La guerra in Ucraina ha già danneggiato l’economia italiana, ma la situazione rischia di peggiorare. E non poco. Secondo una recente analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio, il nostro Paese subirebbe una perdita aggiuntiva pari a un punto di Pil nel 2022 e a mezzo punto nel 2023 se la guerra proseguisse fino alla fine della primavera, per poi lasciare spazio a un percorso di normalizzazione esteso al resto dell’anno. Lo stesso scenario avrebbe conseguenze anche sull’inflazione, che aumenterebbe di un punto percentuale in più sia quest’anno sia il prossimo.

Il conto della guerra sarebbe quindi molto salato anche ipotizzando una durata del conflitto relativamente breve.

 

C’è però il rischio che questo orizzonte temporale sia una previsione a dir poco ottimistica: diversi segnali suggeriscono infatti che lo scontro militare potrebbe andare avanti molto più a lungo. A metà aprile, ad esempio, il Pentagono ha riunito i vertici delle otto maggiori aziende statunitensi di armi per valutare la loro capacità di rifornire l’esercito ucraino “nel caso in cui la guerra si protragga per anni”, scrive l’agenzia Reuters. Se questa ipotesi si rivelasse fondata, per l’Italia - ma non solo - si aprirebbero le porte di una recessione ancora impossibile da calcolare.

I campanelli d’allarme stanno già suonando. Sempre secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, nel primo trimestre di quest’anno il Pil italiano si è “contratto in termini congiunturali di circa mezzo punto percentuale, con un intervallo di variazione molto ampio ma comunque bilanciato (tra -0,9 e 0,1 per cento)”. E già a marzo, il primo mese successivo all’avvio della guerra in Ucraina, “le famiglie sono divenute più caute sugli acquisti di beni durevoli, come le auto”.

Il tutto mentre l’inflazione ha ripreso a correre: “La dinamica mensile dei prezzi al consumo in marzo ha raggiunto il 6,5 per cento tendenziale (dal 5,7 di febbraio), un valore che non si raggiungeva dal 1991”, scrive ancora l’Upb, sottolineando che, “sulla scia delle tensioni nei mercati energetici e dell’incertezza legata al conflitto russo-ucraino”, le imprese e le famiglie italiane “stanno rivedendo al rialzo anche le attese sull’inflazione, verso valori massimi storici”.

In un rapporto pubblicato sabato, il Centro studi di Confindustria aggiunge che gli indicatori congiunturali relativi a marzo “hanno confermato il netto indebolimento dell'economia italiana: il conflitto in Ucraina amplifica i rincari di energia e altre commodity, accresce la scarsità di materiali e l'incertezza”. E questo, sommandosi agli effetti della pandemia, “riduce il Pil nel primo trimestre 2022 e allunga un'ombra sul secondo: l'andamento in aprile è compromesso e le prospettive sono cupe”.

Su tutte queste valutazioni aleggia poi un altro spettro, ovvero la possibilità che l’Italia, insieme al resto dell’Ue, decida a un certo punto di azzerare le importazioni dalla Russia di gas e petrolio, estendendo l’embargo già varato sul carbone. La misura, che gli Stati Uniti chiedono a gran voce ormai da tempo, rischia di avere un effetto devastante sull’economia del nostro Paese. Stando al nuovo Documento di economia e finanza, se il governo riuscirà a diversificare con successo gli approvvigionamenti (ed è un “se” molto grande), la chiusura del rubinetto russo costerebbe all’Italia solo lo 0,8% del Pil nel 2022. Se invece il piano si rivelasse meno efficace del previsto, la carenza di gas costringerebbe a razionare le scorte, divorando 2,3 punti percentuali di crescita e assottigliando la ripresa di quest’anno a un misero 0,6%. A quel punto, però, i problemi sarebbero solo all’inizio.

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