto. Sul dibattito che sarebbe in corso in Occidente per oltrepassare l’ennesima linea rossa in questa guerra era intervenuto recentemente il presidente russo per spiegare senza possibilità di fraintendimenti quali sarebbero le implicazioni.

Putin aveva avvertito che il via libera all’uso di missili ATACMS o Storm Shadow contro obiettivi ben dentro il territorio russo cambierebbe la natura stessa del conflitto, trasformandolo a tutti gli effetti in una guerra tra la Russia e la NATO. Ciò perché, spiegava ancora Putin, si renderebbe necessaria la partecipazione diretta di personale NATO per operare questi stessi missili. Di conseguenza, obiettivi sul territorio dei paesi del Patto Atlantico coinvolti diventerebbero legittimi per le forze di Mosca.

La richiesta di Zelensky su questo punto non facilità perciò la diplomazia né avvicina la fine della guerra. Una realtà di cui si rendono ben conto a Washington. Se alcuni alleati europei insistono nel chiedere la fine di qualsiasi vincolo all’uso di missili da parte ucraina, la vicenda ha creato invece una spaccatura all’interno dell’amministrazione Biden. Il Pentagono sarebbe su posizioni prudenti, mentre il dipartimento di Stato, dominato dai “neo-con” come il segretario Blinken, spinge invece per garantire l’autorizzazione richiesta al regime di Kiev. Resterà quindi da vedere cosa deciderà la Casa Bianca nei prossimi giorni.

Come ha confermato in un’altra intervista rilasciata negli USA, in questo caso alla CNN, Zelensky ha infine citato la fallimentare offensiva nella regione russa di Kursk come un altro elemento chiave del suo “piano”. A suo dire, l’iniziativa suicida che è già costata perdite pesantissime deve continuare perché serve a indebolire la Russia, mettere l’Ucraina in una posizione di forza e costringere Putin a negoziare. In realtà, l’operazione ha prodotto risultati opposti. Invece di indebolire la Russia, costringendo il Cremlino a dirottare verso Kursk forze impegnate nel Donbass, il blitz ha messo ancora più in difficoltà quelle ucraine e accelerato l’avanzata russa sul fronte sud-orientale. Inoltre, un possibile accordo limitato ai bombardamenti contro le infrastrutture energetiche, cruciale con l’avvicinarsi dell’inverno, è naufragato sul nascere a causa degli eventi di Kursk.

Le ragioni che rendono impossibile l’accettazione di queste condizioni sono le stesse anche in merito al possibile congelamento del conflitto col ritorno dell’Ucraina ai confini del 1991. La Russia, dopo oltre due anni e mezzo di guerra disastrosi su tutti i fronti per Kiev e i suoi sponsor occidentali, semplicemente non prenderà in considerazione termini di pace che vadano a mettere in discussione gli obiettivi chiave delle operazioni militari. Soprattutto, nessuna iniziativa NATO, né tantomeno da parte ucraina, potrà cambiare radicalmente gli equilibri militari e strategici attuali.

Quella di Zelensky sembra in definitiva una corsa contro il tempo per convincere i padroni di Washington a intervenire in maniera diretta nella guerra. Un’eventualità vista dal regime di Kiev come l’unica per evitare il tracollo definitivo. Che gli USA e la NATO siano pronti a farlo è tutto da verificare, anche se l’assenza di una exit strategy che non comporti una storica umiliazione e il disastro strategico rende estremamente pericolosa la situazione sul fronte ucraino.

Alcuni commentatori ipotizzano che l’assurdità delle proposte di Zelensky sia deliberatamente tale per incassare un rifiuto in Occidente. In questo modo, la responsabilità del fallimento verrebbe attribuito agli alleati NATO, nella speranza di contenere la reazione degli ambienti neo-nazisti in patria quando non resterà che una mossa da fare: implorare la Russia per ottenere condizioni di resa le meno pesanti possibili. Una prospettiva che potrebbe diventare inevitabile se Trump dovesse vincere le elezioni di novembre. L’ex presidente e candidato repubblicano ha ricordato ancora questa settimana la sua posizione sulla guerra in Ucraina, promettendo un disimpegno immediato dell’America in caso di un suo ritorno alla Casa Bianca.

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