Sui conti pubblici l’Italia non è stata promossia ma rimandata a ottobre. La settimana scorsa la Commissione europea ha stabilito che non c’è più ragione di aprire una procedura d’infrazione contro il nostro Paese: si tratta però di una tregua fragile e temporanea, destinata a saltare fra non più di tre mesi. Abbastanza per evitare le elezioni a settembre – la prospettiva peggiore secondo il Quirinale – ma non per rimettere insieme i cocci di una maggioranza sempre più indecisa sulla strada da prendere.

L’unica abitudine che Salvini, Di Maio e Tria condividono è quella di smentirsi da soli. Tutti e tre avevano assicurato per mesi che non avrebbero mai varato una manovra correttiva, invece è esattamente quello che hanno fatto. Anche se, naturalmente, non hanno avuto il coraggio di ammetterlo. Facciamo un po’ di conti.

Bruxelles ci chiedeva di tagliare nove miliardi per compensare il buco dei bilanci 2018-2019 e di indicare le misure con cui intendiamo compensare nel 2020 il mancato aumento dell’Iva e l’avvio della flat tax. Durante il G20 di Osaka si è raggiunto un compromesso molto vicino alle richieste europee. Il Governo ha dato il via libera a una correzione da 7,6 miliardi, ottenuta attraverso due provvedimenti: l’assestamento di bilancio vero e proprio, da 6,1 miliardi, e un ulteriore decreto per bloccare immediatamente 1,5 miliardi risparmiati su quota 100 e reddito di cittadinanza, viste le richieste inferiori alle attese.

“La correzione in termini strutturali è leggermente superiore, pari a 8,2 miliardi, lo 0,45 % del Pil – spiega la Commissione europea – il che porta a un miglioramento del saldo strutturale di circa lo 0,2 % del Pil (rispetto a un deterioramento dello 0,2 % nelle previsioni di primavera 2019 della Commissione). La differenza rispetto all'importo nominale è dovuta alle entrate una tantum inferiori alle attese del condono fiscale per un importo di circa 0,6 miliardi, che peggiora l'obiettivo fiscale in termini nominali ma non in termini strutturali”. 

C’è dell’altro. Il Governo italiano ha anche accettato di mettere nero su bianco l’impegno a “rispettare il Patto di stabilità nel 2020”. La lettera, firmata da Conte e Tria, è risultata fondamentale per convincere Bruxelles, ma nel nostro Paese è stata largamente ignorata. E non è un caso: quel testo segna la resa politica di Salvini e Di Maio di fronte all’Europa e pone una gigantesca ipoteca sulla realizzabilità delle promesse elettorali dei due leader.

Senza contare che la situazione per il Governo italiano si farà ancora più complessa dal primo novembre, quando si insedierà la nuova Commissione Ue. A guidarla sarà la tedesca Ursula von der Leyen, molto più rigorista in economia sia del suo predecessore, Jean Claude Juncker, sia del socialista olandese Timmermans, che i leghisti hanno scelto d’impallinare per seguire ciecamente i finti alleati di Visegrad.

Sarà questo l’Esecutivo comunitario che “sorveglierà attentamente l'esecuzione del bilancio italiano 2019 – si legge ancora nella nota di Bruxelles – e valuterà la conformità del documento programmatico di bilancio 2020 al Patto di stabilità e crescita”.

All’orizzonte s’intravede una nuova battaglia sulla legge di Bilancio: l’Europa si aspetterà che l’Italia rispetti gli impegni, mentre il nostro Governo pretenderà di aumentare ancora il deficit per sterilizzare l’aumento dell’Iva (che da solo costa 23 miliardi) e soprattutto per varare la Flat tax, che la vulgata salviniana vuole da “almeno 15 miliardi”.

Il tutto sullo sfondo dell’ennesima campagna elettorale, visto che tra la fine dell’anno e i primi mesi del 2020 si voterà in tre regioni importanti: Emilia Romagna, Veneto e Toscana.

A quel punto, ricominceremo a chiederci quanto ancora Salvini potrà resistere prima di reclamare Palazzo Chigi. 

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