Più del cosa, ora conta il quando. Commissione europea, Germania e Francia premono per chiudere l’accordo sul Recovery Fund entro luglio, ma non sarà semplice. I Paesi comicamente noti come “frugali” - Austria, Olanda, Danimarca e Svezia - continuano a dare battaglia e non è detto che uno o due vertici il mese prossimo basteranno a trovare un’intesa prima della pausa estiva.

Intanto, il Consiglio europeo di venerdì scorso è andato in archivio senza scossoni. Come da attese, non è emerso nulla di concreto, ma la discussione è stata impostata e i quattro oppositori hanno evitato di fare baccano. Era il massimo che si potesse ottenere.

 

La notizia, al momento, è che tutti quelli che contano stanno dalla stessa parte. “C’è la volontà di trovare un’intesa prima di agosto”, ha detto la leader della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Sulla stessa linea Emmanuel Macron, che ritiene fondamentale agire rapidamente “per non dare un cattivo segnale ai mercati”. Con il Presidente francese gioca di sponda con la connazionale Christine Lagarde: gli investitori hanno già scontato il via libera al piano da 750 miliardi - spiega la numero uno della Bce - perciò eventuali passi indietro causerebbero una nuova crisi di fiducia.

L’opinione che conta di più, però, resta quella di Angela Merkel: “L’Unione europea sta attraversando la recessione più grave dalla Seconda guerra mondiale - ha avvertito la cancelliera durante la videoconferenza di venerdì - Abbiamo tutto l’interesse a varare il Recovery Fund entro fine estate”. Dal primo luglio la Germania assumerà la presidenza di turno dell’Ue e in molti - a cominciare dall’Italia - sperano che il peso politico di Merkel basterà a piegare le resistenze dei frugali. Per il momento, il premier olandese Mark Rutte si dice incerto sulla possibilità di chiudere il negoziato entro il mese prossimo, mentre lo svedese Stefan Lovfen sottolinea che le posizioni “sono ancora lontane”.

La strada per il compromesso passa attraverso qualche modifica (non sostanziale) dell’accordo che permetta ai quattro piccoletti di firmare senza perdere la faccia in patria. L’unica soluzione sembra essere un taglio alle munizioni del bazooka: Francia e Germania sono disponibili a cancellare la quota di prestiti (250 miliardi) pur di mantenere i trasferimenti a fondo perduto (500 miliardi), ben più importanti per Italia e Spagna. Il problema è che i frugali contestano proprio le sovvenzioni, perciò alla fine il punto di caduta potrebbe essere una riduzione di entrambe le voci. Sì, ma di quanto?

Il nostro governo è pronto ad accettare un taglio complessivo di 100 miliardi - da 750 a 650 -, che per l’Italia vorrebbe dire un calo degli aiuti da 172 a 150 miliardi. Ma questo è il massimo: se i Frugali insisteranno, è probabile che Conte minaccerà di mettere il veto sui rebates, cioè gli “sconti” anacronistici che ancora vengono concessi ai Paesi del Nord sui contributi al bilancio comunitario.

D’altra parte, se anche la battaglia di luglio si chiuderà con un successo, le difficoltà per il governo italiano saranno appena cominciate. I soldi del Recovery Fund arriveranno nella migliore delle ipotesi a inizio 2021 e per ora del cosiddetto “bridge” - il prestito ponte che dovrebbe garantire risorse già a settembre - non si trova traccia fra le carte di Bruxelles. Il problema è enorme, perché in autunno la crisi economica arriverà al picco (con la fine della cassa integrazione milioni di imprese sono destinate al fallimento) e lo Stato non avrà più soldi da spendere, a meno di non aumentare ancora il già oceanico deficit 2020.

A quel punto, l’attivazione del Mes sarà inevitabile (oltre che insufficiente) e il terremoto nella maggioranza si rivelerà forse difficile da assorbire. Se il Pd e i malpancisti grillini ne approfitteranno per cambiare presidente del Consiglio, il novo arrivato si ritroverà a gestire il fiume di soldi europei per il quale Conte ha lavorato negli ultimi mesi. Una vera beffa per l’Avvocato del Popolo.  

 

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